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« ry cooderlinguistica e pittorica,... »

premessa a scene nobili

Post n°188 pubblicato il 25 Giugno 2017 da emma01

WALLACE STEVENS – IL BOUQUET

 

I

Di natura media, questo selvatico estremo
è una goccia di folgori in un mondo interiore,
sospesa in una vivacità temporanea.

Il bouquet sta in un vaso, come metafora,
come la folgore stessa è a sua volta metafora
affollata di apparizioni improvvisamente svanite

e non meno improvvisamente riaffiorate, un’escrescenza
dalla realtà dell’occhio, un artificio,
niente di che, un frullo che si riflette.

II

Uno avvicina semplicemente la realtà
dell’altro occhio. Entra, entrando in casa,
nel luogo dei meta-uomini e delle para-cose,

ma sempre uomini seppure meta-uomini, ma cose
seppure para-cose: i meta-uomini per cui il mondo
ha vorticato con le molte velocità del vetro,

per cui nessun blu del cielo è ostacolo, mentre
comprendono e diventano potenti
divenendo magistrati chiari, trasparenti

barbuti di catene di barbagli verde-blu,
muniti di cappelli di angolosi lampi e fiocchi,
freddi di un’impotenza sottostante che conoscono,

ora che conoscono, perché conoscono. Uno viene
alle cose di natura media, come i meta-uomini
le completano, che choses de Provence, che crescono

nella colla, ma cose trafitte, traforate e ben
percepite: il bianco che appare liscio argentino
e placcato, denso splendore di argento, in una terra

senza un dio, oh forma e fulgore argentei,
e moto di emozione che solca l’aria,
vero nulla, eppure accostato sé con sé.

Dalla porta uno vede che sul lago l’anatra bianca
si allontana… e narra e narra l’acqua narra
dell’immagine che dietro l’anatra si slarga in idea.

I meta-uomini contemplano l’idea come parte
dell’immagine, la contemplano con esattezza attraverso grani
e graticci rugiadosi delle loro barbe pulsanti di luce.

Il bouquet verde arriva dal luogo dell’anatra.
E’ centocolori e millefiori e maturo,
di dolce atmosfera, premessa a scene nobili

ma non romantiche, l’amarissimo volgare agire
e perire. Sta su un tavolo a una finestra
di quella terra, su una tovaglia a scacchi rossi e bianchi.

I quadri a scacchi, lo scheletro del riposo,
respirano piano, piano muovono o pare muovano
verso una consapevolezza del rosso e bianco come unità,

una tensione di petali caduti ancora appesi
con filamenti minimi alla cosa intatta:
l’insieme riconoscibile, medio centrale…

così prossimi al distacco, i quadri all’angolo dellatovaglia,
e, quando distaccati, così insignificanti nello svanire,
così recisi, sperduti resti e basta.

Qui l’occhio si fissa intento su queste linee
e vi striscia sopra, come se le piume dell’anatra
cadessero apertamente dall'aria per riapparire

In altre forme, come se anatra e tovaglia
e le contorsioni eccentriche del bouquet rapito
esigessero attenzione con forza attenta.

Un mazzo di carte cade verso il pavimento.
Il sole brilla segretamente su un muro.
Si ricorda una donna che portava un vestivo così.

 

III

La rosa, il delphinium, il rosso, il blu,
sono questione degli sguardi  chericevono. Il bouquet,
considerato dai meta-uomini, è straniato

e straniato dalla prodigalità della loro volontà di vedere.
Esso posa, sovrano dei souvenir,
né ricordato né dimenticato, né vecchio,

né nuovo, né sensibile alla memoria.
E’ un simbolo, un sovrano di simboli
eloquente nelle sue interpretazioni,

abbellito dagli scatti della vista,
quando in un modo di vedere veduto, un estremo,
un sovrano, un souvenir, un segno,

di oggi, di questa mattina, di questo pomeriggio,
non ieri, non domani, un appannaggio
dell’estate indolente non del tutto fisico

e tuttavia dell’estate, i toni minuti
prodotti dai suoi colori, lo stordimento migratorio,
le cose seconde duplicate, non mistiche,

l’infinito dell’attuale percepito,
una libertà rivelata, una realizzazione toccata.
la realtà resa più acuta da un’irrealtà.

 

IV

Forse questi colori, visti con intuizione, assumono
nell'occhio una speciale tinta d’origine.
Ma se lo fanno, la spargono largamente.

Spargono profondamente un cristallo di cristallino bianco
e pallidi pezzi, che tendono a accordarsi col blu,
un rosso vivo satollo dei suoi compositi,

come un mostro che ha tutto e riposa,
eppure è lì, una presenza ingombrante.
Spargono ravvicinati la fattura della cosa

divenuta para-cosa, i rudimenti nel vaso,
lo stelo, la felce, le fioriture erbose,
la rivelazione violenta a foglie nette,

delfinio snello e felce frastagliata e ruta rugginosa
in una letterarietà ostinata, un’intelligenza,
la sobrietà prismatica dell’onda di un torrente.

I rudimenti nel vaso farciti, sofisticati,
sono piattamente presenti, non versati se non nell'essere,
resi difficili da fragranza salina, intricati.

Non sono spruzzi in una penombra. Stanno.
Sono. Il bouquet è parte di un tremolio:
oro di nube, di un’apparizione intera che sta ed è.

 

V

Un’auto sopraggiunge. Un soldato, un ufficiale,
scende. Suona e bussa. La porta non è serrata.
Entra nella stanza e chiama. Non c’è nessuno.

Urta il tavolo. Il bouquet si rovescia.
Attraversa la casa, si guarda intorno, poi esce.
Il bouquet è scivolato e dall'orlo giù sul pavimento.

 

Da AURORE D’AUTUNNO, pagine da 779 a 787 del Meridiano …


 


YANN TIERSEN, EUSA 










epimetea

metto qui versi di stevens
che stamane mi hanno trafitta.
una riflessione sull'apparenza
che diventa deduzione sottilissima.
impianto incredibile, formidabile.

apprendere,  
questa la sensazione dalla lettura




 
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