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CHIMICA sperimentale

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La copiosa Repubblica degli Acidi...

Post n°218 pubblicato il 04 Febbraio 2013 da paoloalbert

Già che siamo in tema strorico, che è inverno, che il lab è inagibile... prendo al volo la palla lanciata da Marco riguardo "l'olio vitriolico" (ved. commento al post precedente), riportando integralmente la fabbricazione dell'acido solforico come avveniva realmente ai primi dell'ottocento, secondo la suggestiva descrizione che ne fa Felice Ambrosioni nel 1823.
Ho pertanto seguito il consiglio e riesumato il prezioso "Manuale per i Droghieri" del farmacista pavese, del quale ogni tanto mi servo.

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ACIDO SOLFORICO

La copiosa Repubblica degli Acidi non ne ha uno che stia di fronte all'acido solforico tanto pei lavori e le ricerche dedicate al medesimo da quasi tutti i Chimici, quanto per gli usi numerosi ai quali viene destinato nelle officine e nelle arti.
La scoperta si fa rimontare al quinto decimo secolo da Basilio Valentino, il quale lo chiamò olio di vetriolo perchè lo ottenne la prima volta dalla distillazione del solfato di ferro, ossia vetriolo verde del commercio.
Le fatiche dei curiosi della natura ebbero in appresso un esito più felice perchè si trovò un altro metodo per ottenerlo più in grande e con spesa minore, metodo che venne perfezionato dall'instancabile ed illustre chimico francese Chaptal.
A Marsiglia, a Lione, ad Orleans, ed in varie altre parti della Francia vi sono fabbriche di olio di vetriolo; in Italia ne conosciamo due reputatissime, una in Milano eretta molti anni sono dal Sig. Michele Folcioni, l'altra a Torino di più recente data presso li Sigg. Sclopis e Garignani. Anche la Germania e l'Olanda hanno i suoi fabbricatori.

Il metodo comune per ottenerlo è il seguente.
Entro stanze più o meno grandi composte di tante lamine di piombo saldate le une con le altre, ed isolate e sospese ad una apposita armatura, si pone un miscuglio di otto parti di solfo ed una di nitro sopra una padella di ferro fuso, la quale poggia sopra un fornello che traversa il fondo della stanza, senza che la sua gola abbia comunicazione con la medesima.
Si copre quindi il pavimento di acqua e si accende gradatamente il fuoco nel fornello.
Presto lo solfo abbrucia, empie la stanza di vapore che viene di mano in mano assorbito dall'acqua.
Finita la combustione si leva la padella, e se ne aggiunge un'altra contenente la stessa dose di solfo e nitro, quindi si rimette il fuoco.
Queste combustioni si fanno ripetutamente non senza rinnovare ogni volta la corrente d'aria necessaria alla combustione del solfo, sino a tanto che il liquido segni 40 gradi circa sull'aerometro di Baumè.
L'acido che si è ottenuto in questo modo non è di quel grado di concentrazione che vuolsi dal commercio, ed è molto impuro, pertanto si concentra e si depura passabilmente trasportandolo in caldaje di piombo dove si fa riscaldare fino a tanto che la sua concentrazione sia portata alli 55 gradi dell'indicato aerometro, quindi si introduce in storte di vetro lutate, o di gres, ed in fornelli adattati si passa alla distillazione di una nuova quantità d'acqua di acido solforoso e di acido nitrico.
Questa nuova operazione dura fino a tanto che l'acido si concentri da segnare i gradi 66; in allora si leva dalle storte e si ripone in damigiane di vetro bianco o nero, e di varia grandezza.
L'olio di vetriolo del commercio non è mai perfettamente puro, per le arti però è abbastanza adattato; i Chimici per alcune operazioni delicate lo distillano ad una temperatura assai elevata.

Si conosce nel commercio un'altra qualità di acido solforico che si denomina olio di vetriolo fumante, perchè nel versarlo da un vaso all'altro tramanda un leggiere fumo.
Questi è l'acido che si ottiene dalla distillazione del vetriolo verde, generalmente ha un colore oscuro, è molto più concentrato dell'ordinario, ed esala qualche vapore in dipendenza di alcune porzioni di acido solforoso che contiene.
L'acido solforico che abbiamo dalle fabbriche delli Signori Scolpis e Garignani, e dal Sig. Folcioni è un liquido bianco trasparente, inodoro e di una consistenza oleosa; quello di Francia, che ci perviene in damigiane di vetro nero del peso di libb. 300 circa cadauna, per l'ordinario è un po' colorito, ma per il resto è identico agli altri due.
Fatta astrazione all'acqua che lo tiene in istato liquido è composto da 100 parti di solfo e 98 di ossigeno; allorchè ha la concentrazione di 66 gradi pesa il doppio dell'acqua.

E' uno dei caustici più violenti, la sua azione pertanto sulle sostanze animali e vegetabili è pronta, distrugge il loro organismo, e qualche volta gli fa cambiar natura; due parti di quest'acido e una di acqua insieme unite elevano la temperatura al di là dei cento gradi.
Numerosissimi sono gli usi dell'acido solforico.
L'orefice, ed il lavoratore del rame lo adoperano per pulire la superficie dei metalli, il confettore per gonfiare le pelli nella concia, il tintore per disciogliere l'endaco, il veterinario per cauterizzare le piaghe gangrenose, finalmente gli speziali lo destinano ad usi innumerevoli.
La sua vendita non pare compresa in alcun divisamento Governativo, quindi è libera.

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Così parlò l'Ambrosioni, facedondoci rimanere, come previsto, al punto di partenza!

Sto cominciando a convincermi, seppur con enorme fatica e visto che non ho trovato nessuno che smentisca l'evidenza storica dei fatti, che bruciando "solfo" ne risulti "per forza" anche una non trascurabile quantità di anidride solforica.

L'aggiunta di acido nitrico citata nel testo (il quale potrebbe esser preso come "l'ossidante mancante") avviene come si è visto solo nella seconda fase della preparazione, quando il nostro H2SO4 aveva già la notevole concentrazione di 55 gradi Beaumè.
Il caso resta quindi più aperto che mai.

 
 
 
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