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CON QUEL TRUCCO CHE MI SDOPPIA LA FOCE
 

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Guarda che luna. Capitolo undicesimo.

Post n°276 pubblicato il 14 Maggio 2016 da lost4mostofitallyeah

 





Inizialmente camminavamo tenendoci per un braccio e stavamo attenti ad evitare i rialzi sopra le campagne imbevute di acqua: una delle posizioni preferite per i posamine di qualsiasi esercito. Dopo mezzora, però, con i nervi a fior di pelle, decidemmo di staccarci e di avanzare fianco a fianco. La fobia da mina ci stava distruggendo psicologicamente più di quanto riuscisse a fare la bizzarra posizione nella quale ci venivamo a trovare: due militari contrapposti che lottavano insieme per ritrovare delle vie principali che potevano solo significare morte, tradimento o prigionia. Insistemmo con gli stivali nella melma fino a quando realizzammo che non v'erano campi minati in quelle zone. Restava il problema di affrontare le truppe regolari in rapida avanzata o quelle irregolari in disarmo e rotta. "Sappiamo entrambi" Dissi "Quanto può essere pericoloso un esercito sconfitto." "Come un gatto selvatico schiacciato contro una parete e senza più via di fuga." Mi rispose Eberhard. Guardai in alto la luna e mi resi conto la notte stava trapassando nel giorno. Lo feci notare al mio compagno. "Strano" Notò "Che tutti questi avvenimenti siano potuti accadere nel giro di poche ore." "Già. non ce se ne rende conto." A un certo punto ci arrestammo e aguzzammo l'udito. Sentivamo chiaramente il passaggio di forze corrazzate a un centinaio di metri in linea d'aria. "Dal casino che fanno e dalle urla si direbbero dei tuoi compagni in rapida offensiva." Annuì con l'amaro in bocca. Ancora cento metri e mi sarei ritrovato fra gente che conosceva benissimo mio padre e mi avrebbe fatto ponti d'oro. Ma Freddie Eberhard? Come potevo giustificare la sua presenza al mio fianco? Io stesso avevo ancora indosso la divisa del XVI reggimento Togo, e non mi decidevo a liberarmene, per rendere più rischiosa la mia pelle o forse per preservare intatta quella del mio nuovo compagno. Ci avvicinammo comunque a piccole falcate al passaggio dei blindati. Ormai eravamo a una decina di metri dagli stessi e li vedevamo transitare spediti, affiancati dal passo molle della fanteria leggera. Arrestai Eberhard. "Attendiamo che siano passati, poi decideremo il da farsi". Borbottai malcerto. "La verità è che non abbiamo nessun piano. Se la notizia della diserzione del XVI reggimento Togo è trapelata, il nostro destino è alquanto oscuro." "Il mio destino, Defant. A lei non succederà nulla. Potrà sempre dire di essere stato fatto prigioniero e di essere stato agganciato ai Ribelli come ostaggio. Il che non è tanto lontano dalla verità." "è lontanissimo, invece. Ho imparato a rispettarvi e non ho mai tentato la fuga tranne quando è scoppiato il finimondo e ognuno ha cercato di salvare la pelle. Ma prima non vi ho mai messo i bastoni fra le ruote con un atteggiamento ostile. E, sinceramente, ancora non ne so la ragione." Eberhard abbozzò un sorriso stanco mentre le retrovie dalla colonna corazzata  scomparivano dietro al muro di frasche. "Possiamo uscire sulla strada, sono passati." Così facemmo, e proprio mentre scavalcavo la barriera verde un piede calzato mi batté sul viso. Imprecai, non realizzando subito di cosa si trattasse. Fu quando arrivai sulla stradicciola battuta che Freddie mi disse di girarmi e guardare in alto. Lo feci, e quello che vedi fu il tenente Omologoh appeso per la gola a un vecchio larice. Era stato impiccato. I suoi piedi, ancora con gli stivali lucidissimi (com'era sua abitudine) battevano lievemente nella brezza mattutina mentre le mai erano abbandonate lungo i fianchi. "John..." Balbettò il mio compagno. Io mi sedetti su un grosso sasso cercando di mettere insieme una spiegazione logica e una via razionale da quell'orrore.






(Continua)








 
 
 
 
 
 
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