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« AbdeltiffAprile »

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Post n°2031 pubblicato il 02 Aprile 2015 da ossimora
 


«Nel momento in cui mi sono ritrovato a scrivere questo libro, ho cercato di restituire sulla pagine quello che succede a tutti 
noi quando proviamo una forte sofferenza: diventiamo il centro dell’universo,qualunque sia il tipo di dolore, ed escludiamo tutto il resto.»

 Intervista a Marco Peano.

Iniziano giornate di tempi lunghi e vacanze ,non molti ma ci vogliono .Imperativo categorico:  ritualità siano a zero ed orologio assente .

Stamattina ho finito di leggere “L’invenzione della madre “di Marco Peano . Ho incontrato ed ascoltato l’autore nemmeno una settimana fa .Opera prima . Libro autobiografico .

Il racconto minuzioso del distacco dalla propria madre malata di cancro , di un giovane il quale  si fonde totalmente in lei , in quello che sta accadendo al suo corpo , alle sue cellule . Gli anni della speranza, degli interventi ,l’agonia e la fase terminale e poi la morte e la sua mancanza ; spazio interiore di dissoluzione e di inclusione metafisica.

 Il tutto raccontato con una scrittura attenta , essenziale , a tratti sconcertante per la capacità di percepire sfumature di emozioni che spesso sfuggono e grazie a lui riemergono alla coscienza. La rabbia , la voglia di prolungare un discorso già invece interrotto dalle possibilità dei farmaci e del dolore .Evocativo, commovente , ben scritto. 

 

MINIMUM FAX

Mattia  ( il protagonista ) mette in scena  un’autopsia del presente. Non può far altro che vedere corrispondenze, coincidenze, situazioni che accidentalmente eppure inevitabilmente si mettono in rima: esplorare metafore, studiare etimologie. Perché laddove, al cospetto della morte, tutto perde senso, allora tutto deve avere senso, ogni particella di realtà è sintomatica e rivelatrice,il significato deve nidificare ovunque. E nonostante ciò tutto resta intollerabile e l’indagine non conduce a nulla se non a immaginare di poter conservare il fiato della madre in una serie di palloncini così da poterne affrontare la mancanza futura inalandone il respiro.


La madre, in qualche modo, pur essendo il fulcro della storia e l'oggetto d'amore,è stata cancellata. Nonostante Mattia cerchi di registrare ogni suo respiro,ogni frammento infinitesimale della sua esistenza prossima all'esaurimento,«quando però prova a immaginarla prima della malattia, incontra una specie di ostacolo mentale che frena il ricordo. È incapace di visualizzare il volto di lei se non sovrapponendolo con quello che conosce ora»: il volto deturpato dell'agonia. Ritrovare il suo vero volto, la sua identità, è un atto mnemonico impossibile. In qualche modo c'è già una risposta alla domanda che si è fatto considerando la “belva calva”: forse sua madre è davvero diventata la malattia, la malattia l'ha sostituita spazzando via la sua intelligenza e ciò che è stata, occupando interamente il suo carapace ferito, sfinito, svuotato del sé. In qualche modo, Mattia deve riappropriarsi della memoria e della persona: così, come suggerisce il titolo del libro, ricreare l'essere amato e perduto che un tempo ha creato lui, anche tramite gesti che a un osservatore esterno potrebbero sembrare folli, o di un lirismo stupido e puerile.

 

 
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