Creato da lost4mostofitallyeah il 04/03/2009
CON QUEL TRUCCO CHE MI SDOPPIA LA FOCE
 

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Messaggi di Dicembre 2015

Guarda che luna. Capitolo quarto.

Post n°269 pubblicato il 23 Dicembre 2015 da lost4mostofitallyeah







"Parente del Generale?" Biascicò il sergente Dakwaafi. "Figlio." Replicai asciutto. Gli africani si guardarono l'un l'altro con gravità, ma senza preoccupazione. Sembravano iene che avessero scoperto la carcassa di un elefante quando si aspettavano quella di una gazzella. Il tenente Omologoh mi fissò quasi con pietà e tenerezza e poi mi passò una mano intorno alle spalle :"Non siamo nemici, sottotenente, anzi oserei dire che siamo nella stessa barca. Anche Lei ha tutto l'interesse che la nostra squadra passi indenne attraverso le maglie dell'offensiva dei Regolari. Così la sua assenza non verrà notata e potrà essere reintegrato nelle sue funzioni con tutti gli onori e senza che niente sia capitato." A quelle parole Mi sollevai pesantemente dal fuoco e scrollandomi la polvere dalla divisa pronunziai con voce ferma :"Allora decidiamoci. Componiamo una colonna come si deve con Me alla guida e avviamoci verso le linee dei Vincitori. è d'accordo, Capitano?" Aggiunsi, riferendomi a Eberhard. "Assolutamente sì." E con pochi, rabbiosi ordini in una lingua a Me sconosciuta, il mio sosia nero dispose le sue esigue truppe in raggruppamento di marcia. Dopo qualche minuto ero completamente soddisfatto della disciplina che regnava e Mi accingevo a prendere la sommità dello schieramento di soldati mentre
l'oscurità si faceva peciosa e avvilente. Sventolando la mia torcia passai in rassegna gli uomini e riebbi la pistola che mi era stata tolta nei primi, confusi istanti. Così, disposti in maniera eccellente dal carisma del Capitano Eberhard ci accingemmo a metterci in marcia e ad abbandonare il tristo complesso industriale dove ci eravamo incontrati. Fu in quel momento che una pioggia improvvisa di proiettili di mortaio cadde a pochi metri dal luogo dove ci eravamo disposti, spargendo il panico e rompendo le righe, costringendo tutti a cercare rifugio dentro i capannoni abbandonati o negli uffici della compagnia. Io Mi trovai Eberhard e Dakwaafi a fianco mentre correvo al riparo di una delle baracche disposte sulla nostra sinistra. Appena fummo dentro ci rifugiammo in diversi luoghi, tentando di proteggerci la figura da eventuali, micidiali schegge. Io mi rintanai sotto una scrivania mentre calcinacci e pezzi di mattone volavano tutt'intorno. Lo sconvolgimento durò alcuni minuti, poi, così com'era apparso sparì misteriosamente. Solo il cupo e monotono borbottare dei grossi calibri in lontananza manteneva il suo cupo
e minaccioso eco. Uscì da sotto la scrivania giusto per trovarmi Eberhard e Dakwaafi davanti con un ghigno irridente tirato da un orecchio all'altro. "Non Mi mollate una attimo, vero? Anche a rischio di lasciarci la pelle." "Lei, Capitano (ora) è il nostro lasciapassare per non penzolare da un albero o trovarci contro un muro bucherellato. dovrebbe averlo compreso bene, Defant."
"Ho come l'impressione che il territorio che ho percorso nella mia passeggiata notturna sia già diventato terra di nessuno e che ci troviamo esattamente sul passaggio della linea provvisoria del Fronte." "Potrebbe non avere torto" Fece Eberhard "Ragione maggiore per non dividersi e non lasciarsi prendere dal panico. Ora usciamo, che devo rimettere in sesto i miei uomini."
Attendemmo ancora qualche minuto per non correre rischi di un'altra micidiale scarica di artiglieria e sortimmo nel cortile principale dove stava tornando a radunarsi il grosso dei superstiti del XVI Reggimento "Togo". Mi stupì, ancora una volta, della disciplina di quegli africani e non potei trattenermi dal provare ammirazione e rispetto per la storia personale di ognuno di quegli individui combattenti. "Cosa Li spinge, sergente Dakwaafi, a non darsi alla fuga disordinatamente e a non sbandare adesso che la guerra sembra avere preso una piega decisamente sfavorevole?" "Sono cresciuti così. Il Corpo militare è la loro madre, il loro padre, la loro famiglia. Buona parte di questa gente, nella Realtà civile, è orfana sin dall'infanzia e non ha ricevuto
nessuna prima o seconda chance. L'appartenenza al Reggimento per Loro è tutto. Non conoscono altra Verità o Lealtà. Sono disposti a qualsiasi cosa nel nome del delle loro mostrine e delle loro divise. Per Loro non esiste altro." Li osservai mentre tornavano a radunarsi in mezzo alla polvere, alcuni compatti e dignitosi, altri feriti e appoggiati a un bastone rudimentale, altri ancora stracciati e in pessime condizioni morali. "Il Colonnello Clerici sarà rimasto stupito dal perdere il contatto con le sue truppe coloniali migliori. Vi starà cercando ovunque!" Mormorai, non senza un pizzico di compiacimento. Eberhard strizzò gli occhi nocciola e si strinse nelle spalle :"L'ultima volta che abbiamo avuto disposizioni da Lui eravamo a sedici chilometri da Vimercate. Poi le nostre attrezzature radio sono andate distrutte e abbiamo pensato che fosse opportuno fare il grande salto. Tornare al cuore dell'Africa. rinunciare a fare da manutengoli del Regime dei Bianchi. Per Tutti Noi è stato una rivelazione fissarci nelle pupille e trovare degli uomini diversi, individui, non più carne da macello. Individui con una dignità e il coraggio di fare il Passo anche se tutte le condizioni erano, obbiettivamente, contro di Noi. Ma Noi, ora, non combattiamo più per la Gloria o la Preda, ma per riaffermare la nostra Presenza di Combattenti umili e volenterosi nel nome della definitiva unità dei militanti di colore. Tutti indistintamente." "Forse è un po' tardi" Replicai a bassa voce "Ma è, comunque, un passo che, nella sua cervellotica laboriosità, posso comprendere."






(Continua)






 
 
 

Guarda che luna. Capitolo terzo.

Post n°268 pubblicato il 14 Dicembre 2015 da lost4mostofitallyeah








Mi accomodai come meglio potei la giacca da capitano sulle spalle, poi tornai a sfilarmela, levandomi al contempo le mostrine da sottufficiale. Infine indossai ancora i segni distintivi del Capitano Eberhard e tornai a squadrare quel gruppo omogeneo come fosse realmente parte della mia Unità. Mi stupiva la compattezza, la serietà e la determinazione di quei giovani uomini africani e, per un attimo, provai anche una profonda ammirazione verso di loro e la loro versatilità di combattenti. Qualcosa che era stato avvolto dalla leggenda come le loro azioni sul campo non poteva che instillarmi sentimenti di rispetto e comprensione. Ma cosa, in nome del cielo, Li aveva spinti a ribellarsi proprio quando le sorti dello scontro volgevano in favore del nostro schieramento? Cosa Li aveva convinti a passare armi e bagagli a un nemico ormai in rotta? Abbassai lo sguardo sui miei stivali. Era la stessa domanda che avrei potuto pormi Io stesso senza nessun tipo di meraviglia: cosa Mi aveva convinto a liberarmi del mio esercito mentre era in atto un'offensiva poderosa con tanto di truppe nemiche prigioniere e stritolate dentro sacche vastissime, il cui magro destino era solo quello di essere sezionate e sterminate chirurgicamente? Cosa aveva spinto carnefice e vittime a trovarsi nella stessa amara condizione e ad avere solo una vaga e vaporosa idea su come uscirne senza subire una meritata corte marziale, se non la fucilazione sul campo? Mi passai la mano sul viso e la ritirai madida di sudore, poi alzai gli occhi verso un giovanissimo tenente che non la smetteva di scrutarmi con curiosità :"Ma perché?....Intendo dire....quale ragione può avervi spinto a....." Il tenentino con una strana saggezza mi prese una mano inerte e cominciò a scuoterla :"Posso farle la stessa domanda, ufficiale. cosa l'ha spinta così lontana dalle sue linee? Come mai si aggirava per i capannoni semidistrutti di un complesso industriale in disuso? cosa la stava spingendo negli uffici deserti di una compagnia che non esiste più...forse da secoli?" Irrigidì il polso e strinsi quella mano ossuta quasi a cercare di catturarne un po' di calore e comprensione :"Ero semplicemente stanco e provato. Ho appena vent'anni e un mucchio di responsabilità sulle spalle. Non vado in licenza da dieci mesi
e ho una ragazza, dietro le linee, che sta per partorire. Mia madre non ha mie notizie e questa guerra mi sta affogando. Sto arrivando con la bocca alla linea di galleggiamento e presto arriverò alle bollicine d'aria. Ho deciso, semplicemente, di incamminarmi. Di sortire dalle nostre postazioni per vedere se c'era qualcosa di diverso qualche centinaia di metri più avanti, se veramente stavamo vincendo questa Battaglia o se era un'altra delle offensive a corto respiro destinate a naufragare in nulla. In poche parole: avevo bisogno di respirare gli spazi." "è un filosofo?" Mi fece sorridente uno dei soldati con il petto coperto di patacche decorative. "Sono un uomo. E come tutti gli uomini non riesco ad aggrapparmi alla sola Realtà". Il Capitano Eberhard, che era rimasto in silenzio fino a quel punto, sollevò l'indice e me lo puntò contro :"Lei è un credente, Ufficiale?" "Diciamo che cerco di credere." "Male, molto male. Impossibile non avere una lanterna quando si brancola nel buio. Guardi Noi: ci confondiamo con le tenebre. siamo più neri della pece, eppure siamo riusciti a trovarla! Lei, la nostra personale salvezza. A volte capita che a risplendere troppo ci si fa notare. è una cosa che Noi, Africani, abbiamo appreso in fretta." Li raccolsi quasi tutti in uno sguardo perplesso e mi resi conto che mi stavano considerando veramente il loro passaporto per la sopravvivenza. Io, che ero sfuggito ai miei compagni con una gran confusione in testa e senza la più pallida idea di sapere dove stavo muovendomi, e in cerca di che cosa.
Ora il Capitano Eberhard pareva avere mutato d'umore e di stare per arrabbiarsi parecchio :"Davvero credeva di mettersi in una terra di nessuno e di aspettare che la Battaglia sfuriasse per poi riunirsi ai suoi compagni come se Nulla fosse successo? Davvero riteneva che la sua assenza ingiustificata non sarebbe stata notata e che avrebbe salvato la pelle ficcandosi in un buco
di ufficio in una fabbrica diroccata? Questo mi sorprende e mi fa innervosire se proprio lo vuole sapere. Lei è un vigliacco signor sottufficiale." Rabbrividì e un moto di reazione mi salì alla gola insieme alla rabbia per essere trattato per quello che non ero: un disertore. "La mia era una fuga del tutto personale, Capitano! Non ho mai avuto l'intenzione di passare al nemico né di imboscarmi in un luogo desolato per paura o codardia. Mi sono esposto con la mia divisa e se v'era una vocazione, forse, inconsciamente, era quella al martirio. Forse aspettavo solo il proiettile di un cecchino nascosto in questa brughiera. Si è impossessata di me una pulsione ad abbattere le barriere e le trincee. Quando ho saputo che l'Offensiva stava avendo successo la sensazione di spazio e Vittoria mi ha sormontato e ha preso possesso della mia anima, costringendomi a camminare verso la Libertà e a incamminarmi, in un certo senso, verso il Ritorno a Casa." Il Capitano aveva cessato l'aria ostile e ora mi sogguardava dal basso in alto, accoccolato vicino al fuoco "Non ha piastrina di riconoscimento con Sé. E visto che d'ora in avanti sarà il nostro Graduato maggiore, beh, possiamo avere l'onore, Noi poveri africani, di sapere con chi stiamo parlando?" Pensai subito che sarebbe stato inutile continuare una frusta commedia e mormorai a bassa voce, quasi soprappensiero :"Defant. sottotenente Ariele Defant." Subito il silenzio, che già era di marmo intorno a me, si fece d'acciaio.






 
 
 

Guarda che luna. Capitolo secondo.

Post n°267 pubblicato il 02 Dicembre 2015 da lost4mostofitallyeah

 






La situazione si faceva precaria e tornai a sentire delle grida e dei richiami sincopati che aggiravano l'edificio isolato dove mi trovavo. Qualcosa di simile al verso di qualche uccello notturno in uscita alla caccia di una preda o all'esaltazione di cannibali che danzino intorno al calderone con dentro il povero, sprovveduto esploratore. Rimasi seduto con la fronte madida di sudore malgrado il freddo e riflettei su quello che era giusto fare: Uscire con grande calma e tranquillità incontro agli uomini che, ormai con tutta evi
denza, stavano circondando la mia postazione, oppure attendere finché il primo della probabile teppaglia avesse messo piede sul mio pianerottolo. Avevo ancora la beretta carica e una scorta di altri caricatori ma che senso aveva trattenersi in quel bugigattolo? Una bomba a mano avrebbe rapidamente messo fine alla mia improvvisata resistenza e non valeva la pena di lasciarsi sopraffare dalle ombre notturne: ero pur sempre un graduato dell'esercito italiano e anche avessi avuto di fronte una sacca di resistenza dei Ribelli potevo sperare in un trattamento umano e degno della mia situazione militare. Restare in quel luogo buio mentre i nemici avanzavano precorrendo una dopo l'altra le stanze dell'edificio era controproducente; avrebbe teso i miei nervi sino a commettere qualche sciocchezza, così decisi di sollevarmi e discendere le scale a chiocciola che avevo percorso poco prima, per infilarmi nel dedalo di locali abbandonati fino al cortile esterno. Ero quasi arrivato nel bureau principale che dei passi e delle esortazioni in perfetto italiano mi fecero trasalire. Superai un'ultima porta con la torcia elettrica sempre accesa e mi trovai di fronte cinque, forse sei persone che mi puntavano contro, a loro volta, dei fasci di luce. "Spenga quella torcia, per favore. Dobbiamo guardarla." Gridò una delle sei persone. Così feci e mi lasciai abbagliare mentre Io non riuscivo a intravedere nulla dei tratti somatici dei personaggi enigmatici che avevo di fronte. Avevo la pistola nella fondina e pensai bene di chiedere che me la lasciassero sfilare in segno di tregua. Ma non dissi nulla, così come non chiesi se avevo di fronte soldati del mio Esercito.
A malapena vidi le teste dei sei individui avvicinarsi e biascicare tra loro in una lingua che mi era sconosciuta. "Sono finito" Pensai "a meno che non si tratti di truppe ausiliarie del Colonnello Clerici". D'improvviso uno dei personaggi alzò il fascio di luce verso il suo volto. Era nero come il carbone, con i tipici tratti somatici africani dell'ovest, ghanese o ivoriano. Ma ciò che mi sollevò al contempo fu di notare le mostrine di capitano delle nostre truppe sulle sue spalle e una decorazione al merito fra le più basse appuntata al petto. Mi tranquillizzai: erano truppe del Colonnello Clerici. Sorrisi e mi avvicinai al graduato facendo il saluto militare e poi tendendo la mano, ma non ebbi risposta. O meglio, la ebbi pochi secondi dopo sotto forma di un cazzotto poderoso che mi fece volare sul pavimento polveroso tra le silenziose risate degli africani. "Piacere, Capitano Eberhard" fece il tizio, muovendo qualche passo nella mia direzione "E Lei, sottotenente, è la chiave che ci farà uscire da questa galera." Velocemente venni portato all'aperto dove ardeva un grosso fuoco alimentato da copertoni bruciati, plastiche, vecchie scrivanie e quant'altro. Il capitano Eberhard mi fece sedere a gambe incrociate vicino al fuoco e si accoccolò accanto a Me. La beretta mi era stata prelevata e ora potevo notare la quarantina di uomini radunati dentro quella spaventosa rovina industriale senza più l'incertezza del buio: erano tutti giovanissimi, pressappoco della mia età ed infilati nelle divise italiane delle truppe del Colonnello Clerici senza la un bottone fuori posto o uno strappo nella stoffa. Ero Io a stonare nel panorama compattissimo di quegli uomini ordinati. Erano tutti con la pelle scura e lineamenti armoniosi di cacciatori della savana, con lunghe dita sottili, labbra sporgenti e sensuali, fronti spaziose sormontate da capelli raccolti in dreadlocks, oppure rasati fino a dare la lucidità dell'olio da scarpe ai loro crani. "Disertori, vero?" mormorai al capitano che mi offriva una cicca da un portasigarette d'argento. "Da molto più tempo di Lei, sottotenente. quello che Lei vede sono i residui del XVI reggimento "Togo" e gli uomini che sono sopravvissuti alla battaglia per evitare l'accerchiamento a Verano Brianza." Trasalì e mi cadde la sigaretta dalle dita. Il reggimento Togo era una delle unità d'élite fra gli ausiliari e si era coperto di gloria con le truppe italiane in innumerevoli battaglie. Voci erano però girate che durante le ultime ore degli scontri violentissimi a Verano Brianza fosse passato armi e bagagli al Nemico, disertando in massa. "Allora era vero." Mormorai "Che cosa?" "Che siete passati a Duchamp." "Nel momento sbagliato, purtroppo. I Coloniali sono stati spazzati via dalla vostra offensiva e quando abbiamo cercato di tamponare la vostra pressione, ci siamo trovati in una sacca, qui dentro. Ma quasi Nessuno sa del passaggio delle linee da parte nostra, e su questo puntiamo per ricongiungerci con le truppe del Generale Defant senza colpo ferire, e senza che nessuno immagini quello che abbiamo passato negli ultimi giorni." Mi guardai intorno cercando di non ridere: le facce di quegli africani erano tutte puntate contro di Me :"E davvero pensate di rientrare fra gli Italiani come se nulla fosse successo? come se la vostra diserzione fosse passata inosservata? Scusate, ma lo trovo ridicolo." Uno dei Togolesi mi squadrò facendosi schermo con le dita :"Mi permetta. Sergente Dakwaafi, e penso che il piano non sia così ridicolo come Lei voglia farci credere, anche perché sarà proprio Lei a fare da garante per il nostro reinquadramento. La battaglia è stata feroce e le posizioni si sono sovraccaricate e confuse. E se abbiamo sparato sugli italiani può essere stato benissimo per la confusione e il cosiddetto fuoco amico. In pratica siamo passati al nemico per quarantott'ore. E poi, la cosa più importante, signor ufficiale, come Le ripeto sarà Lei stesso a fare da garante del nostro comportamento. Noi saremo dei poveri ausiliari dispersi nella confusione dell'Offensiva e guidati da un valoroso, anche se un po' confuso, capitano bianco : Lei stesso." "Io sono un misero sottotenente, sergente." Il capitano Eberhard alzò il cane alla sua Walther e mi piazzò la canna giusto in mezzo agli occhi, poi la riabbassò e si alzò in piedi levandosi dolcemente la giacca con le mostrine mettendomela sulla schiena. "Ora non più" sorrise, e si rimise seduto davanti al fuoco.






 
 
 
 
 

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