Creato da lost4mostofitallyeah il 04/03/2009
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Guarda che luna

Post n°266 pubblicato il 05 Ottobre 2015 da lost4mostofitallyeah

 








Essere scappato da mio padre quella notte non Mi aveva portato bene. Vi erano ancora una miriade di sacche lasciate indietro dopo l'avanzata del nostro esercito: sbandati, irriducibili, semplicemente confusi e storditi. E dentro una di queste vesciche ero finito senza quasi rendermene conto. Due parole, però innanzitutto, su di me e mio padre. All'epoca avevo diciannove anni e combattevo per il sedicesimo fronte, ottava armata, quattordicesima divisione, quinta brigata, ottantasettesimo reggimento, trentaduesimo battaglione, novantottesima compagnia, centoventiduesimo plotone, con il grado di sottotenente. Mio padre era il generale di divisione Prospero Defant ed era installato con il suo comando tra Macherio e Cesano Maderno, provvisto di ogni benefit e sottile comfort mentre Io, con i miei uomini, diguazzavo nel fango sino alle ginocchia e cercavo di costituire una linea di collegamento fra noi e l'undicesima divisione attestata presso Mariano Comense. Erano arrivate le piogge di ottobre e i genieri gettavano assi di legno sulle parti infette del terreno per permettere il transito dei mezzi leggeri e pesanti. Poi risaldavano i parapetti, ponevano ponticelli attraverso i canali e piazzavano la segnaletica approssimativa per accelerare l'offensiva dei mezzi corazzati. La sera in cui scappai attraverso le linee era miracolosamente asciutta e una luna sbadatamente gialla risplendeva sopra il mio capo mentre non riuscivo a prendere sonno e il mio attendente russava tranquillo dietro il paravento approssimativo che avevamo innalzato per custodire, entrambi, un po' di privacy. Decisi di alzarmi alle due di notte e mi equipaggiai di tutto punto per una passeggiata all'aria aperta sotto l'astro pieno, vittima di pensieri contrastanti e strane fisime. L'Offensiva era in pieno corso e v'era da essere ottimisti. Perché, allora, quella strana paura mi catturava e mi stringeva forte fra le sue dita adunche? Abituati a troppe sconfitte non riuscivamo, forse, a capire che il vento era decisamente cambiato e la sorte del Nemico probabilmente segnata? Personalmente avevo notato anche durante l'anno precedente i troppi facili entusiasmi motivati dal Contrattacco Spielberg nella zona di Calusco d'Adda per aggirare Monza. Entusiasmi che si erano spenti con l'esaurirsi dell'iniziale spinta propulsiva e il susseguente naufragio sui contrafforti del fiume. Ora tutta la resistenza delle truppe ghanesi e ivoriane che avevamo di fronte era crollata in pochi giorni e il corpo d'armata del generale Duchamp aveva collassato completamente fra Calolziocorte e Sesto San Giovanni fornendo insperate direzioni alle ficcanti incursioni delle prima divisione corazzata del comandante Paoli. Si poteva dire con certezza che la strada era aperta ma questo ben poco confortava l'indole malinconica nella quale ero precipitato in quelle ore: la mia ragazza, Francesca, era incinta al terzo mese e morivo dalla voglia di rivederla contro tutto e tutti. Avevo anche il desiderio di tornare a casa, nel mio Trentino, lontano dalle miserie e dalle angustie che avevo patito in quei due anni personali di Guerra. Sognavo di rivedere mia madre, separata dal Generale Defant da sette anni ma legatissima al mio cuore, e i rarissimi permessi non confortavano il desiderio d'amore che quelle due donne mi ispiravano. Così, camminando nella nebbia fitta del retroterra brianzolo, iniziò a dettagliarsi nella mia testa il piano per disertare, assumere un'identità borghese e incamminarmi sulla strada del ritorno dove sarei stato sicuramente rifocillato e nascosto. In tal modo  seguì una fila di platani che ombreggiavano un canale appena visibile nella fitta oscurità e mi incamminai senza decidere a disfarmi della divisa e della pistola che tenevo sempre con me nella fondina. A quello avrei pensato in seguito mentre ora tentavo solo di trovare un percorso sicuro attraverso le nostre linee fino a un rifugio provvisorio in mezzo a qualche residuo di villaggio industriale ornato da corrosi e diroccati capannoni industriali, dove avrei potuto riflettere meglio, in solitudine, sulla mia precaria situazione di Assente Senza Permesso. Non era quello che si suole definire tecnicamente una diserzione: assomigliava più a un ritiro spirituale in vista del perfezionamento della mia lista delle priorità. E come tale, come un pellegrino munito solo di una Beretta e di una bisaccia di buone volontà, mi inoltrai seguendo la linea degli alberelli fino alle ciminiere e alle fabbriche abbandonate che avevo nell' orizzonte. Non ricordo quanto camminai senza pensieri, nutrito solo della sferzante spinta della pioggerellina che aveva cominciato a scendere nella notte, ma rammento che mi ritrovai improvvisamente in mezzo alle stradine di un gigantesco stabilimento che produceva materiale da costruzione. Ero attonito mentre camminavo fra le torri abbandonate e forate dalle schegge e dai proiettili. Il buio era quasi assoluto e lo attraversavo solo grazie alla minuscola torcia elettrica che, insonne, portavo sempre con me nelle passeggiate notturne. Mi arrestai di fronte all'edificio adibito all'amministrazione: la porta era stata divelta dai cardini grazie al poderoso spostamento d'aria determinata da una granata a grappolo e vi entrai con la stessa curiosità di un bambino che esplora la sua prima grotta. Dentro non vi trovai nulla di eccitante o sorprendente tranne vecchie scartoffie marcite o bruciacchiate, sedie ribaltate e tavoli su cui stavano ammassati decine di vecchi computer. Mi spostai con leggerezza illuminando ogni angolo della topaia fino a quando mi sorpresi a udire voci concitate provenire dal cortile antistante l'ufficio, e un brivido mi percorse la schiena come una goccia di olio bollente. Passai in un altro stanzone del bureau, poi in un altro ancora e salì delle scale a chiocciola che mi portarono in un locale completamente nudo, tranne un telefono fisso ripiegato con cura in un angolo. Lì decisi di sedermi e di attendere che i miei incubi lucidi trascorressero, poiché certamente di allucinazioni sonore si trattava: non avevo visto la benché minima traccia di presenza umana mentre traversavo le vie longitudinali dello stabilimento, e non osavo pensare che qualcuno potesse essere stato in agguato spiando ogni mio passo e pesando ogni mia decisione improvvisata.






 
 
 
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