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LA CIVILTA’ PERDUTA DI ATLANTIDE: elementi costitutivi del mito

Un’ipotetica ricostruzione. Porto di Atlantide, un giorno funesto di circa 11.500 anni fa: una moltitudine di persone si accalca attorno alle grandi navi per imbarcarsi e sfuggire così all’acqua il cui livello sale in modo rapido e preoccupante allagando campi e villaggi. Per molti di loro non ci sarà scampo: saranno inghiottiti dalle acque insieme ad un’intera civiltà a causa di una catastrofe di cui nessuno comprendeva davvero le cause e l’estrema violenza. Solo pochi fortunati riusciranno a prendere il largo sulle navi guidati da abili condottieri, esperti navigatori da generazioni, in possesso di evoluti strumenti di navigazione e di mappe all’avanguardia. Molti di loro faranno naufragio nel mare tempestoso ma altri, dopo un viaggio da incubo interminabile, riusciranno ad approdare sulla terraferma, una volta che il livello delle acque si sarà stabilizzato e le piogge saranno cessate. Un evento catastrofico di cui l’umanità ha mantenuto il ricordo e lo ha tramandato di generazione in generazione trasformandolo in un mito di cui rimane traccia ancora oggi in molte culture diverse: quello del diluvio universale. Questi grandi condottieri, tra cui il Noè biblico, insieme ai loro compagni di viaggio, incontrarono nelle nuove terre di approdo i nativi delle civiltà primitive che erano scampati alla catastrofe rifugiandosi sulle montagne e, insieme, iniziarono faticosamente una lunga attività di ricostruzione per ritornare alla vita dignitosa di un tempo. Tuttavia, la maggior parte degli uomini di cultura e di scienza erano morti nel diluvio e molte delle conoscenze di Atlantide andarono perdute per sempre. Rimanevano tuttavia le grandi opere di pietra costruite dal popolo atlantideo nelle tante colonie disseminate in vari continenti che costituirono dei modelli di grande utilità per l’attività di ricostruzione di questi pionieri. Passarono tuttavia diversi millenni prima che potessero risorgere grandi civiltà come quella egizia, babilonese e maya. Si tratta evidentemente di una ricostruzione ipotetica non suffragata da prove oggettive ma possiamo esaminare gli indizi che potrebbero confermarla.

Il ricordo di Atlantide. Il primo a parlare di Atlantide fu Platone, uno dei maggiori filosofi di tutti i tempi, nei suoi dialoghi Timeo e Crizia. Platone riporta il racconto di Solone (un grande studioso e legislatore che visse nell’antica Grecia dal 640 al 560 a.C.) tramandato per diverse generazioni da lontani suoi parenti, Crizia il vecchio e Crizia il giovane. I sacerdoti della città di Sais in Egitto, custodi dell’antica cultura da cui è nata la civiltà egizia, raccontarono al vecchio Solone, in visita presso di loro, di una grande catastrofe naturale verificatasi 9.000 anni prima che cancellò gran parte delle popolazioni di quel periodo. In quell’epoca, l’esercito di Atlantide, proveniente da una grande isola situata oltre le Colonne d’Ercole, stava avanzando nel Mediterraneo ma fu efficacemente contrastato dalle popolazioni residenti nella Grecia contemporanea. Una catastrofica inondazione pose fine alla lotta cancellando nel corso di un solo giorno la maggior parte degli abitanti di queste terre e inghiottendo completamente l’isola di Atlantide. Secondo alcuni studiosi, la catastrofe narrata da Platone non sarebbe altro che il diluvio universale raccontato dalla Bibbia (confrontare l’articolo del blog dedicato all’Arca di Noè). Il mito di un diluvio distruttivo si trova presso varie culture, molto diverse e distanti tra loro. Ad esempio, una storia quasi identica a quella narrata dalla Bibbia, la possiamo trovare nel racconto dell’epopea di Gilgamesh, un eroe celebrato dall’antichissima civiltà dei Sumeri, il quale sfuggì al diluvio costruendo una nave in base alle indicazioni fornite dagli dei.

Descrizione del continente perduto.  Platone ci riferisce il racconto che il sacerdote egiziano di Sais riportò a Solone e nel quale si narra di Atlantide, una grande isola situata oltre le Colonne d’Ercole (lo Stretto di Gibilterra) e dalla quale si poteva raggiungere un continente situato dal lato opposto di quel vero mare che oggi chiamiamo Oceano Atlantico (ricordiamo che, da quanto si sa, nessuno si era mai avventurato oltre le Colonne d’Ercole e l’estensione di quel grande mare non era nota). Il popolo di Atlantide era in grande espansione e aveva occupato parte del continente opposto (le Americhe?) spingendosi anche nel Mediterraneo fino alla Tirrenia (l’Italia?) e l’Egitto. Nel dialogo intitolato a Crizia, Platone fornisce una descrizione di Atlantide, precisando che la storia è certamente vera, anche se in apparenza piuttosto strana, proprio per l’affidabilità del grande Solone. L’isola era ricoperta da una fertile pianura ricca di pascoli e da grandi foreste da cui si poteva ricavare molto legname; era popolata da una moltitudine di animali tra cui anche una grande abbondanza di elefanti. L’isola di Atlantide aveva una superficie di circa 194.400 Km quadrati (540 Km di lunghezza per 360 Km di larghezza). Su di un lato si trovavano montagne di rara bellezza a picco sul mare. Per molte generazioni gli abitanti di Atlantide poterono vivere felicemente tra grandi ricchezze che consentirono di costruire una grandiosa città a pianta circolare disposta su anelli concentrici intervallati da canali navigabili coperti con tettoie il più grande dei quali la attraversava longitudinalmente e collegava il mare aperto con il centro dove si trovava il palazzo reale dedicano a Poseidone, fondatore del regno, circondato da grandi mura dorate e costruito utilizzando i materiali più preziosi: oltre all’oro, anche argento, avorio e un metallo misterioso dai riflessi di fuoco chiamato oricalco; all’interno era collocata una grande statua d’oro che rappresentava Poseidone in piedi su un carro trainato da sei cavalli alati. La città era ricca di templi, palazzi e arsenali e aveva un porto protetto da grandiose mura esterne ricoperte di bronzo. Molti sostengono che la descrizione di Atlantide è fantasiosa e motivata dall’esigenza di Platone di costruire un contesto storico a sostegno delle sue teorie politiche che desiderava vedere applicate nella Grecia dei suoi tempi. Anche lo stesso Aristotele, suo discepolo, non riteneva plausibile questo racconto e scrisse: “colui che ha creato Atlantide, l’ha anche distrutta”. Il video seguente, tratto da uno spezzone della trasmissione Stargate andata in onda su La7, riassume la descrizione di Platone del continente perduto.

Che tipo di catastrofe può essersi verificata? Una così grande civiltà scomparve nel corso di un solo giorno a causa di una tremenda inondazione dalle misteriose origini che furono attribuite a Zeus, il re degli dei, che la scatenò per punire gli abitanti di Atlantide: la loro natura divina che aveva consentito loro di vivere nella felicità, nella ricchezza e nel rispetto delle leggi era venuta meno lasciando spazio alla natura umana caratterizzata da avidità e prepotenza. Al di là di questa interpretazione mitologica, legata all’impossibilità di dare una giustificazione ad un cataclisma di tale portata, esiste una spiegazione scientifica plausibile? E’ possibile che un intero continente possa inabissarsi nel giro di un giorno e una notte come descritto da Platone? Secondo la scienza ufficiale il fondale marino dell’Oceano Atlantico non ha subito modificazioni significative negli ultimi 12.000 anni e di conseguenza nessuna grande isola sarebbe mai potuta esistere. Tuttavia esistono teorie alternative che mettono in discussione gli studi geologici ufficiali: la teoria dello scorrimento della crosta terrestre di Hapgood e quella delle zolle idriche di Brown. Analizziamole brevemente.

Lo studioso Charles Hapgood (1904–1982) sostiene che le calotte glaciali trovano giustificazione esclusivamente nella loro posizione geografica cioè la vicinanza ai poli. Se in passato i territori ricoperti dal ghiaccio e le zone temperate sono diverse da quelle attuali, deve essersi verificato uno spostamento dei poli. La  migrazione dei poli secondo Hapgood è rapida e catastrofica in grado quindi di provocare grandi sconvolgimenti responsabili del diluvio (per lo scioglimento delle calotte glaciali che vengono a trovarsi in una zona temperata) e della morte improvvisa per congelamento dei Mammuth siberiani (che da una zona temperata vengono improvvisamente a trovarsi in una zona polare). La migrazione dei poli sarebbe causata da uno scorrimento della crosta terrestre rispetto al sottostante mantello grazie ad uno strato intermedio sufficientemente fluido e senza che l’asse terrestre subisca variazione alcuna. Tale teoria fu ritenuta plausibile da uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, Albert Einstein, come risulta da una sua lettera del 24 novembre 1952.

Il geologo Walter Brown sostiene che in passato la metà dell’acqua oggi presente sulla superficie terrestre fosse intrappolata nel sottosuolo a circa 15 Km di profondità. Circa 12.000 anni fa la l’acqua in pressione riuscì a trovare una via di fuga lungo una spaccatura della crosta terrestre in corrispondenza della dorsale medio atlantica: da qui fuoriuscì con una violenza tale da produrre una gigantesca inondazione (il diluvio universale) che ricoprì gran parte delle terre emerse e che provocò una rapida deriva dei continenti ed enormi movimenti tettonici con la conseguente formazione delle montagne e delle fosse oceaniche. La teoria è riepilogata in questo filmato (lo stesso riportato nell’articolo sull’Arca di Noè) e tratto da spezzoni della trasmissione televisiva Stargate andata in onda su La7.  

Un mito comune a civiltà diverse. In molte antiche civiltà precolombiane dell’America centrale e meridionale esistono testimonianze tramandate da generazioni che ricordano l’arrivo dal mare di un popolo saggio guidato da un uomo barbuto venerato come un dio che insegnò loro i segreti delle tecniche costruttive e dell’astronomia: Viracocha per gli Inca, Quetzacoatl per gli Aztechi, Kukulkan per i Maya e Thunupa per la cultura Tihuanaco della Bolivia. Lo stesso re azteco Montezuma raccontò agli spagnoli che le origini del suo popolo erano da ricercarsi negli abitanti di Aztlan, una terra lontana nel mare orientale dove si trovava il giardino degli dei. Gli antichi marinai fenici chiamavano Antilla una ricca isola dell’Oceano Atlantico anche se non vi sono prove che questi grandi navigatori si avventurarono nell’oceano oltre le Colonne d’Ercole. In diverse parti del mondo si trovano i resti di antiche costruzioni che civiltà diverse, molto lontane tra loro, avevano edificato con tecniche costruttive molto simili. Esistono poi antichi monumenti di cui nessuno ancora è riuscito a stabilire con certezza la data di edificazione e che possono avere un’età molto più antica di quanto non si pensi: la Sfinge e le piramidi della piana di Giza in Egitto, le rovine di Machu Picchu e di Sacsahuaman in Perù, i Moai dell’Isola di Pasqua, il complesso megalitico di Stonehenge che alcuni ritengono essere una rappresentazione in scala della cittadella di Atlantide e altri ancora (si veda in proposito l’articolo su questo blog intitolato “Le pietre raccontano”). Questi antichi miti e monumenti di pietra potrebbero essere la prova che gli abitanti di Atlantide, in fuga dal diluvio, trovarono rifugio presso popolazioni di diversi continenti a cui tramandarono le loro conoscenze contribuendo allo sviluppo di grandi civiltà che hanno mantenuto il ricordo di questi antichi progenitori. 

Localizzazione di Atlantide. Il continente perduto è stato posizionato in varie parti del mondo in base alle teorie di vari studiosi. La presenza di una grande isola in mezzo all’Oceano Atlantico contrasta fortemente con conoscenze attuali sulla geologia dei fondali oceanici anche se alcuni ritengono comunque possibile una tale eventualità. C’è chi sostiene che le isole Azzorre e le Canarie siano ciò che resta del continente sprofondato. Recentemente è stato ipotizzato che Atlantide fosse il continente Antartico che prima del catastrofico diluvio si trovava in una zona più temperata (in base alla teoria dello scorrimento della crosta terrestre di Hapgood): le rovine di Atlantide sarebbero quindi scomparse sotto una spessa calotta glaciale. Altri ritengono che Atlantide si trovi nel Mediterraneo e possa identificarsi con l’attuale isola di Santorini dove fiorì una grande civiltà fino a quando una catastrofica eruzione vulcanica nel 1450 a.C. sventrò l’isola cancellandone tutta la parte centrale ora occupata dalla caldera del vulcano. Anche se vi sono molte analogie con il racconto platonico, vari elementi non coincidono per nulla, primo fra tutti l’epoca del tragico evento e la posizione geografica che non ha nulla a che vedere con le Colonne d’Ercole (che la maggior parte degli storici colloca sullo stretto di Gibilterra). Per chi invece crede che tali colonne fossero situate nel canale di Sicilia, in base ai confini del mondo antico di Eratostene, Atlantide potrebbe essere la Sardegna: elementi a favore, coerenti con il racconto di Platone, sono il clima, le risorse naturali, i resti di un’antica civiltà nuragica, la vasta pianura del Campidano sulla quale si trovano tracce di un’antica inondazione (si legga in proposito il libro di Sergio Frau, “Le Colonne d’Ercole” del 2002). Infine, secondo altri, Atlantide deve essere localizzata in Sud America, sugli altipiani boliviani. Fino a quando non si troveranno prove archeologiche dell’esistenza di Atlantide, il mitico continente perduto continuerà ad essere uno dei miti più affascinanti dell’umanità e fiumi di inchiostro continuano a scorrere sui libri che propongono continue rivisitazioni e ipotesi sull’isola scomparsa. L’auspicio è che la scienza ufficiale non disprezzi le teorie di questi ricercatori di frontiera solo perché considera Atlantide un mito fantasioso, ma prenda in considerazione il contribuito di coloro che hanno sacrificato anni di studio meticoloso per fare luce sull’origine delle grandi civiltà antiche.

 
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