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« Messaggio #609Messaggio #611 »

Post N° 610

Post n°610 pubblicato il 05 Agosto 2006 da ossimora
 
Tag: Letture

Rotko

Mi ha inviato questo articolo di Garimberti ,una mia amica .

Mi ha fatto piacere perchè era un pò che non la sentivo e  poi mi ha fatto  riflettere, si perchè pur essendo cose  che sappiamo già bene ,suonano come un vuoto deja vu .Ho provato  a leggerle, tentando di "ascoltarle", mi rendo conto di quante volte si riesce a distogliere l'attenzione ,a fare una specie di censura mentale.Ad una prima lettura ho scorso via veloce ,mi accorgo altresì che ascoltando  un notiziario alla radio  mi  colpiscono spesso  le notizie VICINE;anche minimali ma adiacenti.

L'idea di "analfabetismo emotivo "mi sconvolge anche perchè la percepisco sulla pelle  ed attorno a me e segna la cifra delle discussioni e delle chiacchiere quotidiane riempiendo di vuoto .


Umberto Galimberti: Dal non-mondo all’inferno su quelle piccole barche Tratto da “la Repubblica”, 31 luglio 2006

Ho osservato con attenzione la fotografia della barca dei clandestini alla deriva. Ha l’aspetto e le dimensioni di quelle piccole imbarcazioni per cinque o sei persone che nel periodo estivo si noleggiano sulle nostre coste per un giro di un paio d’ore in mare. Sei metri per due, neanche 12 metri quadrati. Stipate fino all’inverosimile ventisette persone. Ciascuna delle quali aveva pagato 1.500 dollari per l’acquisto dell’imbarcazione senza conducente. Avevano detto loro: «Seguite le luci delle piattaforme petrolifere e arriverete a Lampedusa». Le luci le videro la prima notte, poi il motore si ruppe e senza orientamento si persero nel mare. Senza cibo e senza acqua, esaurita nei primi tre giorni, i ventisette disperati incominciarono a gettare a mare chi tra loro, sotto il sole cocente di giorno e il freddo della notte, non riuscì a reggere per tutti i venti giorni in cui erano in balia delle onde, senza neppure più la forza di sperare. «Anche per morire paghiamo» ha dichiarato Hammed, 22 anni, eritreo, uno dei sopravvissuti. «Lo sapevamo che con quei 1.500 dollari pagavamo il biglietto per la nostra morte, ma c’era anche la speranza che qualcuno di noi ce l’avrebbe fatta. E allora abbiamo tentato. E’stato come una scommessa dove in palio c’era la vita o la morte». Se la barca costava 40 mila dollari non si poteva essere meno di ventisette. Il che vuole dire 30 centimetri a persona, acqua e viveri al minimo per ragioni di spazio, bisogni corporali davanti a tutti come gli animali, neppure lo spazio per sdraiarsi se uno sta male. E poi i morti e la puzza dei loro corpi che cancella la pietà. Ma se la posta in gioco non è quella di migliorare le condizioni della propria esistenza, ma, senza alternative e in piena consapevolezza, quella più crudele di vivere o morire, quali sono le condizioni di vita di Hammed, di Mustafà e di quanti come loro raccattano un po’di soldi come possono nei loro paesi d’origine e poi, dall’Eritrea, dal Mali, dal Sudan, dal Darfur giungono in Libia per l’ultima scommessa con in palio una posta da roulette russa? Non ce lo immaginiamo, non ne abbiamo esperienza, tanto meno percezione, per cui la notizia di questa tragedie, soprattutto se reiterate quasi quotidianamente, ci scivolano sopra la pelle senza provocare alcun brivido, alcuna scossa al nostro sentimento morale. E così la povertà, che dal continente africano dove dilaga, incomincia a intaccare il nostro mondo, non provoca in noi alcuna reazione, anche se sappiamo che l’estrema povertà non è solo mancanza di cibo, non è solo un incontro quotidiano con la malattia e con la morte, ma è soprattutto la fuoriuscita dalla condizione umana e insieme la sua riapparizione come "incidente della storia", che fa la sua comparsa televisiva quando i conduttori della storia passano da quelle lande disperate che un giorno chiamavamo "terzo mondo" e che ora, visti i tenori di vita raggiunti dal primo mondo, potremmo chiamare "non-mondo", puro incidente antropologico, non dissimile da quegli incidenti geologici o atmosferici che, sotto il nome di terremoto o alluvione, chiedono soccorso. Ma cos’è un "soccorso umanitario" se non la latitanza del nostro sentimento morale che si accontenta di un gesto di carità, senza avere la forza di sollecitare la politica? E qui non penso alla politica che fa gli affari con la fame nel mondo, penso alla politica come al "non-luogo" della decisione, perché la decisione avviene altrove, in quell’altro teatro, l’economia, che da due secoli a questa parte sembra aver ridotto la politica a un siparietto di quinta, dove ha luogo la rappresentazione democratica di interessi che operano dietro la scena e lontano dagli schermi. Quando, senza scomporci, veniamo a sapere dai telegiornali che nella regione dei Grandi Laghi, nel Sudan e nel Darfur due milioni di uomini donne e bambini sono stati ammazzati con il machete e un altro milione manca all’appello, un appello che non si fa a nominativo, ma per cifre che oscillano, a seconda dei diversi calcoli delle organizzazioni locali e internazionali, nell’ordine di decine di migliaia, davvero consideriamo questi esseri umani nostri "simili", simili a noi italiani, tedeschi, francesi, americani, o non piuttosto simili a un gregge di cui non ci interessa la sorte?

E perché non ci interessa? Perché non muove il nostro sentimento morale? Perché forse sospettiamo, anche se poi rimuoviamo il pensiero, che il nostro benessere dipende dalla loro disperazione. Nascosta allo spettacolo quotidiano, espulsa dalla percezione e dal linguaggio, la povertà sembra vivere solo nel gesto distratto di una mano che allunga qualcosa che non cambia di un grammo la nostra esistenza. E così, non toccata, anche la nostra esistenza si rende immune dalla presenza anche massiccia della povertà. Una povertà silenziosa, densa come la nebbia che in modo impercettibile ci tocca da ogni parte e che può passare inosservata solo a colpi di rimozione percettiva, visiva, linguistica. Ma il rimosso ritorna e la povertà materiale di coloro che, invisibili, si muovono nei bassifondi delle condizioni impossibili d’esistenza compie la sua vendetta, mutilando la nostra esistenza, per consentirle di non percepire che il nostro stato di benessere dipende direttamente dallo stato di povertà del mondo. La condizione umana infatti è comune. E il privilegio di chi vuol difendersi non solo dalla povertà, ma anche dalla sua percezione, è l’inganno di un giorno. Con ciò non voglio dire che l’Occidente è diventato cattivo, insensibile e cinico. La sua colpa non è nella sua accresciuta insensibilità e indifferenza per le sorti del mondo (questa semmai è la conseguenza non la causa). La sua colpa morale consiste nell’aver consentito che la povertà del mondo divenisse "smisurata", perché, di fronte allo smisurato la nostra sensibilità si inceppa. Il "troppo grande" ci lascia indifferenti, non freddi, perché la freddezza sarebbe già un sentimento. E quando ci dicono che nel mare di Sicilia ancora una volta altri tredici disperati hanno perso la vita, il nostro sentimento si trova di fronte non a una tragedia, ma a una statistica, di fronte alla quale piomba in una sorta di analfabetismo emotivo. Questo analfabetismo, divenuto ormai nostra cultura, è peggiore di tutte le peggiori cose che accadono nel "non - mondo", perché è ciò che rende possibile l’eterna ripetizione di queste terribili cose, il loro accrescersi e il loro diventare inevitabili. 


 
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Commenti al Post:
SandaliAlSole
SandaliAlSole il 05/08/06 alle 07:02 via WEB
Singolare coincidenza antonia. ieri sono uscita a pranzo con un collega e proprio di questo analfabetismo emotivo abbiamo parlato. grazie per la proposta di lettura.
(Rispondi)
 
unlumedaunnume
unlumedaunnume il 05/08/06 alle 07:05 via WEB
...e le statistiche fanno diventare numeri i nomi, le paternità le aspettative i sogni di quelli che i numeri rappresentano e che forse non ci sono, perchè devono prima di tutto cercare di sopravvivere.... e questo rende ancora più grave, ancora più grave!!! il loro essere uomini ridotti a numeri e non numeri come uno due ...ma tot in rapporto a tot... ieri guardavo e pensavo alla ragazzina albanese che viene qui a ripetizioni, al suo disorientamento quando le succede qualcosa.. qui in Italia che non è la sua terra..e lei sta col padre e la madre e lavorano e lei va a scuola e può permettersi le ripetizioni...quanto di più chi tocca questo suolo come la salvezza e la vita, e il retrogusto di non sapere in mezzo a chi e come andrà a finire... magari con un figlio in grembo e speranza in una mano che saluta dal finestrino...Scusa, l'ho fatta lunga!
(Rispondi)
 
magdalene57
magdalene57 il 05/08/06 alle 08:03 via WEB
a volte penso che siamo veramente strani. ci lasciamo andare in mille sdolcinate e inconsistenti frasi di appoggio e di conforto su blog di gente che manco conosciamo, e poi siamo in grado di guardare quegli esseri umani con il fastidio de: "ma è sempre la stessa storia, poveretti, non se ne può più...pensa a lampedusa!!!". E allora, anche se è chiaro che a lampedusa sono in stato d'emergenza da anni, ti domandi come mai non si dica "poveri uomini e donne e bambini".... Pare che ci si abitui all'inevitabile: è inevitabile che questi partano , che muoiano in viaggio, che arrivino stremati, e che vengano rimandati indietro....così, come una specie di giostra umana.... un giro della morte.
(Rispondi)
 
 
ossimora
ossimora il 05/08/06 alle 21:18 via WEB
MITI;Margy,Cri...tre donne,mi rendo ben conto che è un discorso assai poco "vacanzier/ferragostano quello sull'analfabetismo emotivo,eppure lo sento fortemente proprio anche in funzione alle vacanze ,in giro oggi mi è capitato di sentire dei discorsi che mi sono parsi così totalmente assurdi,paradossali ...."Questo analfabetismo, divenuto ormai nostra cultura, è peggiore di tutte le peggiori cose che accadono nel "non - mondo", perché è ciò che rende possibile l’eterna ripetizione di queste terribili cose, il loro accrescersi e il loro diventare inevitabili. "
(Rispondi)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 05/08/06 alle 21:13 via WEB
il "troppo grande "ci lascia indifferenti,freddi,è tremendo eppure reale
(Rispondi)
 
veritas102
veritas102 il 06/08/06 alle 10:10 via WEB
le emozioni servono per suscitare pensieri... le statistiche e i numeri per cercare di risolverli... le omozioni servono ad iniziare un cammino la ragione a trovarne la strada... spesso le emozioni sono piu comode perche suscitano anche speranze senza pagare il pegno se non paragonate hai numeri.. i numeri e le statistiche impongono ragionamenti glaciali che uccidono spesso le emozioni.. calde emozioni e freddi numeri devono camminare assieme... chi suscita emozioni forti come in questo blog non deve mai dimenticare che chi fa i numeri non ne è privo.. ma solo usa la ragione in altro modo per ottnere lo stesso risultato..
(Rispondi)
 
 
ossimora
ossimora il 06/08/06 alle 11:09 via WEB
Veramente il mio (o meglio lo stimolo di Garimberti)non mi sembrava un discorso sui numeri esulle emozioni ma è bello che ognuno ci elgga ciò che vuole .Mi interrogavo piuttosto sul fatto che abbiamo fatto il callo ..diciamola così..a tragedie immani che peraltro ,visto che mi ricordi numeri e statistiche ,sono numericamente spropositate rispetto all'interesse medio delle persone .Ciao
(Rispondi)
 
scalzasempre
scalzasempre il 06/08/06 alle 11:29 via WEB
se ti commento anche se non l'ho letto tutto, mi spacchi la faccia? sull'analfabetismo emotivo io potrei scrivere un trattato, come tu sai. Per difettologia attinente al caso di je moi. Of course. buongiornyllo tesoryllo....
(Rispondi)
 
 
ossimora
ossimora il 06/08/06 alle 11:36 via WEB
buongiorno mia dolce amica...me ne guardo vben di spaccarti la faccia..sono felice di averti trovato...adesso sto uscendo...kiss
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zingarodelvento
zingarodelvento il 06/08/06 alle 15:09 via WEB
leggo questa cosa tua dopo aver scritto antracite, giuro che ho scritto prima. Potrei postare quella cosa come commento a questa tua
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ossimora
ossimora il 06/08/06 alle 15:13 via WEB
sono filata a leggerla ,bella .
(Rispondi)
 
lupopezzato
lupopezzato il 06/08/06 alle 18:18 via WEB
Ciao, penso che "analfabetismo emotivo" sia il modo peggiore di approcciare il problema. Un pò come continuare a farlo ricorrendo a pratiche abominevoli come la "solidarietà" e la "carità". Guardando al mio paese mi chiedo cosa c'è di civile a mettere in bilancio 7 miliardi di euro per il ponte sullo stretto e a delegare al 5 per mille "eventuali donazioni" a favore di associazioni che finanziano la ricerca medica. Mi chiedo se questi sono problemi di "alfabetismo emotivo" oppure non sono "stupidità" nello stabilire le priorità nei finanziamenti. Gli svizzeri o gli austriaci o i messicani che non hanno mandato militari in cosiddette missioni di pace in Iraq sono "analfabeti emotivi"? Pensiamo davvero che per risolvere i problemi del terzo mondo dobbiamo tutti, sull'onda emotiva, mandare un SMS a qualcuno oppure per evitare l'estinzione del ragno esquimese dobbiamo adottarne uno a distanza? E se invece la realtà fosse un'altra? Se la realtà fosse che sul pianeta potrebbe esserci acqua potabile per tutti semprechè qualcuno rinunciasse alla piscina o al giardino oppure ad una doccia al giorno? Forse non è analfabetismo emotivo ma, semplicemente, paura. ©iao.
(Rispondi)
 
 
ossimora
ossimora il 06/08/06 alle 23:19 via WEB
Ma....il tuo intervento è del tutto condivisibile nel senso di ridistribuzione della ricchezza;di abolizione di una stupidità nell'usare le risorse del pianeta.Il discorso dell'analfabetismo emotivo ,almeno così come io l'ho interpretato nell'articolo di Grimberti e nella riflessione che mi ha suscitato è qualcosa di diverso:è la incapacità reale di empatia,la negazione stessa dell'alterità e della esistenza dell'altro .Non pensavo a gesti di "carità",nè di fatua compartecipazione emotiva ma esayttamente a quello che dici tu ,la consapevolezza del fatto che il pianeta potrebbe avere le sue ricchezze ridistribuite per tutti ed a vantaggio di tutti. Ciao !
(Rispondi)
 
rana_nelluniverso
rana_nelluniverso il 06/08/06 alle 23:36 via WEB
Non so, dico una mezza cosa. È ben vero. Ma la nostra capacità di empatia ha subito uno sconvolgimento in troppo pochi anni. Sono troppe le cose di cui dovremmo/potremmo occuparci, interessarci. Questo considerando che questa empatia deve trovare uno sbocco in un FATTO politico e pratico. Altrimenti è sofferenza, propria, senza remissione. Ricordo che qui, quando ci fu il terremoto del '76, di fronte alle perdite di cari e di beni, si aveva come una sorta di indifferenza reciproca. Un'indifferenza che a tutti permetteva di tirare avanti quel giorno, e quello successivo. Non è un parallelo tra le due cose, ma uno spiegarmi il motivo della mancanza di empatia. Perché anche, nonostante il nostro decantato benessere, siamo pieni di problemi già di nostro. Anche se possono sembrare ridicoli al cospetto di questi, sono i nostri. Poi succede che, comunque, magari leggi un articolo, come questo, che ti fa entrare di più nel problema. E la tua empatia risale, nei confronti di questi condannati. Spendo comunque che, per fare qualcosa che sia qualcosa di serio, ci sarebbe un sistema da abbattere. O meglio da minare dal suo interno con argomentazioni nuove. Non è un lavoro da poco, e si aggiunge alle questioni quotidiane. L'unica persona che ho in mente, che abbia avuto quest'empatia a tutto tondo, illimitatamente, è Madre Teresa di Calcutta (e con lei le sue seguaci). Non ce la facciamo tutti, ad essere come lei. Chi non ce la fa, deve trovare un compromesso. Tutto da inventare.
(Rispondi)
 
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