Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

 

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Facciamo la "lissia"?

Post n°272 pubblicato il 03 Aprile 2014 da paoloalbert

D'inverno succede che di pratico faccio poco o niente perchè nella stagione appena passata il lab è semichiuso, là dentro fa freddo ed è noto che le sintesi vengono male se fatte con la giacca a vento.
Ora che la primavera è arrivata (e senza tutto quello schifo di pioggia dell'anno scorso!) tra una cosa e l'altra ho sparso nell'orto l'ultimo cassettino della cenere della stufa e così facendo per associazione di idee mi son ricordato della "lissia" che mia nonna Beatrice faceva negli anni '50.
Ma di che diavolo si tratta? Cos'è questa lissia"?
Si trattava semplicemente di fare il bucato, ma non quello consueto settimanale.
La lissia era un bucatone grande e importante, come per spazzar via con l'estate imminente le lordure di un anno intero.
Venivano lavate soprattutto montagne di lenzuola e tovaglie, tessute vuoi nel pesante cotone del dopoguerra oppure nel freschissimo lino dei corredi e ingiallite  dall'umano giacere o desinare oppure dal calore degli scaldaletti a brace che costituivano in quei tempi l'unico riscaldamento ammesso nelle camere degli inverni di allora, che non erano certo quegli invernucoli monsonici e tiepidi come gli ultimi attuali.
La lissia la facevano (o meglio, la facevano fare) soprattutto le famiglie benestanti di campagna, che potevano permettersi una adeguata ridondanza nella biancheria di casa, e magari la presenza di qualche robusta ragazzotta che a forza di braccia riuscisse a voltare e rivoltare i panni nella grande tinozza bollente.
Se vogliamo dirla in toscano, la lissia è il ranno.

E qui fortunatamente entra la parte chimica del discorso, perchè il protagonista di oggi è il carbonato di potassio, K2CO3.
Infatti l'ingrediente fondamentale della lissia era la cenere di legna, e la cenere di legna contiene quel buonissimo detergente alcalino che è appunto il K2CO3.
Si poneva in un gran calderone di ferro (o talvolta di rame) un centinaio di litri d'acqua e vi si aggiungevano alcuni chili di cenere, ben setacciata dai residui di carbone incombusto, e si accendeva il fuoco.
Si faceva bollire e poi si decantava e filtrava l'acqua attraverso una tela per separare il più possibile il residuo insolubile dalla soluzione.
Il termine locale "lissia" deriva infatti dall'altro più esplicito "lissiva", il quale a sua volta è deformazione di "liscivia", e lisciviare tutti sappiamo che vuol dire trattare con acqua un solido per asportarne le sostanze solubili.

Nella soluzione, caldissima e molto alcalina, venivano poi immersi i panni da lavare, rimescolati prima con un bastone e poi al diminuire del calore battuti e ribattuti dalla lavandaia di turno.
Avete presente quelle barzellette in cui si vede l'esploratore messo nel pentolone dai cannibali? Bene, più o meno così era l'incipit della lissia, con le lenzuola al posto dell'esploratore, naturalmente.
I panni, pulitissimi e profumatissimi di bucato, venivano poi stesi su lunghi fili di ferro zincato tesi fra gli alberi, le cui immagini, oggi falsissime e stereotipate, sopravvivono ancora nell'odierna pubblicità di alcuni detersivi, che mostrano sorridenti quanto inesistenti massaie nell'eden fiorito e insulso del "più bianco non si può" televisivo.

Ma la cenere contiene veramente carbonato di potassio? Ma quanto ne contiene?
Avendo molta cenere a disposizione nel cassettino della mia stufa, ho fatto un piccolo test senza pretese sulla medesima, ma senza arrivare fino in fondo... cioè non ho fatto la lissia ma mi sono fermato alla fase esclusivamente chimica della faccenda.

Per non farla qui troppo lunga, continuerò il discorso la prossima volta; intanto vado a preparare becher e provette.

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Commenti al Post:
ansa007
ansa007 il 04/04/14 alle 00:30 via WEB
Interessantissimo! Adoro venire a conoscenza di vecchie tradizioni a me sconosciute, grazie :)
 
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