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noeasywayout

Quelli che sognano di giorno sono consapevoli di tante cose che sfuggono a quelli che sognano solo di notte. (Edgar A. Poe)

 

Messaggi del 10/10/2014

LEGACY

Post n°704 pubblicato il 10 Ottobre 2014 da sciffo

 

 

Have you ever seen a one trick pony in the field so happy and free?
If you've ever seen a one trick pony then you've seen me 

Grosseto, giugno, la finale del campionato italiano di flag football under 13 sta per cominciare.
I coach finiscono il loro discorso pre-partita e danno il rompete le righe.
Un attimo prima che i ragazzi si disperdano, guardo quelli che ho più vicino e gli sussurro “vi  state per giocare una finale per il titolo. Non importa se non è il Superbowl NFL, una finale vinta vi resterà dentro tutta la vita. Io e i vostri coach ne abbiamo giocata una trentacinque anni fa, ed ancora la portiamo qui dentro” e, nel battermi leggermente il petto, guardo verso Zano, Luca ed Andrea – gli allenatori, appunto – che annuiscono in silenzio, mentre nei loro occhi vedo passare qualche immagine in bianco e nero.
Una quindicina di visi puliti, di solito parecchio scanzonati, ci squadrano seri per un istante e, col loro istinto ancora intatto di dodicenni, colgono che c’è qualcosa di vero e vivo dentro le mie parole.
Per qualche secondo, tacciono e sembrano riflettere, poi l’istante sospeso passa: c’è una partita da giocare e, se possibile, da vincere.
Camminiamo verso la sideline ed osservo mio figlio Barney con la coda dell’occhio. E’ uno dei più piccoli, ha appena compiuto undici anni, ma so che la Forza – quella del football – scorre già potente nelle sue vene. Il suo sguardo è determinato come quello di Ray Lewis prima di un kickoff, ed anche se il fisico ed il contesto non sono esattamente gli stessi, nessuno può dire che qui, oggi, in mezzo a questi ragazzini speciali, non si respiri odore di palla lunga un piede.
Lo sento nell’aria. Lo sentiamo tutti. E’ un profumo inconfondibile, un misto di cuoio, sudore, tensione. Erba tagliata di fresco. Ma più di tutto sa di un’amicizia che stanno costruendo con pilastri d’acciaio.
Loro forse ancora non lo sanno, ma queste sensazioni stanno sedimentando nei giovani cuori, pongono solide radici. Non li abbandoneranno mai più.

Non so dire, onestamente, neppure alla soglia dei cinquant’anni, quanto un padre possa influenzare un figlio. Al netto delle influenze di senso opposto, intendo, perché è noto che molti ragazzini tendono a rovesciare del tutto il loro retaggio.
Di sicuro Barney qualche mio racconto lo ha sentito, ma nemmeno poi tanti, visto che sono fuori dal giro da molti anni. Non so proprio come siamo arrivati qui, oggi, o meglio, come ci sia arrivato lui.
Abbiamo cominciato in inverno facendo qualche lancio sul prato davanti a casa. Poi la notizia, sui canali non ufficiali della vecchia squadra, che si stava provando a mettere in piedi una squadra under 13 di flag. I primi allenamenti con una manciata di ragazzini. Dopo di che è successo tutto in fretta, come un’allegra valanga, e adesso quei ragazzini sono qui, a giocarsi la finale dopo aver letteralmente rullato tutti gli avversari.  Così, dal niente, come un fiore spontaneo, è nata una piccola grande squadra.
Lo vedi nei loro sguardi, ridono, scherzano e giocano continuamente, com'è giusto che sia, ma quando l'arbitro chiama a centro campo i capitani per il lancio della moneta, quegli stessi sguardi si fanno determinati, concentrati e attenti, come giovani leoni che osservano un branco di gazzelle. Cosa possa determinare una simile, rapida mutazione, in tutti loro intendo, nessuno lo sa. Ma quel che so io, è che proprio quello sguardo, prima guascone e poi predatore, farà di loro dei giocatori di football.

Molti dei ragazzi sono figli di ex giocatori.
E se il gene del football fosse stampato in qualche anello del DNA?
Perché un dodicenne non gioca a calcio, a basket o a tennis e si sente invece irresistibilmente attratto dalla palla da football? Non è certo per emulare qualche campione, come accade in altri sport, dato che dalle nostre parti le stelle della Nfl sono lontane quanto quelle di un’altra galassia.
Non è facile rispondere.
Se rivedo me stesso quattordicenne, quando iniziai a giocare, ritrovo un ragazzino che amava lo sport, eppure non aveva ancora trovato la sua vera passione. Poi, per puro caso, si trovai in mano un pallone Wilson che mio zio aveva portato da un viaggio in Usa, e mi innamorai subito dell’idea sia pur vaga di quel gioco di squadra, praticato da uomini bardati come cavalieri e capaci di gettarsi senza paura in una sorta di battaglia, una tenzone fisica e leale, botte vere e un obiettivo comune. Io, che già ero affascinato dalle arti marziali, ritrovavo il fascino dei ronin giapponesi, guerrieri senza padrone in cerca di gloria, e che nella loro leggenda più famosa guarda caso erano proprio 47, come i membri di una squadra di football.
Detto questo, come potesse un ragazzino cresciuto nella Pianura Padana, che non sapeva proprio nulla di football, neppure le regole più elementari, in un'epoca cieca di Internet, innamorarsi perdutamente di uno sport così remoto e avulso dal suo contesto, è cosa ben strana. Eppure, a quei tempi, successe a molti coetanei. Ragionamenti semirazionali, forse fondati, questi, ma che affiorano solo oggi, a posteriori. E che valgono solo per me.
Ma non mi meraviglia che questo strano fenomeno continui a verificarsi.
Ognuno di questi ragazzi avrà le proprie, originali motivazioni, senza peraltro conoscerle ancora. La passione non nasce mai dalla ragione, è invece spontanea e cocciuta come un fiore sulla roccia di montagna.
Da dove venga il vento che increspa le onde, nessuno può dirlo.

Inizia la partita, i primi drive non sono facili, qualche passaggio o ricezione sbagliati, un po’ di disattenzione in difesa. La tensione di una finale è fisicamente avvertibile quando i ragazzi tornano in panchina, sudati e un po’ nervosi per il risultato che non si sblocca così facilmente. Hanno lavorato duro per essere qui, hanno abbattuto di forza ogni piccolo grande ostacolo trovato sulla loro strada, sarebbe davvero una beffa non segnare quella sporca, ultima meta.

Li guardo giocare, lottare e aiutarsi a vicenda in quel momento di stallo. Mi sento come un naturalista che osserva da lontano un branco di cuccioli che crescono nella savana. Quanto sono diversi l’uno dall’altro… così giovani, eppure è semplice capire che tipo di giocatori diventeranno. C’è quello un po’ Rodomonte, dentro cui si agita già un futuro uomo di linea, che discute con un giovane levriero dalle lunghe e veloci gambe, sicuro ricevitore. Il coach della difesa impartisce istruzioni ad un tipetto forte e silenzioso, embrione di coscenzioso linebacker, mentre un biondo longilineo coinvolge i compagni, lui è, e sarà, quarterback.
Mi diverte, questo giochetto mentale. Proietto le immagini di questi istanti memorabili nel futuro. Ci sono ancora molti di loro, ma adesso sono adulti, indossano casco e spalliera, il campo è diventato più grande e porta impresso un gridiron perfetto. Sono sempre sudati e un po’ nervosi, e si stanno giocando un’altra finale. Non importa di quale campionato, quello che conta è che sono sempre loro, il nucleo originario che viene forgiato qui, oggi, su questo prato di Grosseto.
Sono predestinati, molti di loro perlomeno, a giocare assieme molte altre battaglie di trincea, fianco a fianco. Lo si vede da come, dopo le prime schermaglie, prendono in mano questa partita e la trasformano piano piano in una sequenza di azioni perfette. Per gli avversari non c’è modo di arginarli. Già all’intervallo il punteggio non lascia spazio a nessuna rimonta, ed il secondo tempo somiglia più all’esibizione di un'orchestra perfetta.
Quando l’arbitro fischia la fine, la felicità trabocca ovunque come un fiume in piena, e ne siamo tutti travolti, genitori compresi. Guardo Barney. Rosso in viso, bagnato come un pulcino, abbraccia i suoi amici e sorride come quando apriva i suoi primi regali di Natale. Forse di più.
Dopo un po’, mi avvicino con la necessaria discrezione e gli chiedo: “Allora? Come ci si sente ad essere campioni?”
Mi guarda, mi abbraccia forte e risponde “E’ bellissimo, papà!”
Poi si scioglie e parte urlando al galoppo, giusto per tirare un gavettone ad un’altro cucciolo di linebacker.

 

 
 
 

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