Creato da nonnobizzarro il 06/10/2006
Diario di Viaggio
 

 

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Il retro della Cougar è ricolmo di roba:

Post n°52 pubblicato il 08 Gennaio 2008 da nonnobizzarro

un letto gonfiabile da 19 dollari, una sedia pieghevole raccolta vicino alla spazzatura, una lampada di legno, con bruciature di sigarette, una scrivania di plastica, una sacca piena di libri, una chitarra e una valigia straripante di maglioni di lana.

Il vetro è completamente appannato e la visibilità fa schifo. Per fortuna sulla Brooklyn Queens Expressway di norma si procede a passo d’uomo. Ti volti verso tua madre. È lei che guida. Sembra una bambina con le rughe che tiene il broncio. Dietro di lei, sullo sfondo intravedi uno sterminato cimitero. Metti meglio a fuoco: le pietre tombali sparpagliate un po’ a caso spuntano come alberi rinsecchiti. Più in là, contro il cielo bianco, i grattacieli di Manhattan ti fanno un po’ lo stesso effetto. Fai scendere il finestrino e scatti una foto. L’aria fredda entra nell’abitacolo disappannando il parabrezza. Di colpo, il quartiere nel quale vi trovate diventa perfettamente visibile.

“Non posso credere che sto portando mio figlio a vivere in questo posto.”. Dice tua madre mettendo la freccia per uscire su Graham Avenue. “È persino peggio di Yonkers!”

Non controbatti. Ha ragione lei. È persino peggio del posto in cui hai vissuto fino a adesso. Almeno dalla finestra di casa tua vedevi il fiume e i boschi del New Jersey. Qui invece non c’è nulla da vedere. Anzi, non c’è nulla e basta. Zero negozi, zero alberi, zero esseri umani. Niente. Solo capannoni industriali dal contenuto misterioso che si succedono per chilometri.

È strano andare a vivere da solo (di nuovo) alla veneranda età di trent’anni. Pensavi di aver già chiuso questa pratica parecchio tempo addietro. Evidentemente ti sbagliavi.

“Accosta lì che faccio una chiamata.”. Tua madre ti dà retta e ferma l’auto nei pressi di un Deli, poi ti vede scendere ed entrare nel negozio.

Il Deli è maleodorante come tutti i Deli che si rispettino. Un gatto sonnecchia pigramente usando un sacchetto di riso basmati come cuccia. Nei refrigeratori ci sono solo alcolici. Litri e litri di birre di bassa qualità. Marche che non hai mai nemmeno sentito nominare.

Il tipo dietro al bancone sta friggendo del pollo fosforescente. Gli chiedi se puoi usare il suo telefono. Lui ti risponde in spagnolo: “Seguro!” Metti un paio di quarti di dollaro nell’apparecchio e componi il numero che ti sei segnato sul palmo della mano. La linea è libera. Un paio di squilli. Poi risponde una voce femminile. Ha un vago accento mitteleuropeo.

“Ciao, sono io… quello che deve prendere la camera… sono in zona, ma… non riesco a trovare il portone.”. Balbetti tu.

Lei ti ascolta e poi, dopo una breve pausa d’imbarazzo, dice solo: “Ok.”. E riattacca.

Perplesso, attacchi anche tu. Poi ringrazi lo chef di nouvelle cousine e torni alla Cougar.

“Dovrebbe essere qui dietro.” Dici con fare sicuro entrando in auto. Tua madre evita di chiederti altre delucidazioni ed avvia l’auto. Sennonché, girato l’angolo, v’imbattete effettivamente nel civico che stavate cercando: 60 Porter Street.

“Ecco è quello!” Esclami tu. Tua madre nota, un po’avvilita, il tuo insolito entusiasmo e commenta a bassa voce: “È il buco del culo del mondo questo!” Tu non ci fai caso e ti lanci fuori dall’auto.

Attorno al palazzo c’è un’inferriata nera che, però, è aperta e “il portone” è una porta di legno grigia senza serratura che ondeggia spostata dal vento. Controlli di nuovo il civico e poi alzi lo sguardo. Da una finestra al secondo piano s’intravede una t shirt rosa con sopra disegnato un ratto giallo. A quel punto ti volti verso tua madre, le sorridi ed entri nel palazzo.

Non fai in tempo a sentire il cattivo odore che pervade tutto che vedi con la coda dell’occhio una ragazza bionda scendere le scale di corsa. Quando ti è davanti ti guarda per un attimo, incuriosita forse dal tuo cappello di pelo, e poi ti dice: “Sei tu? Quello della stanza?”

Tu, e a quel punto vorresti già chiederle di sposarti, le rispondi come se fossi davanti ad un prete pronto ad unirvi in matrimonio: “Sì!”

In quel momento ti accorgi che ti tremano le gambe e che sei diventato tutto rosso. È bellissima: occhi azzurri, riccioli biondi, labbra a cuoricino. Sembra una bambolina bavarese. Non avresti mai osato sperare tanto. Non da un annuncio su internet, comunque. Hai sempre pensato che per la rete girassero solo donne grasse.

“Vuoi una mano a portare su le tue cose?” Ti dice lei come se abitare con te fosse la cosa più naturale del mondo.

Tu fingendo virilità, scuoti la testa. Allora lei si gira e risale di corsa le scale di legno. I gradini scricchiolano paurosamente ad ogni passo, ma tu non ci fai caso perché, per la verità, le stai guardando il culo.

Confuso, felice ed sbronzo di tanta nordica bellezza torni alla macchina sorridente e cominci scaricare la tua roba. Tua madre ti guarda, sempre più perplessa, ma non dice nulla fino a quando non avete finito. A quel punto si volta verso di te e col cuore piccolo piccolo ti chiede: “Almeno l’hai vista la stanza?”

“Certo che l’ho vista!” Menti.

“E com’è?” Ti chiede lei.

“È… BELLISSIMA.” Rispondi tu sospirando.

Lei scrolla le spalle e, trattenendo i lacrimoni dai suoi occhioni di bambina, risale sulla Cougar. Prima di andare via apre il finestrino e ti dice: “I love you.”. Ma lo fa piano piano, con pudore.

Quando vedi l’auto andare via, comincia persino a nevicare. È tutto troppo perfetto e, mentre te ne stai solo sul marciapiede, in mezzo alle tue quattro cose davanti al civico 60 di Porter Street, pensi proprio che ti piacerà molto vivere a Brooklyn.

 

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