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Zona di guerra

Post n°81 pubblicato il 25 Marzo 2007 da spes74
 

Durante un conflitto armato sappiamo tutti cosa sia una zona di guerra; le immagini, almeno quelle che vogliono farci vedere, ci arrivano un po' da tutti i canali mediatici. 
Conclusa però la guerra, e quindi finite le immagini, ci dimentichiamo che anche a distanza di anni dalla fine ufficiale di un conflitto ci sono ancora zone che possiamo considerare di guerra.
Ho avuto modo di rifletterci guardando un servizio del
tgr Europa della Rai su un gruppo di donne albanesi; queste donne, sul confine con il Kosovo, svolgono un lavoro estremamente pericoloso: cercano e disinnescano le mine antiuomo di cui la guerra civile nell'ex Jugoslavia ha riempito i boschi e i campi della provincia tuttora controllata dalle Nazioni Unite, in attesa dalla comunità internazionale di un nuovo status per il futuro. E lo fanno per quattrocento euro al mese.
Il servizio apre con i loro preparativi: si svegliano all'alba, indossano una pesante protezione (servirà a qualcosa in caso di esplosione? Ho qualche dubbio) ed imbracciano il metal detector, come veri militari consumati.
Dall'intervista di una di loro, scopriamo che il marito in fabbrica guadagna solo cento euro al mese e non bastano per portare avanti una famiglia composta da quattro persone; i suoi quattrocento euro sono indispensabili ma, dichiara sempre la donna, se trovasse un altro impiego qualsiasi anche a duecentocinquanta euro lo accetterebbe subito lasciando questo.
Si, perchè per quattrocento euro al mese lei rischia la vita tutti i giorni.
La figlia, a ragione, dice di essere ogni giorno più preoccupata: se per un motivo qualsiasi la sera c'è un ritardo nel rientro e la mamma non riesce ad avvisare, lei vive quei momenti angosciata.
Vittime di guerra anche a distanza di anni, fisicamente e psicologicamente.
Queste persone rischiano tutti i giorni di saltare sopra una mina: le donne lavorando per cercarle e disinnescarle, i loro figli semplicemente giocando; se va bene si perde solo una gamba ma non c'è problema, una bella protesi (magari gentilmente offerta gratuitamente da qualcuno che ha bisogno di un po' di pubblicità) e torni come nuovo: puoi anche camminare, quasi come prima!
Cosa si potrebbe desiderare di più?
Tanto per cominciare riuscire a tornare a quella normalità che dovrebbe essere naturale per ogni individuo.
Finalmente pare si stia muovendo qualcosa contro le "cluster bomb" (o bombe a grappolo):
un gruppo di 49 Stati, agenzie delle Nazioni Unite, il comitato internazionale della Croce rossa, la Coalizione contro le armi a grappolo ed altre organizzazioni umanitarie di rilevanza mondiale riunitesi a Oslo il 22 e 23 febbraio ha raggiunto un accordo sulla Convenzione contro le Cluster Bomb promossa dal governo norvegese.
Secondo
l'Osservatorio sulla legalità è stato raggiunto un accordo per la messa al bando di queste bombe che hanno varie cariche esplosive che prima di cadere al suolo esplodono con effetti nell'arco di vari chilometri e contengono centinaia di bombe piu' piccole che a volte si depositano al suolo, diventando un pericolo per chi le calpesti inavvertitamente. Circa il 20% degli ordigni resta inesploso, ma rispetto alle mine essi sono piu' pericolosi, in quanto hanno un raggio d'azione di 150 metri, quindi uccidono chi le calpesta e uccidono o feriscono anche chi si trovi nel loro raggio d'azione.
Temo però che finchè ci sarà una cultura della guerra così diffusa, la rinata voglia di conquista da parte dei soliti noti e fabbriche di guerra che devono produrre armi per non chiudere i battenti, la corsa verso la diplomazia come unica "arma" di persuasione avrà sempre il freno a mano tirato.

Fonti: wikipedia, tgreuropa, osservatorio sulla legalità.

moniok




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