Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

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Rame per il Doge

Post n°399 pubblicato il 25 Marzo 2018 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

L'amico Marco, sapendo che ho un debole per le vecchie miniere, mi ha mandato fra l'altro un piccolo campione di residui di fusione di quel minerale che si lavorava un tempo nel giacimento della Val Imperina (Agordo), luoghi a lui famigliari.
La miniera della Val Imperina fornì per secoli del rame alla Repubblica di Venezia e sopravvisse arrancando faticosamente (come gran parte delle miniere italiane) fino agli anni sessanta; il minerale era principalmente pirite cuprifera, con tenore in rame di qualche unità percentuale.
Il minerale si trovava (e se ne troverebbe ancora un poco laggiù, molto in fondo...) in vene immerse in scisti quarzosi metamorfici contigui a dolomie, e di più non aggiungo perchè basta qualche click per trovare notizie su questo ex importante sito minerario.
("Butterò nell'acido" un frammento di quel campione per vedere se in mezzo ad una montagna di ferro sia rimasta traccia di quel po' di rame che in origine c'era nel minerale prima di una fase di lavorazione e dell'esito ne dirò in seguito).
Per inciso noto con piacere che vi sono ora molto più che in passato alcuni amministratori intelligenti che si curano di valorizzare questi storici siti minerari con interventi di recupero e salvaguardia, in vista di un sicuro ritorno turistico-economico nelle aree in cui sono localizzati.

Il campione di Marco mi ha sollevato una curiosità soprattutto tecnologica: come si estraeva IN PRATICA il rame dalla pirite cuprifera (tanto ferro... poco rame) ai tempi della Serenissima?
Con un po' di fortuna sono riuscito a reperire una interessante pubblicazione del 1812, con le sue pagine tagliate grossolanamente in una spessa cellulosa ingiallita; nella consapevolezza, visto l'argomento, che probabilmente stavo sfogliando ciò che assai di rado era stato sfogliato negli ultimi due secoli, me le sono lette con ancor maggiore piacere e soddisfazione e ho deciso di riportarle integralmente, ricopiandone il testo esattamente come è scritto.
La lingua è primo-ottocentesca, quindi molto più semplice e vicina a noi rispetto a quella di Biringuccio, e la si legge unendo anche stavolta alla curiosità scientifica quella glottologica.
L'autore del saggio è un professore di Tecnologia nei Licei di Belluno, Verona e Vicenza e poi di Scienze naturali presso l'Università di Padova.

Il saggio sulla miniera di Agordo è molto lungo rispetto agli standard degli articoli del web e lo devo spezzare in più parti; correrò il forte (fortissimo?) rischio che risulti noioso appunto perchè lungo, ma siccome questo blog è eminentemente un mio diario personale, i pochi che passando da queste parti troveranno modi e argomenti per loro anacronistici salteranno dove vorranno con un colpetto di mouse.
Chi invece lo volesse leggere integralmente lo troverà in cinque puntate.
La prossima volta comincerò pubblicando la prima parte del lavoro e alla fine dovremmo saperne di più: come da un sasso ferroso contenente un pochino di rame si ricavasse nei secoli scorsi quel prezioso metallo tanto caro alla Serenissima.
Magari per farci una coniata di bagattini, un bronzo da cannone per la difesa di Candia o per rivestire la cupola di San Simeon Piccolo.
Fate voi.

 
 
 
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