Creato da Blordo il 10/09/2005

Ordinaria Follia

Chiaro come un lago senza fango; così limpido come un cielo d'estate sempre blu.

 

 

Ho quasi paura.

Post n°124 pubblicato il 19 Ottobre 2008 da Blordo

Probabilmente, improvvisamente mi tramuterò in uno di quei patetici figli di baldracca che scrivono sul blog racconti personali che, verosimilmente, non interessano a nessuno.
Il problema è che oramai, davvero, non si riesce piu a capire un cazzo.
L'irish pub gestito da napoletani si sta lentamente svuotando fra le urla dei "uagliò" che hanno appena assistito alla partita; orde di ragazzini ubriachi sorvegliano l'orologio perchè, fanculo, fra un poco scatta il corpifuoco e tocca tornare a casa da mamma e papà.
Giovinezza.
Io e il mio compare sostiamo al banco con aria distratta, vagamente feriti nel sacco scrotale per ciò che di norma c'è da fare nel buco di merda della città in cui ci troviamo incatenati, e cioè unbelcazzodiniente.
Sorseggiamo Hoegardeen con acuta avidità, immergendoci nei piaceri soavi della schiuma cruda che gigioneggia nella bocca e scende piu giù, e ancora più giù, fino a quando per l'ennesima volta dobbiamo chiuderci al cesso e pisciarla fuori nella turca balorda smerdata da qualche stronzo di cazzone. Occore fare attenzione allo schizzo che rimbalza nella parete carenata e torna indietro cercando di puntigliare i jeans, con le gambe che devono muoversi all' indietro, curando però di non far deragliare di troppo il flusso giallognolo che provocherebbe soltanto un aumento esponenziale del danno. E' un procedimento particolarmente importante per l'ubriaco orinatore di birra.
Torno di là e ad aspettarmi al banco c'è un tipino carino, piccoletta, con un discreto paio di tette e un viso estremamente sensuale: non fate caso ai commenti ma questo era esattamente quello che pensavo mentre camminavo e, facendo il vago, controllavo se il jeans fosse rimasto lindo dalla prova toilette di cui parlavo sopra.
Continuo a pasteggiare il mio vaso di birra mentre questa inizia ad ammaliarmi con futili discorsi del cazzo su ciò che questa città offre; futili discorsi perchè purtroppo sono nella sua stessa condizione e il il fatto che mi venisse ricordato in quel momento, davanti ad una cazzo di birra assieme ad uno dei miei migliori amici, sinceramente mi dava un po sulle balle.
Fatto sta che rimasi ad ascoltarla, annuendo, sorridendo, guardandola negli occhi che guardavano me e che sembravano chiedermi "andiamo immediatamente via che ti trombo tutto dalla doppia punta dei capelli all'alluce.
O forse, certo, era solamente, estremamente ubriaca lercia.
Ingurgitò un paio di shortini come si butta giù la pasticca per il mal di testa, e lentamente la faccia si deformava assumendo sembianze quasi demoniache.
Nulla di più eccitante, probabilmente.
Il problema però si manifestò poco dopo: un paio di compagnucce le ronzarano intorno per qualche secondo studiando bene il da farsi, e poi le si avvicinarono sussurrandole qualcosa nell'orecchio; avranno avuto si e no 14 anni, e forse c'era Zio Mimmo che già le aspettava minaccioso all'uscita del locale curandosi di mantenere intatta la verginità delle proprie nipoti.
Mi decisi a chiedere l'età della simpatica shortina, e i sospetti divennero tragiche realtà: non aveva nemmeno la metà dei miei anni, vaffanculo, nemmeno l'età per guidare uno stracazzo di cinquantino.
Guardai il mio compare che rideva sotto i baffi mentre ordinava un'altra birretta.
I tempi cambiano, inesorabilmente, e probabilmente noi poveri stronzi siamo già fuori tempo massimo.
Arriveremo a scopare la figlia del nostro compagno di banco, cazzo.
Arriveremo a provarci con la sorellina del vicino di casa che fino a un paio di anni prima si accomodava nella parte superiore del carrello della spesa della mamma che per farla contenta le comprava i ritornelli del mulino bianco.
Arriveremo, improvvisamente, a vedere la chiamata "mamma" nel cellulare di colei che in quel preciso momento sta facendo cose che mamma non può neanche immaginare.
Probabilmente occorrerà apporre una targa nel petto di ognuna di queste con la scritta attenzionesonopiùcheminorennemasonovestitadabaldracca.
Non lo so.
Detto fra noi, inizio ad avere paura.

 
 
 

Niente.

Post n°123 pubblicato il 27 Settembre 2008 da Blordo

Stare male non è la scusa, ma è la prima che mi viene in mente.
Sentirsi cesso dentro, con tanto di sciacquone ben rifinito, magari lavorato a mano con tanto di brillantini rosa e violetto.
Vomitare merda.
Gesù nono, non è propriamente una bella cosa.
Masticare chewingum poi non penso possa risolvere il problema, nemmeno stemperarsi la lingua con dentifricio mentolato da 3 euro e 50 comprato all' Auchan.
Nonono.
Ma come si fa, se capita?
Come giustificarsi, con chi ti vede?
E come andare avanti nella vita?
Tzè tzè tzè.
Febbre, catarro e diarrea non possono aiutarti nella difficoltosa scelta.
Lavorare precariamete con gente che ti apprezza e poi magari te la colloca nel deretano ma gentilmente, con cura, chiedentoti per favore, non può evitare l'uso della beneamata vasellina.
La realtà è l'irrealtà.
Crogiolarsi nel pensiero di vincere la lotteria e aprire quel fottuto bar a Cuba, o in Brasile, o a Santo Domingo, dove sorseggi mojito e la gente si limita a chiederti como estas o que tal amigo mio.
E intanto scopi la mulattona amica del tuo migliore amico che apprezza la performance e giura che ti ama quando è solo per poterti chiedere il televisore al plasma da 700 dollari del centro commerciale giù a down town.
Ma cristo dio, che casino.
Cosa dico, cazzo, non sto facendo casino?
Aspirina aulin birra e grappona balorda con bottiglione antiestetico.
Seghe mentali o seghe fisiche, giorni chiuso in casa in una merda di città che non senti tua e che vorresti abbandonare.
Ma in cui sei rinchiuso, per ora, senza possibilità di fuga.
Indulto.
Vorrei scappare.
Vorrei tirarmi giù dal cavo d'acciaio come in Tango e Cash e atterrare nel fango al di là delle mura lontano da quei ciccioni omosessuali che sognano di scopare il mio culetto ancora vergine.
Forse ho bisogno d'aiuto?
Forse sto impazzendo?
Forse ho semplicemente bisogno di scopare, già che è un po e inizio a sentirne la mancanza.
Ma come si fa a rilassarsi se il contesto intorno a te è improvvisamente diventato una grossa, nauseabonda nuvola di diarrea?
Accendo una sigaretta e penso a tutto questo mentre mi suona il cellulare.
Cazzo fai dove sei esci stai male ma no ma vaffanculo dai allora quando stai meglio ci ribecchiamo.
In realtà io non vorrei ribeccarti, ma è la sola cosa che posso fare.
La mancanza di alternative valide mi manda fuori di testa.
Ma non c'è proprio uno stracazzo di niente che per il momento possa farmi godere.
Viva Iddio. E viva la vita.



 
 
 

Welcome.

Post n°122 pubblicato il 19 Settembre 2008 da Blordo

E' un po come risalire lungo un buco nero di un centinaio di metri senza nessuno che ti porga la mano ma con tanti, troppi energumeni che al di là del dirupo ti mostrano il culo peloso e tu dalla tua posizione riesci a scorgere persino un brufolo spremuto.
Che merda. Però, pensa quanta attenzione hai prestato.
Tornare dal nulla dopo essere stato in coma vegetativo per anni e l'unica persona che vedi di fianco a te è una donna che dice di essere tua madre ma tu perlamadonna dici di no, cazzo, mia madre me la ricordavo diversa.
Diversa, già.
Quando per un briciolo di vita ho assaporato quel piatto sivigliano che mi faceva impazzire e la sbavucchia iniziava a contornarmi gli angoli della bocca, rendendomi patetico oltre che orribile da vedere, è arrivato il rotto nel culo che me l'ha levato e mi chiesto la cuenta por favor.
La cuenta por favor!
Il risultato è stato un catarro ben lavorato dritto nell'occhio, col poverino che palpeggiava le mani in aria alla ricerca di un tovagliolo che nessuno dei commensali voleva dargli. UH!
E allora toccandomi il pisello e grattandomi il culo ho pensato a come tutto può capovolgersi da un momento all'altro. Io il Re del Mondo e tu il povero, patetico e inutile figlio di baldracca che prima ostentavi forza e sicurezza e tutto d'un tratto hai visto catapultato la tua carcassa umana priva di significato nell'oblio della tristezza.
Bienvenido, hermano.

 
 
 

Si.

Post n°121 pubblicato il 31 Agosto 2007 da Blordo


Si. Sono ancora vivo.
O almeno, il famoso animale che mi porto dentro è ancora vivo.
Diomio. Scrive ancora cazzate.
Si. Sono appena tornato.
A scrivere cazzate.
Beh. Presto o tardi.
Torno.
A scrivere cazzate.

 
 
 

Rutto libero.

Post n°120 pubblicato il 31 Luglio 2007 da Blordo

Questa sera ho fatto una cosa che non facevo da molto.
E’ vero, a differenza del mio ultimo periodo invernale che ho passato davanti al cazzo di portatile per stendere la mia tesi di laurea ora è tutto diverso: vuoi per questo caldo stronzo che rende la mia mansardina peggio di una sauna, vuoi per tutta una serie di circostanze che non ti sto a raccontare ora perchè, si, credo già che ti annoierò un po’ ugualmente.
Sia detto per inciso, non me ne frega un cazzo.
Ma questa sera, l’ennesima sera in cui il mio letto mi intrappolava fra le sue cazzo di lenzuola sudate ho deciso di alzarmi, di aprirmi una birretta da trentatrè e di sparare un po di cazzate. Così. Per il gusto di farlo.

Perchè pensavo.
Pensavo ai punti di vista.
Pensavo a come cambiano le cose a seconda del proprio modo di vivere la propria cazzo di vita.
Massì, ora puoi digitare anche fighegratis nel tuo motore di ricerca, so che perlomeno sarà più interessante.
Non resistere alla tentazione, fallo.
Io vado avanti.

Dicevo che pensavo a questa banalità perchè, per l’ennesima volta a distanza di qualche giorno, ho visto un’altra amica, o forse sarebbe meglio dire un’altra conoscente, con un cazzo di pargoletto fra le braccia.
Inseminato, sfornato, cresciuto.
Mi sono perso gli ultimi anni della sua vita e la ritrovo, davanti al centro commerciale, sfatta e ingrassata come un cencio andato a male.
E ti dirò, mi ha fatto un po’ pena. Davvero. Immaginavo a quanto possa essere pesante, ora, per lei, conoscendola, la sua cazzo di vita.
Poi però ho pensato ad un’altra cosa.
Ho pensato a quanto lei potesse pensare la stessa cosa di me. Ritrovarmi dopo qualche anno, con la stessa faccia di merda, con la stessa, stramaledetta impossibilità a fare qualcosa di concreto nella mia vita.
Come lavorare, intendo.
Come crescere, maturare.
Probabilmente ha detto questo a Inseminator, steso sul sofà dell’ikea, blaterando su quell’insulso, patetico frugoletto che è rimasto tale anche se ha ventisei anni. Non mi conosce, non sa più un cazzo di me, non è al corrente della mia vita come io non sono al corrente della sua. Semplicemente, se lo immagina.
Pensa che sia così.

Poi ho fatto un’altra associazione di idee. Ripensavo a qualche sabato fa quando ho incontrato un vecchio amico che non vedevo più dai tempi delle superiori. Il destino, Dio, chiamalo come ti pare, vuole che ci incontriamo solamente quando solo ubriaco. Ora, fatti pure le tue seghe mentali, ma ultimamente è davvero raro che mi riduco a bere tanto da ubriacarmi. In un anno quante volte sarà capitato, cinque?, sei?.
Bene, almeno in quattro di queste occasioni ho incontrato questo stronzo.

Immagino dunque cosa possa pensare di me. Non che me ne frega un cazzo di cosa possa pensare un maledetto inetto pezzo di merda che mi vede sempre visibilmente euforico, ma mi rendo conto che lo fa. Così come io lo faccio di lui, pensando che sia un fottuto represso del cazzo che ha passato la sua adolescenza a giocare a pallavolo fottendosene di coltivare una qualsiasi relazione sociale con il mondo che lo circondava.

Quello che è successo, quello che mi preoccupa è che ognuno di noi, perdendosi per la propria strada come peraltro è giusto che sia, troppo spesso si dimentica di pensare che le strade degli altri, più o meno ripide della propria, siano comunque da condividere e da accettare.

Perchè allora mi fa pena vedere la ciucciacazzi di qualche anno fa con un bambino nel passeggino?
Perchè prendo per il culo il pallavolista che beve acquatonica in disparte nel locale?
E perchè, allora, non mi prendo a pugni in faccia per quanto sono stronzo ad aver fatto quello che ho fatto?
Quello che voglio dire probabilmente non ha un senso, e probabilmente non mi avrai capito.
Del resto è difficile spiegarlo qui, adesso, all’una e un quarto del trentuno luglio. Ma forse quello che voglio dire è che mi sono rotto il cazzo di quello che sono.
O che mi sono rotto il cazzo di quello che sono gli altri.
O che mi sono rotto il cazzo di quanto l’unica persona che veramente conosci e conoscerai fino in fondo e di cui non parlerai mai sinceramente male sia quello stronzo che si riflette nello specchio.

E quello che voglio fare ora è dare l’ultimo sorsetto alla mia birra, spegnere la cicca nel portacenere rigonfio e andarmene per un poco lontano da qui.
Magari proprio lì, dentro lo specchio.
Ma non a sfornare pargoli a ripetizione e a ingrassare di sette, otto, nove chili, in canottiera e ciabatte, ruttando davanti ai bellissimi di rete quattro.  
Questo, davvero, per il momento credo di non poterlo fare.

 
 
 

Vado a fare due passi.

Post n°119 pubblicato il 19 Luglio 2007 da Blordo

Credo di essere morto.
Virtualmente morto.
Nello specchio vedo ciò che mi sta dietro, ampolline, boccette, vecchi shampoo con scadenza ottantanove rubati chissà dove quanti anni fa.
Mi palpeggio il cazzo e, giuda, no, non sono morto.
Forse mezzo morto, o forse mezzo vivo, un po come quel cazzo di bicchiere riempito a metà.
Fanculo la banalità, hai ragione.
Fanculo anche a me, mi dico nello specchio che non mi riflette.
Io devo riflettere.
Devo scegliere.
Devo decidere.
Devo girare, proseguire, attraversare.
Devo prendermi per le palle.
Devo muovermi di qui.
Ma come faccio se non ci sono?
Devo modellarmi, crearmi, riplasmarmi.
Devo tracciare i miei contorni, riempirmi, colmarmi.
E poi devo spostarmi, muovermi, scuotermi.
Ecco cosa devo fare. Devo scuotermi.
Certo che qualche posto è così maledettamente lontano che pare essere in un altro mondo.
E lo è, per certi versi.
E ci si accorge soltanto quando qualcuno, improvvisamente, scompare.
Puf.
E quel qualcuno non è Dio. O perlomeno non gli assomigliava affatto.

 
 
 

Tzè.

Post n°118 pubblicato il 18 Maggio 2007 da Blordo

Fai la doccia fredda perchè ti rinfresca dopo una giornata di sudore molliccio o la fai calda perchè così appena esci fuori ti sembra che sia tutto più fresco?

Tzè tzè tzè.

Pensaci bene, amico, pensaci molto bene.
Ne va della serata.
Non vorrai uscire di casa tutto lindo e profumato e accorgerti, dopo qualche minuto, che l’ascellina pezzata ha già creato il suo alone più scuretto sulla tua camicia blu?

Una birra ghiacciata ti rinfresca bocca e corpo e allieta la tua giornata afosa o la gradazione alcolica contenuta nella soffice schiuma non fa altro che farti sudare ancora di più, e ancora di più, e ancora di più?

Tzè tzè tzè.

Riflettici bene, riflettici molto, molto bene.

Vai al mare sulla sabbia che però ti rompe il cazzo perchè ti rimane appiccicata un po’ ovunque e poi la ritrovi persino nelle mutande, a casa, dopo esserti fatto la doccia oppure vai nella spiaggia di sassi che ti frantumano piedi e maroni e alzano la probabilità di una distorsione alla caviglia non appena provi ad entrare in acqua?

Tzè.

Un po' come a dire,

preferisci vivere prendendo l’inquilino per lo scroto e decidere tu che cazzo vuoi fare oppure aspettare che sia lui a darti i calci nei coglioni fino a farti spiluccare con lo stuzzicadenti samurai un tuo testicolo che risalendo su è finito in mezzo ai denti?

Tzè tzè tzè.

Riflettici bene, amico mio. Riflettici molto, molto bene.

 
 
 

I passatelli secchi al tartufo mi hanno rotto il cazzo.

Post n°117 pubblicato il 04 Maggio 2007 da Blordo

Volare è utile, atterrare è necessario.
Certo, direi.
Decollare è soltanto una sottigliezza, una sottigliezza piacevole ma soltanto un piccolo, insignificante dettaglio.

Ma è durante il decollo che avverti quella vaga sensazione di panico che aleggia proprio di fianco al vano portabagagliamano, che le hostess con tanta cura richiudono in una continuo click a effetto domino.

Clickclickclickclickclickclickclickclick.

Quella sensazione di panico che tutti provano nel momento in cui la terra sotto i piedi si allontana sempre di più e il muso dell’aereo si impenna sempre più su, e sempre più su, e taglia le nuvole con le sue ali tremolanti, e sobbalza in alto e in basso e a destra e a sinistra, e accende le spie col disegnino della cintura che è assolutamente vietato togliere.

I motori a massima potenza fanno uno strano rumore? Dio mio.
Pensi allo stormo di uccellacci del cazzo che si disintegrano all’interno della turbina mandando a puttane un motore.
Pensi alla cara e vecchia statistica che sottolinea come sia il decollo il momento più pericoloso di un volo.
Pensi a quella vite spanata che il sig. Martelli non ha stretto abbastanza in fase di revisione e che tutta tremolante sta per spiccare il volo a strapiombo dritto in testa al vecchio che passeggia col nipotino.

Sottigliezze, queste.
Piccoli, insignificanti dettagli.

La classe in gita delle medie abbandona le limonate e l'erotismo sottopatta e urlicchia proprio come al cinema si urlava per il vampiro che succhiava il collo alla figona idiota: urla insopportabili, perchè inutili.
Discutibili.
Opinabili.

Vorresti piuttosto sentire le urla di chi precipita a trecento all’ora roteando su stesso decine e decine e decine di volte.

Invece no, no, tutto  si stabilizza col suono secco di una spia che si accende e con il comandante che farfuglia di temperature a bordo e orari vari.
La fusoliera si posiziona in orizzontale e tu puoi slacciare la tua fottuta cintura, puoi allungare le braccia comprimendo le mani fra loro e sentire che tutto intorno a te si ammorbidisce e si distende, puoi dire al ciccione di fianco a te di farti passare perchè devi prendere il giornaletto che hai nel vano portabagagli.

L’odore sgradevole della cingomma alla menta masticata avidamente dal ciccione si confonde ai suoi certo e ai suoi si mentre scavalchi quelle gambe budinose e ti ritrovi proprio al centro di quel grande ammasso di ingegneria che vola a cinquemilametri.

Ed è proprio in quel momento, proprio in quell’esatto momento che ti rendi conto di volare.

Volare verso una destinazione precisa, che hai scelto qualche tempo prima e per la quale hai deciso di aspettare al check in che l’odioso omino rompesse il cazzo sul peso della tua valigia.

Per l’atterraggio quanto manca? ore?, minuti?, secondi?
Non ha importanza.

L’importante è scendere da quell’aereo e trovare agilmente l’uscita senza perdersi  in un tripudio di scritte e di razze ma procedendo, a testa alta, verso il traguardo.

E se mentri cammini riesci a pestare una merda anche dentro l’aereoporto beh, amico mio, non avvilirti: pensa che c'è sempre stato qualche stronzo, prima di te, che non è riuscito nemmeno ad arrivare al cesso.

 
 
 

La sagoma.

Post n°116 pubblicato il 20 Aprile 2007 da Blordo

Il passato, a volte, ritorna.

Ma non con un vecchio pezzo trasmesso per radio che hai risentito dopo quanto tempo.
Non con l’odore di primavera avanzata che ti fa tornare un piccolo escrementino umano alle prese con la vita.
Non con quel vecchio pseudo-amore con cui pomiciavi sulla panca e che hai rivisto, di nuovo incinta, sempre più brutta e sempre più incazzata.

No.

Il passato ritorna con una sagoma.

Una sagoma in maglietta e pantaloncini.
Una sagoma mezza indiana, mezza peruviana, in effetti non lo sai con precisione.
Una sagoma che lentamente hai visto crescere, negli anni, mentre tu svoltavi sulla strada obbligata e lui doveva fermare quel pallone che calciava con noncuranza contro il muretto a mattoncini di quella che presumi fosse la sua casa.

Entravi in macchina, accendevi la tua autoradio, facevi qualche metro e lui era lì, era lì a giocare col suo cazzo di pallone, era lì a bestemmiare chissà quale dio in chissà quale lingua perchè tu, brutto stronzo rompicazzo, passavi e impallidivi la sua frivola e solare giornata di sport in solitario.
E ti guardava pure sull’incazzato, con l’aria di chi ti vorrebbe mandare a cacare perchè, cazzo, hai interrotto il suo bel giochino del momento.

All’improvviso, però, la sagoma è scomparsa dalla tua vita.
Quanto.
Uno, due, tre anni.
Cinque, sei, sette mesi.
Qualche giorno.
Qualche ora, persino.
Non lo sai.
E non lo sai perchè ormai faceva parte della tua vita.
Faceva parte di ciò che quotidianamente vedevi come l’albero sulla curva, come il casottino squallido dell’enel, come la grande casa gialla che dominava la strada.

Potrebbe essere scomparsa per un lungo periodo.
Lunga degenza ospedaliera, ritorno alle origini, arresti domiciliari. morte e resurrezione, varie ed eventuali.

Oppure.
Oppure non potrebbe essere scomparsa affatto, se non dalla tua mente assorta in chissà quali - e quanti - pensieri stonati, che ha deciso di accantonarla in un angolo del tuo cervello.
Semplicemente, il tuo processore eliminava di default quella figura dalla strada e faceva in modo che la tua attenzione venisse catturata, che so?, dal culo della mammina bionda col bambino, dallo stronzetto a forma di cuore di Rufus sul marciapiede, da quella scritta cubitale che precisava "viva la figa e la juventus".

Poi, di colpo, oggi, quella sagoma è riproiettata ancora lì.
Ancora con i suoi calzoncini.
Ancora con il suo pallone.
Ancora con la sua carnagione scura.
Ancora col suo viso tirato, più vecchio e più vissuto.

Regole sociali condivise dai più ti vietano ti imbarcarlo.
Sei d’accordo, tutto sommato.
Ma nulla può impedirti ti chiedere a te stesso, con non poca curiosità, perchè cazzo quella sagoma non trova niente di meglio da fare che dare calci ad un pallone contro un muro.

La solitudine è una risposta, ma non una giustificazione.

E la voglia di scopare un poco, a quattordici/quindici anni, dovrebbe prevalere anche nel più inutile degli stronzi.

Ma lui continua a dare calci ad un pallone.
E allora forse è meglio riaccantonarlo.
E ritornare a concentrarsi sul culo della mammina bionda.

 
 
 

Una favola antica. Meditazioni.

Post n°114 pubblicato il 13 Aprile 2007 da Blordo

C’era un uomo che viveva a Chicago e gli cresceva l’erba sulla faccia.
Egli era infelice: sulla faccia aveva l’erba e sulla testa piante che perdevano le foglie. Per tagliarsi i capelli usava la motosega.

C’era poi una donna che viveva ad Erba; era molto bella, però i suoi pori secernevano escrementi invece che sudore.
Era triste la sua condizione per quell’infausta secrezione.

Cacca dalla faccia.
Cacca dalla faccia.

Ella era infelice.
Sono infelice.

Lui decise che per essere felice doveva emigrare da là: addio alla delusioni chicaghesi, addio all’importantissimo nodo ferroviario.
Si diresse così all’aereoporto per volare fino ad Erba e lì trovare l’erba sulla faccia delle gente.

Lei, di contro, per un caso che potrà sembrarvi strano, decollò da Erba alla volta di Chicago: questo nome suscitava, nella fetida ragazza, una nuova speme.
Ma già dopo il decollo la gente voleva buttarla fuori.

Ma il destino era in agguato sottoforma di pilota che, svenuto per le esalazioni, nel suo sogno di pilota si trasformò in kamikazee e si diresse verso l’aeroplano che da Chicago andava ad Erba.

E il bagliore dell’impatto fece luce sui due volti, l’uno verde l’altro invece no.

E lui cadendo vide lei.
E lei cadendo vide lui.

Mi presento io mi chiamo Jonathan Grass, disse lui sfrecciando nel blu.
Chiedo scusa per l’audacia ma mi rendo conto che qui fra non molto poc’anzi moriremo, e per l’impatto al suolo, e per il grave scontro e se mi è concesso per lo shock che entrambi abbiamo subito poco fa.

Si figuri, caro amico. Sono conscia anch’ìo del fatto che qui il tempo stringe e per dimostrarle che è vero le metto la lingua in bocca.

Il contatto dei due visi, misto all’impeto d’amore, fece da rimedio a quella tragedia: l’erba si allungò all’istante per l’effetto concimante “cacca + amore”.

Operano piu miracoli di quanto non si creda.

Ma la luce dell’amore fu oscurata dall’odore che quella puttana sprigionava e lo sventurato amante, ritirandosi all’istante, si negò all’abbraccio e disse pfui avviluppandosi nell’erba.

Lui cadendo sulla terra disse muoio sulla terra.
Lei gli cadde sopra e ne morì, originando lì per lì l’allegra aiuola dell’amore.

In quel mentre due bifolchi, ivi intenti a tracciar solchi, videro l’evento e dissero portento!: questo spoglie sovrapposte sono un monito celeste, presto grandi feste per celebrare il concime che rese i campi coltivabili.

E la morale di questa storia? E' che la merda non è cosi brutta come la si dipinge.

Meditate.

(EelST)

 
 
 
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Ve lo dico io di cosa parla Like a Virgin. Parla di una ragazza che rimorchia uno con una fava grossa così. Tutta la canzone è una metafora sulla fava grossa. Parla di una figa che scopa come una matta a destra e a sinistra, giorno e notte, mattina e sera. Cazzo.cazzo, cazzo-cazzo, cazzo-cazzo, cazzo-cazzo, cazzo! Finchè un bel giorno incontra un tipo cazzuto alla John Holmes. E allora..vai alla grande! Cioè uno che con l'attrezzo ci scava i tunnel, come Charles Bronson ne "La grande fuga". Lei ci da dentro come una maiala fino a che sente una cosa che non sentiva da un secolo: dolore. Dolore! Le fa male. Non dovrebbe perchè la strada è bella che asfaltata, ormai, ma quando il tipo la pompa le fa male. Lo stesso dolore che sentì la prima volta, capite? Il dolore fa ricordare alla scopatrice di quando era ancora vergine. E quindi, Like a Virgin.

 
 
 
 

Questa particolare storia si svolge in un cesso pubblico. Perciò devi conoscere tutto di quel cesso pubblico. Devi sapere se c'erano gli asciugamani di carta o il getto d'aria calda. Devi sapere se i pisciatoi avevano le porte oppure no. Devi sapere se c'era il sapone liquido o quella schifossissima polvere rosa che si usava al liceo. Devi sapere se c'era o no l'acqua calda, se c'era puzza. Se qualche pezzo di stronzo schifoso bastardo figlio di puttana aveva schizzato di diarrea una delle tazze. Devi sapere tutto quello che riguarda quel cesso. Perciò quello che devi fare è raccogliere tutti i dettagli e farli tuoi. Le cose importanti da ricordare sono i dettagli. I dettagli rendono la storia credibile.

 
 
 
 

Sono sepolto in questo buco, prendo meno di un negro alla catena, lavoro anche nel giorno di riposo, quelle cazzo di saracinesche si sono bloccate, ho a che fare con i peggio balordi di questo pianeta, puzzo di lucido da scarpe, la mia ex ragazza è in catalessi dopo aver scopato con un cadavere e la mia attuale ragazza si è ciucciata trentasei cazzi.
Deciditi o cachi o tiri su le braghe. O cachi, o braghe.
Parlo di quello che ti senti, questa incapacità che hai di migliorare il tuo stato. Te ne stai li a lamentarti che la vita ti ha fregato, ti avessi mai visto prendere la responsabilità di dare una svolta alla tua situazione. Se ti fa schifo questo posto, e chi ci viene, e se ti caca il cazzo di essere qui il tuo giorno libero, ma perchè allora non ti licenzi?  Tu che fai il melodramma sei naturale come uno che caca dalla bocca.

 
 
 
 
 

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