Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

 

L'inchiostro della nonna

Post n°393 pubblicato il 26 Gennaio 2018 da paoloalbert

Non aspettatevi un granchè da questo post, nè tantomeno una cosa inedita; semplicemente è un esperimento talmente banale che l'ho sempre rimandato.
Come quel vecchio che abitava a Roma e non aveva mai visto il colosseo: è facile, ci andrò domani, diceva.
Oggi finalmente mi sono deciso a fare l'inchiostro ferro gallico.
Faccio la solita doverosa rogazioncina a San Google e cosa mi sputa fuori costui?
Mannaggia, mi sforna centomila inchiostri ferro gallici, in tutte le salse!
Ma è di gran moda allora! Galle da tutte le parti, sembra che non ci sia in Italia una quercia senza queste palle marroncine attaccate ad ogni foglia.
A un selvatico montanaro che frequenta i boschi come il sottoscritto, mai che capiti di vederla questa profusione gallesca... ma tant'è.
Vorrà dire che parlerò dell'inchiostro di mia nonna il minimo possibile, tanto tutto quello che qui manca lo si trova a camionate con pochi click, e poi io non amo le cose di moda.
Nella mia iniziale ingenuità avevo consultato pure il Turco (Nuovissimo Ricettario Chimico), quel ponderosissimo librone Hoepli che descrive un'infinità di formulazioni di ogni tipo, comprese quelle dei più disparati ed estinti inchiostri.
Ma quando è troppo è troppo ed allora ho fatto di testa mia.

Per fare l'inchiostro della nonna (si fa per dire, questo è l'inchiostro di sempre, fino alla nascita di László Bíró) servono tre cose chimiche:

- l'acido gallico (3,4,5-triidrossibenzoico)
- il solfato ferroso FeSO4.7H2O
- la gomma arabica (mix di polisaccaridi)

L'acido gallico l'avevo già fatto partendo dal tannino (link), e garantisco che è molto più divertente che mettere qualche galla in infusione nell'acqua.
(Però convengo che il mio procedimento odora "di chimica", e la chimica, come si sa, è brutta, cattiva, fa venire cose indicibili, eccetera, quindi i naturisti vadano in cerca di galle e non come ho fatto io)

Per fare di testa mia ho deciso di usare i tre componenti di cui sopra in rapporto 4:2:1 diluiti in 30 parti d'acqua.
Io ne ho fatto meno, ma in pratica, se si volessero fare per esempio 100 ml di inchiostro bello scuro servirebbero circa 12 grammi di acido gallico, circa 6 grammi di vetriolo verde e circa 3 grammi di gomma arabica.

inchiostro ferro gallico 1



Sciogliere per prima cosa la gomma arabica in tre quarti dell'acqua necessaria, scaldando un po' e mescolando con pazienza.
Aggiungere poi l'acido gallico e sciogliere pure questo.
Nel restante quarto dell'acqua sciogliere il solfato ferroso e alla fine unire le due soluzioni.
Si formerà immediatamente un liquido bello nero (con un po' di precipitato) che è l'inchiostro ferro gallico.
Tutto qui? Tutto qui.
Unendo le soluzioni si è formato gallato ferroso, già nero di suo, ma che diventa ancora più nero per esposizione all'aria (si ossida a gallato ferrico) appena lo si stende come scrittura su un foglio di carta.

Inutile fare tutta questa fatichina se poi non si riesce a procurarsi una penna di quelle vecchie, col pennino.
Magari quella col pennino a forma di manina dorata, con l'indice che scrive.
Senza questo indispensabile attrezzo è meglio mettersi a cercare un'anatra da spennare.

Ho cercato qualche giorno fa di reperire commercialmente i vecchi pennini, senza riuscirci.
Ne volevo uno e volevano vendermene almeno tre, lo volevo a prezzo onesto e a prezzo onesto non c'era, e allora anzichè pregare San Google ho fatto un pensiero a Sant'Antonio da Padova, il santo delle cose smarrite.
Ho rovistato a fondo nei vecchi cassetti di casa e la grazia è stata che son saltate fuori due vecchie belle penne, una di legno e una di plastica con relativo pennino! Perfetto!
Per farla breve, ecco il risultato:

inchiostro ferro gallico 2


Devo dire che l'inchiostro funziona perfettamente, scrive in nero intenso e non sbava, segno che la gomma arabica è giusta e fa il suo dovere addensante.

Il sale ferroso/ferrico impregna bene le fibre di cellulosa della carta e quindi è del tutto indelebile (ma devo farci un esperimentino... vedremo).
Scrivere con i vecchi pennini è sempre un'emozione, ma non bisogna aver fretta, soprattutto con un pennino nuovo non rodato che tende ad impuntarsi.
Scrittura talmente emozionante che se mi capita sottomano un'anatra (o meglio, un'oca) mi faccio dare una penna da lei e provo il ferro gallico con quella.
Poi faccio sapere.

 
 
 

Vinternatt i Rondane

Post n°392 pubblicato il 25 Dicembre 2017 da paoloalbert

Vinternatt i Rondane

         Harald Sohlberg, 1914 - Vinternatt i Rondane
                         Nasjonalgalleriet, Oslo



Rivedere anche con gli occhi di Harald Sohlberg questo medesimo orizzonte, suggestioni del 2017.
Buon Natale e buon DUEMILADICIOTTO!

 
 
 

Al Bivacco Vaninetti, tempo fa

Post n°391 pubblicato il 21 Dicembre 2017 da paoloalbert

Continua dalla volta scorsa.

Dopo l'illusione di aver alleggerito il sacco cercando di far fuori più panini possibile (Lavoisier insegna che il peso da portare sarebbe stato identico...) ci rimettiamo in moto, il sottoscritto e l'amico Danilo, verso il bivacco Vaninetti, nelle Alpi Retiche occidentali.
La meta ogni tanto intravvista da lontano era un paletto di legno posto su uno sperone che avrebbe (sottolineo "avrebbe") dovuto segnalare l'ubicazione della baracchetta zincata altrimenti poco visibile.
Beh, per farla breve, grazie all'altimetro, alla carta IGM e a litri di sudore alla fine ci siamo arrivati.
Gioia immensa! Eccolo, in una vecchia foto e in una più recente, da quando ha cambiato sia nome che colore:

Bivacco Vaninetti Bivacco Pedroni

Dentro, un paio di letti a castello costruiti con semplici assicelle e nient'altro, se non le pareti in lamiera.
Del resto da un bivacco in zona Trubinasca non ci aspettavamo di più e la situazione ci soddisfaceva pienamente.
Il trovarsi lassù, nel silenzio più assoluto, in un posto sperduto, solo cime selvagge all'intorno, per chi ama la montagna e ha qualche traccia di spirito meditativo ha il suo fascino che ripaga di ogni goccia di sudore persa nella salita.

Sistemiamo le nostre cose; inutile dire che in tutto il tragitto, nè ieri nè oggi a parte al rifugio Brasca, abbiamo incontrato anima viva.
Esploriamo intorno, alla ricerca dello scopo della nostra spedizione: le pegmatiti.
Dopo un po' di tempo riusciamo a localizzarle come una importante intrusione filoniana, bella spessa e contorta, nel granito.
Il colore è nettamente più chiaro ed i cristalloni di felspato e quarzo sono evidenti, alternati a belle fogliette lucenti di muscovite; promette bene!
Oggi siamo stanchi ed è poco ma sicuro che non abbiamo nessuna voglia di tirar fuori mazza e martelli e metterci a spaccar pietre; sarà per l'indomani.
Ci mettiamo su una balza a chiacchierare guardando l'infinito, per tirar sera allegramente.
Ad un certo punto io penso che non posso aver tribolato come una bestia per portare il ricetrasmettitore, l'antenna e il palo fin lì, quindi tiro fuori anche questa roba e mi metto a fare quei famosi collegamenti radio modello "Himalaia in miniatura" di cui parlavo.
Bello, fatto anche questo! Ultima occhiata alla Via Lattea lucente come una mezzeria stradale e poi a nanna!
E' ormai quasi buio e fa un freddo boia, quindi giù in branda vestiti di tutto punto, scarponi compresi... e buona notte.

La mattina, mezzi congelati, via di mazza e martello, vedrai che ti scaldi.
Ci aspettavamo berilli non dico ogni martellata, ma almeno uno ogni CENTO martellate!
No, per tirar fuori qualche berillino acquamarina ne abbiamo date MIGLIAIA di martellate... ma li abbiamo trovati, e tanto basta!
Purtroppo abbiamo dovuto constatare con rammarico che nessuna acquamarina, nè mia nè del Danilo, poteva far concorrenza a quelle di Via Montenapo che arrivano da Minas Gerais trasparenti come acqua di fonte, non come le nostre.
Peccato, accontentiamoci di quello che passa il convento!
Ecco i campioni, giudicate voi con indulgenza:

Berillo acquamarina 1

Berillo acquamarina 2

 

Dopo aver spaccato pietre tutta la mattina come i forzati di Yuma, dopo esserci divertiti per l'esperienza e guardato ancora una volta l'infinito, siamo tornati a Novate Mezzola a prendere la 127 della famiglia media italiana e ce ne siamo tornati a casa più ricchi di quando siam partiti.
Ricchi non di berilli, s'intende...
[E lo zaino? Adesso al posto dei panini c'erano sassi. Maledizione, peggio di ieri!]

 
 
 

Negli anni '70, a caccia di acquemarine

Post n°390 pubblicato il 13 Dicembre 2017 da paoloalbert

Eravamo venuti a sapere, io e il Danilo, giovani e studenti, che in alta Val Codera verso il Pizzo Trubinasca c'erano le pegmatiti.
E in quelle pegmatiti sapevamo pure che con accettabile probabilità ("accettabile probabilità" lo dico adesso, allora dicevamo "CERTEZZA ASSOLUTA") avremmo trovato il silicoalluminato di berillio Be3Al2Si6O18, varietà acquamarina.
Le acquemarine, le sorelline dello smeraldo! Roba grossa, roba da andarci di corsa!
E di corsa ci andammo, vedendoci già in possesso di azzurrini cristalli da far invidia alle vetrine di Via Montenapoleone.
Ci andammo carichi come somari di oggetti di ogni tipo; l'unico paragone che mi viene in mente sono appunto i somari e gli sherpa nepalesi quando ancora non avevano i sindacati.

A proposito di pegmatiti, le solite due parole.
Le pegmatiti sono rocce abbastanza rare che accompagnano talvolta le intrusioni granitiche e sono costituite principalmente da quarzo (ossido di silicio SiO2), feldspato (silicoalluminato di potassio KAlSi3O8) e mica (in questo caso muscovite KAl2(Si3Al)O10(OH,F)2), assieme ad altri minerali minori.
Si differenziano sostanzialmente dai comuni graniti perchè sono caratterizzate da una struttura a grana molto grossa, nella quale si vedono bene i cristalli dei vari componenti formatisi durante l'ultima fase di solidificazione di un residuo magamatico.
Se si fossero verificate particolari condizioni, fra le quali temperatura relativamente bassa (450-700°), presenza di fase vapore ed elevatissime pressioni si sarebbero formate.
Importante è che spesso nelle pegmatiti si trovano concentrazioni di minerali poco comuni (berillo, columbite, zircone, tormalina, wolframite, cassiterite, granato, tantalite, molibdenite ecc., non tutti insieme naturalmente!) che ne fanno una roccia sempre assai interessante, sia dal punto di vista mineralogico sia da quello economico quando si verifica una presenza sfruttabile di elementi rari (berillio, tantalio, tungsteno, litio, molibdeno, ecc.).

                                   ...°°°OOO°°°...

Val Codera 1

Prima parte del percorso: da Novate Mezzola al Rifugio Brasca

 

Val Codera 2

Seconda parte: dal Rifugio Brasca al Bivacco Vaninetti

 

Lasciamo la macchina  vicino a Novate Mezzola in un pomeriggio caldissimo di luglio.
(L'auto era una Fiat 127. Ricordo per inciso che allora un'infinità di famiglie italiane aveva la 127; adesso quest'auto è diventata rarissima, praticamente tutte sono state rottamate e ne sopravvive solo qualcuna. E' più facile trovare negli autoraduni storici una Topolino o una Balilla di una 127!).
Carichiamo gli sherpa-zaini e ci facciamo come antipasto i 2500 e passa gradini sull'unico sentiero verso l'abitato di Codera, sperduto nella valle, niente di niente, nemmeno acqua, solo paesaggio da meditazione.
Avanti ancora verso Bresciadega e poi avanti e avanti verso il Rifugio Brasca; ormai è sera, ci sgraviamo dei maledetti zaini e pernottiamo.
Si parte la mattina dopo, con i bagagli che pesano più del giorno precedente perchè avendo mangiato al rifugio abbiamo ancora tutto il pane (in quantità industriale) e le borracce strapiene di acqua perchè sappiamo che in alto il prezioso liquido non si troverà più e diventerà più ambito delle acquemarine (ammesso che si trovino...).
Risaliamo la valle, davvero incantevole, e cominciamo ad inerpicarci su un sentiero allora poco segnato, che appare e scompare come un fantasma in mezzo a roccioni e antichi scoscendimenti granitici.
Ora la faccio breve, ma la salita degli ultimi mille metri di dislivello è stata davvero estenuante, soprattutto perchè accompagnata dal continuo incubo di non riuscire a localizzare il bivacco Vaninetti, con tutte le conseguenze del caso visto che vi si doveva pernottare.
Avevamo bussole, altimetri, mappe dell'IGM e non eravamo sprovveduti ma assicuro che allora non fu facile trovare la baracchetta zincata sullo sfondo grigio-granito (adesso il bivacco non è più grigio ma rosso, e non si chiama nemmeno più Vaninetti ma Pedroni).
Oltre ai viveri, all'acqua, ai martelli e a tutto il resto, avevamo come compagni di viaggio anche una mazza da muratore (non un mazzuolo, una mazza!) ed un pesante ricetrasmettitore, con batterie, antenna e relativo palo per effettuare dei collegamenti radio modello Himalaia in miniatura...
Robb de matt!

Adesso mi fermo qui a mezza altezza e mangio cinque panini per alleggerire il sacco; la prossima volta arrivo al Vaninetti-Pedroni e faccio vedere quello che abbiamo trovato.

 

 
 
 

Un berilometro a neutroni...

Post n°389 pubblicato il 22 Novembre 2017 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Qualcuno avrà notato che amo paragonare gli elementi ai componenti di una numerosa compagnia teatrale nella quale ogni elemento, come ogni attore, ha il suo carattere e la parte da recitare.
Come in tutte le compagnie numerose, c'è un gruppo di "protagonisti" (più o meno sempre quelli) e poi un buon numero di personaggi che recitano parti, diciamo così, secondarie, oppure che sembrano tali.
Oggi faccio recitare una di queste comparse che sta sempre dietro al gruppo e che nessuno (a parte gli addetti ai lavori) conosce.

Nemmeno negli anni d'oro dei forum di chimica sperimentale il berillio e i suoi sali hanno mai avuto più di qualche cenno e non c'è da stupire se nemmeno il mio modestissimo lab non ha purtroppo mai visto in faccia un composto di questo metallo, se non in questo componente elettronico (una resistenza per RF) che pongo qui in mancanza di meglio.

 

BeO

Non che ci sia un granchè da vedere nei sali di berillio, sono per lo più tutti composti bianchi senza alcun appeal cromatico; tutti sono assai velenosi.
Questo molto raro metallo si trova proprio sulla soglia della tavola periodica (appena un paio di protoni in più dell'elio!), con caratteristiche peculiari:

 

è estremamente leggero (1,85 g/cm3, una piuma) e con alto punto di fusione, 1287°.
Per queste e altre ancor più specifiche caratteristiche è un materiale costoso e strategico.

Ci sono in giro per il mondo miniere particolarmente curiose (ne ho già detto per il litio, il cesio e altro) ed  il berillio me ne dà ancora lo spunto.
Anche nel caso di questo elemento è interessante notare che la produzione mondiale arriva, quasi tutta, da un solo giacimento!
Esso è situato alle pendici della Spor Mountain (link) nel deserto dell'Utah, in un posto, come ve ne sono tantissimi negli USA, veramente desolato.

 

Spor Mountaign


Il principale minerale estratto è la Bertrandite, un silicato idrato di berillio Be4Si2O7(OH)2).
Ricordo che l'altro minerale di berillio è il "berillo", un silicoalluminato Be3Al2Si6O18, che nella forma cristallina trasparente costituisce nientepopodimeno che lo SMERALDO (se trasparente e verde) o l'ACQUAMARINA (se azzurrino).

[Le acquemarine mi fan sempre ricordare un paio di tremende giornate che assorbirono quand'ero studente quasi tutte le mie risorse fisiche nella caccia a questi famigerati cristallini, facendomi scarpinare assieme all'amico Danilo su e giù per l'Alpe Sivigia cercando le pegmatiti berillifere attorno al bivacco Vaninetti (ora biv. Pedroni). Forse ne accennerò in futuro].

                                ...°°°OOO°°°...

Spor Mountain nello Utah è costituito principalmente da rocce sedimentarie del paleozoico e con faglie intricate che sono localmente introdotte in rocce vulcaniche di età terziaria e il distretto del berillio si trova sulle pendici ovest e sud-ovest della montagna.
Visto l'interesse verso il metallo, la mineralizzazione a bertrandite di Spor Mountain è stata oggetto di indagini intensive  e cinque miniere a cielo aperto di proprietà della Brush Wellman Inc. alimentano il giacimento e l'impianto di lavorazione nella città più vicina (Delta, Utah).
La mineralizzazione del berillio è limitata al tufo vulcanico e i depositi di minerale sono mescolati ad argilla, feldspato, fluorite, ossidi di manganese e altro; a complicare le cose è che i depositi di berillio sono submicroscopici e disseminati nel tufo con tenore dello 0,6/0,7% di BeO, tuttavia in quantità di diversi milioni di tonnellate di bertrandite.

Le tecniche utilizzate dalla Brush Wellman Inc. per estrarre il minerale di berillio sono particolari perchè la mineralizzazione nel tufo è incolore e con struttura cristallina tanto piccola che non produce caratteristiche fisiche visibili che aiuterebbero a identificarla.
Il minerale di berillio viene quindi estratto da aree selezionate del sito e produce una miscela omogenea accettabile per le operazioni successive di arricchimento.
Le aree vengono selezionate con uno strumento detto "berilometro", un contatore a scintillazione con una sorgente di emissione di raggi gamma che quando posto in contatto con un minerale contenente Be provoca una emissione secondaria di neutroni, riconoscibili e conteggiati.
Poiché il conteggio è direttamente proporzionale al contenuto di Be del campione si può risalire alla consistenza del corpo minealizzato.


[Anche noi (io e il Danilo) avevamo due bei berilometri a neutroni quando andavamo in cerca di acquemarine in Val Codera... sotto forma di una mazza da muratore ciascuno...]

La produzione mondiale di berillio si attesta sulle poche centinaia di tonnellate annue, quindi una produzione microscopica rispetto ad altri elementi.
Gli Stati Uniti sono il leader nel mercato, con oltre l'87% della produzione totale.
Altri paesi produttori di berillio sono principalmente la Cina ed il Mozambico, ma molto in subordine.
Alcune stime prevedono che la domanda aumenterà parecchio nei prossimi decenni per le applicazioni nei futuri reattori a fusione e altri impieghi di alta tecnologia, oltre alle già note leghe con il rame, al quale il Be conferisce ottime doti meccaniche e di elasticità e la ceramica a base di ossido con eccezionali caratteristiche di conducibilità termica (esempio nella foto mostrata sopra).

 
 
 

Rossi di caco

Post n°388 pubblicato il 16 Novembre 2017 da paoloalbert

caco

 

A pochi passi da casa c'è questo piccolo caco che quest'anno ha preso i colori dell'autunno come non mai.
Guarda (oppure ancor meglio, IMMAGINA!) che profusione di rossi.
Meriterebbero ben altra fotografia di quella misera che ho fatto en passant in una mattina nebbiosa di novembre.
Il sentierino in basso a destra, fra l'erba umida, è dovuto al passaggio quasi quotidiano di cinghiali e cinghialetti che salgono e scendono di notte tra il bosco di castagni (a monte) e la "jungla" selvatica un po' più a valle.
E attorno colori, colori, colori...

 
 
 

Stevia la dolce

Post n°387 pubblicato il 29 Ottobre 2017 da paoloalbert

Mi piacciono le piante in generale, figuriamoci se non amo qualsiasi vegetale che mi produce, gratis per sintesi interna, una interessante sostanza chimica con la sua bella formulaccia!
Che sia velenosa come la fava di Sant'Ignazio o dolce come la stevia, non importa: per quanto mi riguarda le ringrazio entrambe.
A proposito di stevia, all'inizio della scorsa primavera me ne sono messa nell'orto una pianticella, per sentire poi che gusto avrebbe avuto lo stevioside.

Attenzione: NON l'ho piantata perchè è di moda (di solito tendo sempre a fare proprio il contrario delle cose "di moda") ma con lo stesso spirito col quale avevo coltivato con cura lo stramonio... e credo che tanto basti per capirci.

La stevia da un po' di tempo è diventata di moda a causa dell'imperante mania delle ipocalorie (manie televisive dell'acqua fresca) e si trova adesso in internet in tutte le salse... pardon, pillole, bustine o estratti, fate vobis.
[Per essere pignoli, che abbia poi "zero" calorie come viene detto commercialmente è una emerita panzana, perchè nessuna sostanza organica ossidabile ha "zero" calorie alla combustione: semplicemente il suo potere calorico è trascurabile perchè essendo molto dolce se ne usa pochissima].

Si capisce che non posso fare a meno di piazzare qui il quadretto dello steviolo, il protagonista dolce che il glicoside ci fornisce. Guarda che bello:

steviolo

Della stevia si sa ormai, grazie a San Google, vita morte e miracoli: che è molto dolce, che arriva dal Paraguay, eccetera, eccetera, come al solito non mi soffermo su ciò.
Dicevo dunque che volevo assaggiare di persona lo stevioside e così dopo che la pianticella si è ben sviluppata durante l'estate l'ho potata senza pietà finchè mi ha fornito un bel po' di foglioline, diventate una ventina di grammi una volta ben essiccate all'ombra.

Per l'estrazione del principio attivo ho posto le foglioline secche ben sminuzzate in 250 ml di etanolo ed ho lasciato digerire per una decina di giorni in posto fresco, mescolando di quando in quando.

stevia 1


Alla fine ho filtrato, ottenendo un liquido limpido verde scurissimo per l'abbondanza di clorofilla.

stevia 2


Ho posto il liquido in un pallone da 500 ml ed ho recuperato per distillazione la maggior parte dell'etanolo.

stevia 3


La temperatura sale ovviamente fino a 78° (temp. di ebollizione del C2H5-OH) e si mantiene costante durante quasi tutta l'operazione; alla fine, essendoci un residuo di fase acquosa, la temperatura tende a salire ma ho interrotto la distillazione a 85° volendo tenere la temperatura più bassa possibile per non "cuocere" il prodotto.
Non ho quindi bollito il residuo fino a concentrarlo in un caramello (come si legge da qualche parte in rete!), ma mi sono fermato quando erano rimasti nel pallone circa 35 ml di residuo, sempre di colore verde scurissimo e con lo stevioside e le altre sostanze il più possibile non alterate da eccessivo riscaldamento.

stevia 4


Ora il prodotto ottenuto, che è ancora appena appena alcolico, è pronto per essere assaggiato, puro o diluito.
Visto così sembra nero ma in realtà è verde scuro.

stevia 5


Assaggiarlo puro ha poco senso perchè di sapore dolce troppo intenso; diluendone invece qualche goccia in un bicchiere d'acqua se ne può apprezzare esattamente il sapore e soprattutto il persintentissimo retrogusto, simile alla liquerizia.

A questo punto ognuno ne faccia quello che vuole e consideri, con soddisfazione se quello è lo scopo, che qualche goccia di questo estratto renderanno dolce il tè delle cinque diciamo pure con "zero" calorie...

 
 
 

Tutto è un'onda?

Post n°386 pubblicato il 21 Ottobre 2017 da paoloalbert

Chimica sperimentale, dove sei finita?
Si sono ben rarefatti i personaggi che recitavano le commediole delle mie e altrui sintesi (e ne ridirò, per l'ennesima e ultima volta, il motivo).
Ed i forum di chimica sperimentale?
Morti o moribondi, inesorabilmente.
Perchè chimica sperimentale (oltre alla teoria, è sottinteso) vuol dire sporcare provette.

Tutto il resto non è altro che acqua aggiunta al brodo: - "Mamma, mamma, arrivano gli zii - diceva quella bambina della barzelletta - aggiungi acqua al brodo e farina alle polpette che mangiamo in tanti!" - Sì, mangiamo in tanti, ma mangiamo di magro...

Direi che di sperimentale non è rimasto quasi più nulla, gli sporcaprovette si sono ritirati e sopravvive solo qualcosa in qualche forum straniero e sul solito Youtube.
Osservo, ormai da tempo, timide o radicali liquidazioni del proprio home-lab; si cerca di realizzare dando via vetreria e reagenti, forse per cambiare hobby.
Trovare una nuova sintesi che abbia i requisiti di essere inedita, non banale e decentemente fattibile, è un'impresa disperata.
La motivazione è semplicissima, non è colpa di nessuno ed è dovuta a quel mio famigerato PRINCIPIO DI SATURAZIONE:

-"le sintesi sperimentali SEMBRANO infinite (e in teoria lo sono), ma in pratica SONO UN NUMERO ABBASTANZA LIMITATO E ORMAI SONO QUASI TUTTE GIA' STATE FATTE E PUBBLICATE".

Il perchè siano "un numero abbastanza limitato" sembra un paradosso, ma non lo è affatto.
Affrontare "quelle che mancano" (sia pure bellissime, basta scorrere il Vogel) presuppone un continuo e asfissiante impiego di risorse economiche assolutamente non sostenibile per un hobbista.
E proporre ripetizioni di quanto fatto da altri fornisce scarsa soddisfazione e così gli sperimentatori si estinguono.

Senza speranza quindi? Come ipotetica consolazione possiamo riflettere su quanto segue...

...tanti eventi che ci circondano, presi in senso opportunamente lato, possono essere letti come un'onda.
L'ampiezza di un'onda (facciamo finta che sia una sinusoide), nasce con valore zero sull'asse delle ordinate, poi la sua ampiezza aumenta e raggiunge un massimo, quindi inizia a decrescere fino a riportarsi a zero.
Poi inverte di segno mantenendo lo stesso andamento, e così via mentre il tempo scorre lungo le ascisse.
Attraverso il tempo, tutto nasce, cresce, si sviluppa, decresce e muore, in secoli o in nanosecondi, a seconda del contesto.
Dove voglio andar a parare con queste facili filosofie dell'acqua fresca?
Che anche gli hobbies e le passioni, per i più svariati motivi, seguono la legge dell'onda: nascono, raggiungono un apice e poi decrescono, poi magari risaliranno... e così via.
L'andamento non sarà certo sinusoidale, ma d'altra parte questo tipo di onde "sociali" possono avere una forma qualsiasi altrimenti sarebbero troppo prevedibili.

Il discorso dell'onda si correla, per venire al sodo, con la chimica sperimentale di cui parlavo sopra, che dopo un florido periodo sta scendendo verso valori infimi... certo in attesa di risalire, speriamolo.
Ma chissà quando, questo è il problema.

 
 
 

Mistero svelato

Post n°385 pubblicato il 08 Ottobre 2017 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Chi legge non si aspetti un granchè di mistero: è un misterucolo da niente, ma dato che tutto è relativo può avere la sua importanza nel minicontesto di questo blog.
Vi ricordate della Festa delle donne e dell'acido borico?
Qui c'è il link.

Concludevo allora col supporre, per alcune analogie ed in via del tutto personale, che il colorante della mimosa potesse essere un "parente" della curcumina, in assenza di altre notizie che non riuscivo a trovare.
Ora sono venuto a conoscenza, grazie ad un lavoro pubblicato nel 1981 dal ricercatore Filippo Imperato dell'Università di Catania (diamo a Cesare quel ch'è di Cesare!) che il colorante dei fiori di Acacia Dealbata (mimosa) è la calconaringenina


calconaringenina

                        4,2',4',6'-tetraidrossicalcone

In realtà si tratta di un glicoside (chalcononaringenin 2'-[O-rhamnosyl-(1-4)-xyloside], sull'ossidrile 2') ma la sostanza non cambia, la molecola cromatica gialla è quel calcone tetraidrossilato, e tanto ci basta a soddisfare la nostra curiosità.
Niente a che vedere quindi con la curcumina?
Beh, un pezzo di molecola in comune c'è... e accontentiamoci di questo!

Per dare fino in fondo a Cesare quel ch'è di Cesare, le notizie di cui sopra sono state trovate e mi sono state gentilmente fornite da un chimico eclettico e di grande cultura scientifica (che chiamerò Alfonso), che con costanza è riuscito a reperirle e che mi ha consentito la soluzione dell'enigma.

Grazie!

 
 
 

Una spedizione sfortunata

Post n°384 pubblicato il 13 Settembre 2017 da paoloalbert

Più che sfortunata la definirei ingenua e temeraria, ma quelli erano i tempi e gli uomini e del resto tutte le prime grandi conquiste geografiche sono state assolutamente temerarie.
Sto parlando di una spedizione polare da noi poco conosciuta, di cui accennavo: la tentata conquista del Polo Nord in pallone da parte di Salomon August Andrèe nel 1897.
Visto il periodo personale in tema "profondamente nordico", ho frugato al ritorno nella mia piccola biblioteca e mi sono riletto il bellissimo libro a cura della Società di Antropologia e Geografia svedese, edito da Mondadori nel 1930.
Fu tradotto e stampato immediatamente sull'onda di quella fortunosissima scoperta che furono i resti della spedizione, rinvenuti dopo 33 anni dal disastro.

 

Il libro di Andrèe


Chi fosse interessato a qualche notizia su questo avvenimento basterà che faccia le solite ricerche in rete per avere un'idea, anche se sommaria, della faccenda; quindi da parte mia la riassumo solo in due parole.
Il tecnico e scienziato svedese Salomon Andrée, accompagnato dal fisico Nils Strindberg e dall'ingegner Knut Fraenkel, tentò di raggiungere il Polo Nord ancora inviolato partendo l'11 luglio 1897 con un pallone riempito di idrogeno dall'isola dei Danesi (Danskøya) all'estremo nord delle Svalbard.
La spedizione partì subito malissimo per inconvenienti tecnici e si risolse dopo appena 480 Km percorsi in pallone con un atterraggio forzato sul pack a 82° di latitudine.
Dopo tappe massacranti sui ghiacci e sofferenze inaudite i tre naufraghi riuscirono a raggiungere in circa tre mesi la sperdutissima ed inospitale isola Kvitøya (l'Isola Bianca, perennemente coperta da una cappa di ghiaccio) e lì morirono di freddo e di stenti dopo poco tempo.
Degli uomini della spedizione non si seppe più nulla... fino al 1930, quando per puro caso quell'anno ne furono ritrovati i resti, assieme a buoni frammenti dei diari compilati da Strindberg ed Andrée.
Quello che ha dell'incredibile è che furono trovati anche i resti delle lastre fotografiche e soprattutto che si riuscirono in parte a sviluppare dopo 33 anni di permanenza nei loro contenitori, esposti per un terzo di secolo alle proibitive condizioni climatiche di quel luogo!
E così si riuscì a ricomporre praticamente tutta la storia della sfortunata spedizione, di cui si era persa ogni traccia dalla partenza.

                                 ...°°°OOO°°°...

E qual'è quella "particella di chimica" di cui dicevo e che si trova in questa vicenda?
La dico subito.
Anzi, sono due particelle... e ci metto pure l'esperimentino!

Prima particella

Il pallone di Andrée aveva un volume di poco più di 5000 metri cubi, da riempirsi con idrogeno.
Da riempirsi non con comode bombole da 250 atmosfere come si farebbe oggi, ma con un apparecchio progettato da Andrée e costruito  dall'ing. Ernst Lek, che generava il gas trattando acido solforico con limatura di ferro!
Si portava alle Svalbard H2SO4 concentrato, lo si diluiva con acqua di mare e lo si gettava sulla limatura di ferro; l'idrogeno generato (in misura di circa 60 mc all'ora) veniva poi lavato, privato il più possibile dall'acido solfidrico H2S ed infine essicato prima di essere immesso nel pallone.

 

L'apparecchio per l'idrogeno

          L'apparecchio per l'idrogeno e gli operai addetti

Mi sono chiesto per pura curiosità quanto acido solforico e quanto ferro sarà servito per generare i 5280 mc di H2 con cui fu riempito il pallone alla partenza.
E' presto detto:
-la reazione che avviene è Fe + H2SO4 --> FeSO4 + H2 ovvero una mole di idrogeno è generata da una mole di ferro e da una di acido.
Una mole di gas in conzioni normali (anche se là le condizioni non erano tanto "normali", ma facciamo finta di niente) sono 22,4 litri, pari a 2 grammi di idrogeno.
5280 mc sono 236000 moli, e altrettante devono essere le moli di ferro e di acido.
Siccome il peso molecolare del ferro è 56 e dell'acido 98, il conto è facile:

- 132 quintali di limatura di ferro e 240 quintali di H2SO4 concentrato!

Con tutti gli arrotondamenti del caso... è bel carico! E solo per UN riempimento e senza considerare le perdite.
E il costo? Per la cronaca sono 18400 corone svedesi dell'epoca tra apparecchio e reagenti, e se non ho fatto male i numerosi calcoli di conversione, approssimativaamente qualcosa come 150.000 € attuali.

Seconda particella

Per controllare che il pallone non avesse perdite, durante il riempimento si controllavano le giunzioni dell'involucro (fatto di seta con una triplice verinciatura gommata) mettendo sulle connessure delle cartine imbevute di una soluzione di acetato di piombo, le quali sarebbero annerite (per l'inevitabile presenza di tracce di idrogeno solforato H2S) formando PbS nero.
Questa prova analitica è banale ma ho voluto replicarla in onore ai tre ardimentosi aeronauti, ai quali dedico il mio modestissimo ricordo e solidarietà per le sovrumane fatiche affrontate durante la marcia sul pack.

Come si vede, la mia beutina con una vecchia limatura di ferro e H2SO4 diluito (mi si perdonerà se non avendo sottomano l'acqua di mare delle Svalbard mi sono dovuto accontentare di diluire con acqua di rubinetto...) perde alla grande dal collo aperto e quindi annerisce la cartina all'acetato perchè un po' di zolfo c'è sempre nel ferro commerciale e nella reazione oltre ad H2 si genera anche un po' di H2S.

Piombo acetato 1 Piombo acetato 2 Piombo acetato 3
Cartina all'acetato di piombo all'inizio e dopo un quarto d'ora


Anche il pallone di Andrée perdeva.
Poco ma perdeva, anche perchè l'idrogeno è un furetto che tende a scappare appena può.
Questo fatto, messo insieme a tutte le numerose concause che qui non sono dette (la principale fu una grande sottostima delle condizioni metereologiche di quei luoghi) contribuì al determinarsi della tragedia.
La medesima tragedia si ripetè puntualmente nel 1928 anche con il dirigibile Italia di Nobile, quando anche in questo caso il ghiaccio appesantì a tal punto l'apparecchio da renderlo non più capace di autosostenersi.
In questo caso il salvataggio (parziale) fu possibile, ma anch'esso per puro caso (ne ho già parlato su questo blog).

Una curiosità: se uno andava al Polo, come comunicava col mondo nel 1897?

-Con dei gavitelli da gettare in mare, sperando che qualcuno (chissà dove, chissà quando) li trovasse.
La classica bottiglia nell'oceano... eppure incredibilmente cinque di essi furono effettivamente ritrovati anni dopo, spersi fra l'Islanda ed il profondo Nord.

-Oppure con i piccioni viaggiatori
: Andrée ne aveva a bordo 36 ed uno arrivò perfino a destinazione!
O meglio, fece il possibile per riuscirci ma anche lui fu sfortunato: atterrò sull'albero di un peschereccio, fu scambiato per una pernice bianca e si prese una bella fucilata dal capitano a cui evidentemente piaceva la cacciagione.

Però il bigliettino che portava fu casualmente trovato ed esso si trova ora, assieme al suo latore imbalsamato, al museo di Stoccolma.

 
 
 

Orizzonti lontani

Post n°383 pubblicato il 06 Settembre 2017 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

"Mancò la fortuna, non il valore", si dice per El Alamein.
Parafrasando molto liberamente, il mio piccolo El Alamein è quella chiesetta di Re Oscar... per la quale non mi mancò la volontà ma semplicemente il tempo.
Ci sono andato vicino, ma non sono riuscito a raggiungerla.
La causa è appunto quell'inesorabile nemico che è il Tempo.
Naturalmente non quello atmosferico, che quest'ultimo è un nemicuccio insignificante in confronto all'Altro, che non perdona, e per il quale non esistono armi.
Mi sarebbero serviti altri due giorni aggiuntivi di viaggio, che non avevo, e così ho dovuto mio malgrado mettermi il Finnmark alle spalle e scendere in Lapponia e poi sempre più giù.
Quello che ho detto l'altra volta

-fjernt, ensom, sjarmerende dyp nord-

lo confermo: lontano, solitario, affascinante profondo nord!

Per un appassionato di freddo e ghiacci (in senso letterario) come chi scrive, mettere i piedi sulla Fram di Nansen o quasi toccare con mano un cimelio di una spedizione polare che pochi conoscono è una bella soddisfazione.
Assieme agli orizzonti persi nel nulla nel "dopo Tromsø", naturalmente.

Nella spedizione appena citata entra anche una piccola particella di chimica: ecco che ho la scusa per dirne due parole la prossima volta!

 
 
 

Kong Oscar IIs kapell

Post n°382 pubblicato il 27 Luglio 2017 da paoloalbert

Mando il mio blog in vacanza per un bel po' di tempo, per un buonissimo motivo!

Vedete questa chiesetta che sembra niente? E' dedicata al re Oscar II.

 

Kong Oskar II kapell


Il problema è che si trova in uno dei posti più sperduti d'Europa (maps).
Siccome mi piace andare in giro, voglio tentare di (ri)andare da quelle parti, se ci riesco.
Le gomme alla macchina le ho già cambiate...

                     Fjernt, ensom, sjarmerende dyp nord!

 
 
 

Il nanocondizionatore

Post n°381 pubblicato il 10 Luglio 2017 da paoloalbert

Ho visto qualche giorno fa in un mercatino dell'usato a prezzo irrisorio uno di quei radiatoroni da computer muniti di ventola per quei patiti della supervelocità o dei supergiga che più che radiatori da microprocessore sembrano pezzi di auto da corsa e sono anche esteticamente molto curati.
Siccome le dimensioni della piastrina di rame di base erano esattamente identiche alla mia cella di Peltier (link 1 e link 2), l'ho acquistato con l'idea di fare per gioco un nanocondizionatore che mi soffi in faccia, GRATIS, un alito di aria fresca mentre pasticcio con le mie cose in questo carontico periodo.
La cella di Peltier ha un pessimo rendimento (si sa quanto termodinamicamente sia facile fare il caldo e quanto sia difficile fare il freddo!) e la mia assorbe 3 ampere a 12 V, pari a 36 W divorati, quindi se si vuole che lavori gratis occorre una sorgente altrettanto gratuita di energia, altrimenti consumare 36 W per avere in cambio solo un microscopico refolino di fresco non avrebbe senso.
Essendo io sono un forte simpatizzante delle energie alternative (10 KW di fotovoltaico e altrettanti di termico sul tetto), sul mio lab c'è anche anche un piccolo pannello fotovoltaico da 50 W, col quale carico una batteria da auto da 40 A/h.
Et voilà parecchi watt GRATIS per la Peltier!

E' indispensabile che il calore prodotto dalla cella, che su una faccia raffredda e sull'altra riscalda, sia estratto continuamente in maniera molto efficace dato che il rendimento termico dipende dalla differenza di temperatura tra le due facce.
Per estrarre ed allontanare il calore prodotto ho applicato alla faccia calda un altro radiatore in alluminio per PC, più piccolo ed immerso in una vaschetta di acqua con ricircolo.
L'acqua, con il suo grandissimo calore specifico e la conducibilità termica molto più elevata dell'aria garantisce che la faccia che si riscalda sia tenuta più fredda possibile ed il ricircolo avviene con un filino d'acqua che percorre la vaschetta, uscendo da un foro di troppo pieno.
Poichè niente al mondo è del tutto gratis, il marchingegno qualcosa consuma anche lui... ed è il filino d'acqua che smaltisce il calore prodotto dalla Peltier.
Le immagini valgono più di mille parole e così si capisce come ho imbastito questo giochino da estate torrida.

 

nanocondizionatore 1

             I due radiatori (freddo in alto, caldo in basso)

 

nanocondizionatore 2

Vista di fronte, vaschetta vuota con il troppo pieno per l'acqua

 

nanocondizionatore 3

                    Vista retro, la ventola a 12 V

 

nanocondizionatore 4

      La cella Peltier (linea bianca) stretta tra i due radiatori


Quanto raffredda un accrocco del genere?
C'è una singola cella e quindi raffredda poco poco, giusto un refolino di aria di qualche grado più fresca di quella dell'ambiente, ma che unita al vortice d'aria prodotto dalla ventola fa piacere avere sul tavolo di lavoro in queste sere afose.
Direi che "nanocondizionatore" è un termine appropriato.

Certo io sono assai fortunato perchè ho la possibilità di far arrivare facilmente "il filino d'acqua" fino alla vaschetta e altrettanto facilmente scaricare con un tubetto fuori dalla finestra il troppo pieno senza dar fastidio a nessuno (anzi, facendo un favore a delle povere piantine di fragola, sempre assetate); idem come far arrivare i 12 V dalla batteria ricaricata dal sole e tutto il resto.
Ma tant'è, il mio blog è un diario della situazione così come essa è.

 
 
 

Formiato di rame tetraidrato

Post n°380 pubblicato il 05 Luglio 2017 da paoloalbert

Mi è sempre piaciuto l'acido formico, per quel suo nome dal sapore alchimistico, che te lo fa immaginare come quintessenza di milioni di formiche distillate da un athanor.
E infatti ne ho già parlato al riguardo qualche tempo fa (link).
La modernità chimica imporrebbe che quest'acido si chiamasse "metanoico" (analogamente all'acetico, che diventa  "etanoico"... e così via idrocarburando per ogni atomo di carbonio aggiunto), cercando di far dimenticare (agli studenti di oggi) i nomi classici sostituendoli con i nuovi nomi IUPAC, che sono tecnicamente perfetti ma di una freddezza ributttante.
Come puoi appassionarti e diventare un chimico sperimentale quando perfino il nome "politicamente corretto" (!) di un banale sale inorganico ti fa passar la voglia di giocarci?
Come puoi immaginare interessante una diazotazione se devi usare il "potassio diossonitrato", ossidare con "monoossocloruro di sodio", disidratare con "tetraossosolfato di magnesio" e odorare "l'etanoato di etile"?
Poveri chimici sperimentali potenziali, decimati (ma probabilmente più che decimati) solo negli ultimi pochi anni per tanti motivi...
In ogni caso si è capito che anche l'acido formico, per quanto mi riguarda, rimarrà sempre acido formico col suo sacro e inviolabile vecchio nome.

Ho voluto banalmente salificare questo capostipite degli acidi grassi col rame, per dare un compagno al propionato che mi aveva dato a suo tempo dei bei cristalli.
Naturalmente si sa già in partenza che ne verrà fuori un sale azzurro, con qualche molecola di acqua di cristallizzazione (quattro nel caso in oggetto).
La sintesi è terra-terra e non la commento: dico solo che si può partire dal solito solfato precipitandolo come carbonato basico e salificando con l'acido formico; naturalmente sempre rispettando tutte le regole del catechismo chimico sperimentale di base.
Si concentra per evaporazione (molto lenta e a temperatura costante se si vogliono avere dei bei cristalli) mai arrivando a secchezza.
Si elimina il restante poco liquido saturo, si risciacqua velocemente il solido con un filo d'acqua gelida e si conserva il prodotto ben chiuso.
Ecco il formiato di rame tetraidrato, in un ammasso di cristallini azzurri; purtroppo non ho avuto la pazienza di farli crescere di più, che son lavori che vengono meglio d'inverno.

 

rame formiato

 

Nella fotografia sembra una crostaccia ma in realtà sono tutti bei cristallini, molto solubili in acqua e di un sapore, se lo volete sapere, davvero davvero disgustoso.

Un paio di formulette per qualche simpatizzante poco chimico che passasse di qui: 

se H-COOH è l'acido formico, il rame bivalente allunga le due braccine e acchiappa un formico (nel punto giusto) uno di qua e uno di là, così:

H-COO-Cu-OOC-H

e se ci mettiamo anche l'acqua di cristallizzazione il tutto diventa Cu(HCOO)2.4H2O

 
 
 

Assaggiando la Feniltiocarbammide

Post n°379 pubblicato il 19 Giugno 2017 da paoloalbert

..e adesso assaggerete la Feniltiocarbammide e poi mi saprete dire...-

-Bella questa! Ma dove son capitato?
Sogno o son desto? Mi propongono niente popò di meno di assaggiare una robaccia chimica!
Un'occasione unica come questa non me la perdo di sicuro ... e con il mio solito spirito anarchico verso il comune sentire ho leccato con gusto la cartina impregnata di una soluzione opportunamente diluita di quella robaccia che ho detto.

Poichè mi trovavo in una riunione di persone bene assortite e trovatesi in quel luogo quasi per caso, non mi sono sfuggiti due eventi eccezionali verificatisi contemporaneamente, e che riferisco con una punta di provocazione:

Primo evento eccezionale:

- la persona referente, rivolgendosi ad un pubblico generico, nomina in chiaro il nome di una astrusa sostanza chimica (feniltiocarbammide), che più chimica di così non si può.

Non credo alle mie orecchie!
Siamo abituati al fatto che le sostanze chimiche giammai si nominano in pubblico col proprio nome scientifico, e che se per caso si nominano, si nominano storpiando il nome con qualche castroneria!
Si deve dare per scontato che fra chi ascolta non vi sia NESSUNO con una minima cognizione di chimica che vada oltre la formula dell'acqua e quindi perchè nominare parole che tanto "la gente" non capirà mai?
La persona di cui parlo invece, e qui sta il bello ed il mio commosso ringraziamento, ha avuto il coraggio di pronunciare l'impronunciabile: FENIL-TIO-CARBAM-MIDE di fronte ad un auditorio di gente "comune". Brava!
FENIL-TIO-CARBAM-MIDE, ve la immaginate una parolaccia del genere detta alla tivvù?
Da far saltare la poltrona all'incauto giornalista (che fra l'altro, da giornalista, non l'avrebbe MAI detta giusta...).

Secondo evento eccezionale:

- siamo stati invitati ad assaggiare la sostanza chimica!

La tivvù e tutti i cosiddetti "media" ci hanno ormai inculcato che non ha nessuna importanza considerare la quantità: che si tratti di un trilionesimo di milligrammo una volta nella vita o di una di cucchiaiata al giorno, quando si tratta di "chimica" il pericolo è uguale e terribile!
E ciò non ostante, consapevoli di questo, tutti abbiamo messo sulla lingua la robaccia!
Orrore degi orrori, abominio!
Ma non ci stanno sempre inculcando che le sostanze chimiche sono tutte terribili e cancerogene, quanto di peggiore esiste sulla faccia della Terra INDIPENDENTEMENTE DALLA QUANTITA'?
Chi era quell'asino che affermava che ciò che fa di una sostanza un veleno è LA QUANTITA' di ciò che si ingerisce?
Deve essere stato proprio un asino dal momento che ormai più nessuno sembra soffermarsi su questo "insignificante" (!!!) particolare.

Beh, pur sapendo che la feniltiocarbammide è una sostanza sicuramente e dichiaratamente molto tossica, l'ho assaggiata proprio per questo ancora con più gusto perchè sono uno di quelli che la pensa come quell'asino che ho appena non nominato.
Siccome la quantità ingerita era estremamente al di sotto della soglia di pericolosità, l'ho assaggiata con la certezza che NON morirò nemmeno a causa di questo mio ennesimo azzardo temerario.

Di interessante nell'esperimento che abbiamo fatto c'è che messa sulla lingua la cartina feniltiocarbammidica, io e tanti altri non abbiamo sentito nessun sapore, tanto meno il gusto amaro!

-PA, parla chiaro finalmente! Ma dove cavolo ti trovavi?

Mi trovavo partecipe a delle conferenze teorico-pratiche organizzate in modo impeccabile da una associazione sulla diffusione del miele, che ci ha proposto un mucchio di interessantissimi assaggi, su come eseguirli e come valutare quel buonissimo prodotto (chimico anch'esso, ogni suo componente ha una bella formulaccia...) che le api ci regalano.

E la feniltiocarbammide di tutto il discorso, cosa c'entra?
C'entra perchè questo composto ha la peculiarità che può essere percepito al gusto come molto amaro o non essere percepito affatto, in funzione del proprio corredo genetico, e questo ha attinenza col sapore di certi mieli che qualcuno reputa troppo amari e qualcuno no.
Da parte mia ho verificato di non essere geneticamente sensibile a questo composto e quindi di non recepire come sgradevole nemmeno il gusto di certe erbe o mieli particolari; infatti reputo ottimo (addirittura il migliore per me) il miele di castagno, che invece per i soggetti sensibili alla feniltiocarbammide è ritenuto quasi immangiabile.
Naturalmente parlo di mieli puri (il più possibile monocolturali), non di estemporanee miscele da supermercato di provenienza incognita.
[La FTCammide è solo un "rivelatore" della propria predisposizione genetica, NON è una sostanza contenuta nel prodotto delle api o nelle deliziose amarognole erbette di campo, questo sia ben chiaro]

 
 
 

Risposta a Sabrina

Post n°378 pubblicato il 09 Giugno 2017 da paoloalbert

Mi scrive Sabrina, in uno di quei messaggi ai quali io ingenuamente sempre rispondo, ma che raramente hanno un controesito:

- Basta con le sostanze chimiche !!! Abbiamo...trasformato l'acqua in una discarica!
Ma la scienza più che altro, è una "industria" senza regole!
La saggezza non nasce dagli studi della scuola superiore, ma nella coscienza di ognuno di noi se ben coltivata.
E' vero che i vaccini più che altro sono nocivi?
Nell'area 54 ci sono gli alieni? Scie chimiche, morgellons, haarps, sono dicerie o verità?! L'inquinamento e sostanze chimiche come gli ftalati stanno effettivamente modificando il DNA?!
Non credi che tutta questa tecnologia e cosidetto progresso scientifico stia andando a discapito dell'uomo più che a favore, !???
Hehè :) ciao -


Ciao Sabrina, cosa vuoi che ti dica?
Se non invitarti a leggere, ma leggere di scienza e non di fantascienza (quella teniamola solo per diletto, a chi piace).
Cerca invece di discernere fra le tonnellate di monnezza che si trova in rete.
Monnezza è SICURAMENTE quando si sostiene che i vaccini sono nocivi, quando si crede al complottismo delle scie kimiche (ma può esistere sulla faccia della Terra una idiozia più grande di questa?) e simili infinite amenità che prosperano nei  web di serie zeta.
Capisco tuttavia che può essere difficile distinguere tra web di serie A e di serie Z, anche se ultimamente SEMBRA che la parola "fake" desti un po' più di attenzione, almeno negli utenti con un barlume di intelligenza.
In definitiva, attenzione a quando si crede a teorie che con la Scienza (quella vera e verificata, insisto!) nulla hanno a che vedere.

Che poi, come affermi alla fine interrogativamente, qualche parte di questo cosiddetto progresso scientifico stia andando a discapito dell'uomo più che a suo favore mi trovi quasi d'accordo, ma non per colpa (nemmeno lontanamente) di chi fa ricerca scientifica.
La colpa, come sempre dalla notte dei tempi, è di coloro che sono interessati solo al profitto, alla finanza sporca, al doppio gioco, al denaro... eccetera.
L'enorme problema è che costoro sembrano essere sempre più numerosi ogni giorno che passa e coinvolgono TUTTE le categorie umane, dalla singola persona privata fino agli stati nazionali, e gli esempi sono infiniti e sotto gli occhi di chiunque.
Purtroppo tutto sembra ruotare attorno al denaro, al denaro, al denaro, al denaro... arraffa fin che puoi che del doman non v'è certezza, come diceva qualcuno.
Anzi, del domani... chi se ne frega?

Ciao, PA

 

 
 
 

Potassio ed esanitrodifenilammina

Post n°377 pubblicato il 22 Maggio 2017 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

E' il momento di mettere alla prova l'esanitrodifenilammina preparata per la ricerca microchimica del potassio; si tratta di un buon vecchio metodo storico e quindi, dal mio punto di vista, molto interessante.
Ecco letteralmente quanto riportato su quel magnifico libro che è il Treadwell edito dalla Vallardi; la mia edizione è del 1963 e si pensi che questo fondamentale volume di chimica analitica ancora negli anni sessanta aveva quelle pagine, di una bellissima carta color pergamena, unite tra di loro con il metodo di rilegatura da separare manualmente col tagliacarte: incredibile! (Sic transit!).

- Preparazione del reattivo per il potassio: 200 mg di dipicrilammina vengono sciolti in 2 ml di Na2CO3 2N, diluendo poi con 15 ml di acqua e filtrando.
(Si ottiene una bella soluzione rossa, estremamente colorante e sporcante: fare attenzione! Ved. commento nel post dedicato.

Procedura del Treadwell:

- Una striscia 3 x 6 cm di carta da filtro, bagnata col reattivo, viene successivamente asciugata, ponendola su un vetro di orologio lambito da una corrente di aria calda.
Su questa striscia essiccata si pone una goccia della soluzione neutra in esame.
Si riasciuga in corrente d'aria e si tratta tutta la striscia con HNO3 0,1 N.
In presenza di potassio compare una macchia rossa in corrispondenza del punto bagnato con la soluzione in esame, mentre il rosso del resto dello striscio diventa giallo chiaro. -

Ho preparato come test cinque soluzioni che in una goccia contenessero rispettivamente 1 mg, 0,5 mg, 0,2 mg, 0,1 mg e 0,05 mg di cloruro di potassio ed ho eseguito il saggio su altrettante cartine da filtro come sopra descritto.
Ecco il risultato, con la concentrazione massima a destra e minima a sinistra.

cartine rosse  cartine trattate

Le cartine alla DPCA e rivelate con HNO3 - da 0,05 mg a 1 mg K+

Come si vede la sensibilità del metodo è elevata, riuscendo a rivelare, mettendoci un po' più di accuratezza di come ho fatto io velocemente, un cinquantesimo di milligrammo di ione potassio.

Qui si conclude la mia saga di questa famiglia, secondo questa genealogia:

- il trisavolo clorobenzene ha generato...
- ... il bisnonno 2,4-dinitroclorobenzene, che ha generato...
- ... la nonna N-(2,4-dinitrofenil)-fenilammina, che ha generato...
- ... la madre 2,2',4,4'-tetranitrodifenilammina, che ha generato...
- ... la figlia 2,2',4,4',6,6'-esanitrodifenilammina

ovvero la giovane bionda dipicrilammina, poi felicemente maritatasi con quel salamone del potassio, che si è fatto imprigionare a dovere, precipitando in rosso con la signora dell'altra volta.
Ciao! E adesso gli "esperimenti" fateli voi per un po'.

 
 
 

Una amara Signora in Rosso

Post n°376 pubblicato il 11 Maggio 2017 da paoloalbert

Prima del test per il potassio con la dipicrilammina, ho voluto vedere, per pura curiosità, il bel sale insolubile di questo metallo alcalino.
Ho sciolto pertanto un grammo di DPA con Na2CO3 ed ho aggiunto in quantità opportuna una soluzione concentrata di KCl, filtrando e lavando.

 

esanitrodifenilammina K 1 esanitrodifenilammina K 2

          Il sale di K precipita            L'enorme potere colorante


Il dipicrilamminato di potassio (il metallo sostituisce l'idrogeno sull'azoto) si presenta sotto forma di una polvere microcristallina di colore rosso vivace, appunto uno dei rari sali di potassio pochissimo solubili.

 

esanitrodifenilammina sale potassio

 

[Durante questi esperimenti fare tantissima attenzione alle mani! Ved. commento nel post precedente!]

L'esanitrodifenilammina forma sali insolubili e cristallini pure con parecchi altri metalli (Rb, Cs, Tl, Be, Zr, Pb, Hg), mentre forma precipitati amorfi con Al, Fe, Cr, Ni, Co, Cu, Bi, V, Ti, Th), ed ho fatto qualche prova estemporanea con qualcuno di essi senza qui renderne conto; anche perchè mi è oltremodo fastidioso aver a che fare con questa sostanza.

Ricordo anche che il sale di ammonio della DPA è stato usato un tempo come bel colorante per lana e seta, col nome di Auranzia, e devo dire che in quanto a potere colorante è veramente potente; tuttavia non poteva avere successo per le sue caratteristiche di tossicità e l'Auranzia fu presto sostituita, sicuramente senza alcun rimpianto.

(Non voglio nemmeno immaginare, per la mia ipersensibilità verso l'esanitrodifenilammina, di aver dovuto indossare in tempi autarchici un indumento colorato col "giallo auranzia...!!!).

 
 
 

Sintesi della 2,2',4,4',6,6'-esanitrodifenilammina

Post n°375 pubblicato il 30 Aprile 2017 da paoloalbert

Ecco l'ultimo prodotto della serie, la 2,2',4,4',6,6'-esanitrodifenilammina ovvero dipicrilammina, col suo bel nome storico come piace a me.
Un gruppo fenile con tre bei gruppi nitrici simmetrici può per buona ragione chiamarsi "picrile"! E due picrili attaccati a un -NH non danno origine a una dipicrilammina?
E non è un bel nome? Se invece di una sostanza chimica fosse una femminuccia, non sarebbe una bella ragazza bionda ed esuberante?
Vabbè, lasciate che io veda qualche volta nelle sostanze chimiche delle inquietanti quanto innocenti analogie...

Ma l'esanitrodifenilammina è bella soprattutto perchè è un reattivo analitico organico per il potassio; sono sempre interessanti (perchè pochi!) i reattivi per i metalli alcalini, che tendono ad essere nei loro composti o quasi sempre solubili o quasi sempre impietosamente incolori.
Per questa sintesi mi sono basato sulla procedura di Prepchem (ho visto che deriva direttamente dal T.L.Davis, 1941), sito che propone una bella collezione di sintesi interessanti, e questa è una di quelle.

esanitrodifenilammina


Materiale occorrente:
- 2,2',4,4'-tetranitrodifenilammina
- acido nitrico fumante (d. 1,5)
- acido solforico concentrato
- vetreria opportuna

Procedimento:
In becher di tipo alto e stretto da 150 ml si pongono 20 ml di HNO3 fumante (d. 1,50) e 20 ml di H2SO4 concentrato, coprendolo quando occorre con un vetrino da orologio per contenere al massimo gli irritanti fumi acidi.
Sono stato un po' abbondante con la solfonitrica perchè il suo eccesso certo non fa male quando per cacciar dentro due ulteriori gruppi nitrici negli anelli quando ce ne sono già quattro servono le picconate. (Loro non vogliono entrare? E noi spingiamo!)
Porre il becher su agitatore magnetico e aggiungere lentamente a freddo in piccole dosi 6g di tetranitrodifenilammina.

 

esanitrodifenilammina 1  esanitrodifenilammina 2

 

Durante le prime aggiunte la sostanza si scioglie e la miscela nitrante si colora in arancio marroncino, ma poi in seguito schiarisce e comincia a riprecipitare come solido giallo pallido.
Per aggiungere tutta l'ammina ho impiegato circa mezz'ora, controllando spesso la temperatura, che ho tenuto sempre sotto i 20 gradi.
In ogni caso andando lentamente e cautamente la reazione non è esotermica e la temp. tende pochissimo a salire.
Facendo freddo nel lab (questa sintesi è stata fatta in febbraio) ho poi mantenuto l'ambiente di reazione intorno ai 25-30° scaldandolo appena appena e sempre sotto agitazione; così è rimasto per tre buone ore.
Avvenuta la nitrazione, ho versato cautamente il contenuto in un becher con 200 ml di acqua fredda, filtrato su buchner e lavato con acqua fino ad esaurimento dell'acidità.

 

esanitrodifenilammina 3  esanitrodifenilammina 4

 

La dipicrilammina si presenta come una polvere microcristallina giallina simile al tetranitroderivato di partenza, che tende un po' ad impaccarsi quando è umida ed asciuga più lentamente delle sostanze da cui deriva.
Ho ottenuto 6,2 g di prodotto secco, pari ad una resa anche in questo caso dell'82%.
E' tossica e molto irritante, ed è senza ombra di dubbio la sostanza più amara e peggiore con cui io sia mai venuto in contatto, di gran lunga più cattiva per esempio della brucina o di qualsiasi altro nitroderivato.
Se non si mettono in atto TUTTE le precauzioni possibili quando si lavora con questa sostanza si finisce inevitabilmente per sentirne il sapore: ne bastano tracce veramente "molecolari" per essere rilevate, anche se (forse?) la mia è una ipersensibilità estrema verso questa sostanza.
Tant'è che questa ragazzaccia, da simpatica che mi era all'inizio, mi è diventata veramente insopportabile per la sua tendenza a sentirmela in bocca solo a guardarla.
Questo fenomeno non mi è mai successo in anni di sperimentazioni le più varie (va a finire che la rinchiudo in isolamento e butto via la chiave...).

Per il resto è del tutto stabile ed altre sue proprietà non sono qui di interesse.
E' pochissimo solubile in quasi tutti i solventi a parte l'acetone a caldo, nel quale un pochino si scioglie e dal quale ho provato a cristallizzarne un po', ottenendo dei bei cristallini aghiformi giallo limone.

 

esanitrodifenilammina 5

 

L'ho quindi tenuta in maggioranza non ricristallizzata, ritenendola adeguata alle prove che mi riprometto di fare, e cioè l'analisi del potassio; un pizzico lo salificherò per vedere un bel sale rosso di questo metallo, uno dei rari insolubili.
Ne riparliamo fra un po' di tempo.

 
 
 

Intervallo con quiz linguistico

Post n°374 pubblicato il 23 Aprile 2017 da paoloalbert

Per gli appassionati di linguistica (ma chi mai capiterà qui? Probabilità uguale a lim 1/x per x che tende a infinito...) ecco un bell'esempio di linguaggio locale.
Lo lascio come quiz.

porta


ME TE DIDE D'EN DO CHE TE HE GNIT HE TEL HE MIA
AI TA TIRAT HO DAL POH DE HANTA MARIA


Aspirata o espirata che sia, la acca è la consonante regina e indiscussa di questa parlata, e non entro in merito se sia da considerarsi lingua e dialetto perchè il discorso sarebbe lungo.
In ogni caso non vedo dove stia la mutua comprensibilità con l'italiano (nè con altre lingue, a dire il vero) e l'esempio mi sembra lampante.
Però l'area di diffusione è discretamente limitata e quindi chiamiamolo pure dialetto.
Speriamo che anch'esso non si estingua troppo presto.

Le due frasi si trovano sulla porta di una baita montana in provincia di [   ] e quando me ne ricorderò metterò la traduzione.
Per ora... provare!

 
 
 

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