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Piccola storia del voto

Post n°1179 pubblicato il 12 Aprile 2008 da ossimora
 

Il 13 e 14 Aprile si apriranno le urne per far sì che ancora una volta ogni cittadino italiano possa – e si senta in dovere – di esercitare forse l’unico diritto democratico rimastoci: il voto.
Un diritto del quale non dobbiamo mai dimenticare il valore.
Come ognuna delle conquiste democratiche della nostra Repubblica post fascista, anche il suffragio universale è stato un traguardo difficile da raggiungere.
 
Sotto Carlo Alberto, sovrano del Regno di Sardegna,
potevano esercitare il voto i cittadini maschi con più di 25 anni, capaci di leggere, scrivere e pagare un censo di 40 lire: in pratica, solo il 2% della popolazione italiana.
Ovviamente, la partecipazione delle donne era del tutto esclusa e nel 1867 la proposta di estendere anche al genere femminile il diritto al voto non fu nemmeno ammessa alla lettura in parlamento.
Nel 1882 fu consentito di votare a tutti i cittadini maggiorenni con licenza elementare o che pagassero circa 20 lire; la mozione in favore del suffragio universale era ancora minoritaria.
Bisogna attendere il 1912 perché l’elettorato venga esteso da Giolitti a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 30 anni, senza alcun requisito di censo né di istruzione (per i maggiorenni di età inferiore ai 30 anni le condizioni di censo e di istruzione rimasero le stesse già richieste in precedenza).
Nel 1918 il diritto venne finalmente ampliato anche ai cittadini di sesso maschile che avessero compiuto il 21° anno di età e, un anno dopo, fu introdotto il sistema proporzionale.
 
Con l’ascesa al potere di Mussolini, le tappe della democraticizzazione dello stato fino ad allora raggiunte furono cancellate. Il governo fascista, con la legge elettorale del 1923, realizzò la necessità di costituire una Camera sostanzialmente favorevole al futuro regime: i due terzi dei seggi venivano attribuiti alla lista che avesse riportato la maggioranza relativa, mentre l'altro terzo sarebbe stato ripartito proporzionalmente tra le altre liste di minoranza con criterio proporzionale.
 
La realizzazione di un regime autoritario fondato sulla figura del Capo del Governo fu sostenuta dal successivo sistema elettorale (1928) che trasformava le elezioni in una mera approvazione della lista unica nazionale, compilata dal Gran Consiglio del Fascismo. Nel 1939 inoltre venne soppressa la Camera dei Deputati e istituita la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, composta da coloro che rivestivano cariche politico-amministrative in alcuni organi collegiali del regime.

Solo nel secondo dopoguerra si ritornerà al sistema elettivo a suffragio universale, con liste concorrenti e l'espressione di tre o quattro preferenze, secondo l'ampiezza dei collegi.
Le donne, da sempre cittadine di serie B in questo Paese, continuarono a non essere ammesse alla urne fino al 1946: si approprieranno del diritto di partecipare alla storia il 2 Giugno di quell’anno, esprimendo per la prima volta un ‘voto politico’ nel referendum Monarchia-Repubblica.

Non andare a votare alle prossime elezioni, così come sostenere l’attuale legge elettorale, dissacrazione della rappresentanza,
non vuol dire solo eludere un diritto-dovere, ma anche ignorare una storia di lotte e di conquiste perpetrata dalla popolazione italiana.
Esiste già chi vuol dividere di nuovo l’Italia cancellando Garibaldi, chi si schiera contro la legge 194 dimenticando le lotte degli anni ’70; almeno del voto, andiamone fieri.


di Laura Grimaldi

 
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