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Messaggi di Gennaio 2015

Perché in politica l'onestà non paga mai?

Post n°123 pubblicato il 30 Gennaio 2015 da pasquale.zolla

L’onestà è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai politici

E pensare che in altri tempi la si insegnava con favole che iniziavano sempre con: c’era una volta…

Quando ero piccolo mia madre mi raccontava delle favole che finivano sempre con un insegnamento morale e cominciavano sempre con: C’era una volta!

Oggi quei serali racconti invernali sono scomparsi dalla faccia della terra perché il progresso ci ha portato a pensare solo a come avere successo, con l’unico sogno di salire sul cavallo della politica perché attraverso di essa si ottine tutto: denaro, onori e posti per i familiari.

Infratti una volta che si è dentro, ti permette di campare per tutta la vita e, se hai una buona parlantina, sapendo che il parlare non costa nulla, puoi promettere di costruire ponti anche dove non ci sono fiumi. Tanto le parole sono come fuochi d’artificio di giorno, anche se fanno rumore nessuno li vede.

E poi sei certo di stare sempre lì, per anni, un po’ in Parlamento, un po’ nei consigli di amministrazione, un po’ come dirigente nelle municipalizzate o nelle segreterie dei partiti. Ci si diventa come i polli, con l’eccezione, che ci si ingrassa, ma non si depongono le uova.

Per i politici tutto è lecito con i soldi sborsati dagli onesti cittadini che pagano le tasse: ristrutturazioni di appartamenti, lauree per i figli, viaggi, investimenti, persino detrazioni per comprare la nutella.

S’innalzano a paladini del popolo promettendo di rappresentare interessi, interpretare ideali, colmare il divario tra sogno e realtà, ma alla fine restano sempre e solo dei ciarlatani anche in tempi di grave crisi, come quella che stiamo attraversando, in cui noi cittadini tiriamo la cinghia, mentre loro continuano a tirare la corda facendo sempre quello che avrebbero dovuto fare nelle precedenti crisi.

E così continuiamo ad essere governati da gente che non ha né titolo né scienza e né virtù: ma da dilettanti con stipendi da professionisti.

Oggi si dovrebbe rovesciare l’antico detto rivolto a Cesare di dargli ciò che gli spettava, bensì farlo divenire: togliere a Cesare tutto ciò che non gli appartiene.

Bisogna tornare all’antico C’era una volta con il finale morale sull’onestà che, anche se è una pratica che ammette sacrifici, è la più importante centralità nei rapporti sociali e costituisce il vero valore dello stato di diritto.

È necessario, pertanto, non svendere la propria personalità né lasciarla in mano a politici e amministratori non educati ai temi etici, né mascherarla con l’ipocrisia andando in chiesa e facendo la comunione o battendosi il petto.

L’onestà è vivere nel rispetto della vita propria e di quella degli altri, dalla giustizia uguale per tutti e lontana dalle logiche di convivenza.

A volte è meglio essere nudi che indossare abiti trasparenti perché la storia è scritta dagli onesti, non di certo dai disonesti che, invece, la fermano!

L’onestà è una qualità molto discreta che viene esibita solo con l’essere se stessi!

 


 


Annanzetutte ‘a unestà

N’òme unèste u timbe akkrèssce

d’u pròbbete kambà è nne nface

mugghje d’i paróle suje pekkè

sape ka éje ‘a uneka kòse,

nu pikkule luke, dind’a ndò éje

addavaramènde libbere. ‘A unestà

ne nganòssce staggiune nè timbe

nè vóle ghèsse kunglamate, sennò

móre de fridde. Pettande si vuje

ghèsse kredute, sìje unèste;

si vuje ghèsse unèste, sìje

sengére; si vuje ghèsse sengére,

sìje sòpattutte tè mèdèsme.

 

 

L’onestà innanzitutto

Un uomo onesto aumenta il tempo

della propria vita e non fa

fango delle sue parole perché

sa che è l’unica cosa,

un piccolo spazio, all’interno del quale è

veramente libero. L’onestà

non conosce stagioni né tempo

ne vuole essere lodata, altrimenti

muore di freddo. Pertanto se vuoi

essere creduto, sii onesto;

se vuoi essere onesto, sii

sincero; se vuoi essere sincero,

sii soprattutto te stesso.

 

 

 
 
 

L'olocausto: oggi come ieri per futili motivi religiosi o di etnia

Post n°122 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

Si può occultare la storia? Auschwitz, Buchenwald, Birkenau… dicono no!

27 gennaio 1945: le truppe sovietiche entrano nel campo di concentramento di Auschwitz e trovano una triste verità: i nazisti avevano messo in atto ciò che nel 1942 definirono “Soluzione finale” l’eliminazione degli ebrei, dei rom, degli omosessuali, dei testimoni di Geova e degli oppositori politici perché ritenuti “inferiori” e per sancire il dominio della “razza ariana” in un mondo purificato.

In decine di campi di concentramento sparsi in Europa vennero rinchiusi adulti e bambini, costretti a lavori sfiancanti, ad esperimenti pseudoscientifici e torturati e uccisi in camere a gas.

Quel giorno rimase e rimane indelebile nella memoria della gente e viene ricordato come giorno della memoria per non dimenticare che la consapevolezza dell’odio gratuito è una realtà e per far sì che i “corsi e ricorsi storici” non diventino errori, come nel passato, prendendo a pretesto la religione, cosa che accade in diverse parti del mondo civile ai giorni nostri.

Quel triste avvenimento viene anche ricordato come olocausto (tutto bruciato), in riferimento ai sacrifici fatti dagli ebrei che bruciavano animali uccisi sull’altare del tempio, e Shoah (distruzione, catastrofe). Vennero uccisi, difatti, quasi sei milioni di ebrei!

L’Italia, per l’istituzione del Giorno della Memoria, ha previsto nell’art. 1 della Legge della Repubblica Italiana del 20/10/2000, n.211, che: La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.


Kanzune d’Ammòre da macèrje nzutturrate

‘A mòrte, da kapecifere vestute,

bbrannisce ‘na favece frèdd’assaje

ka i vitteme suje dekapetéje

ke uèrre nzenzate, sènza kape nè kòde.

Lagreme de sóle vèrz’u gavete

kum’a lègge fraffralle scelljèjene,

tramènde i vuce lóre ndunèjene

kanzune d’Ammòre sòtt’a macèrje

nzutturrate è llukkule nzuffukate

de pandaseme d’a vite struzzate.

Lukkul’è kkanzune ka sènde se fanne

nd’i kusscènze nòstre k’addummannene

u pekkè de tanda ‘naùdite vjulènze.

‘A mammòrje se jènghe de presènze

sènza facce, de maréje vagabbònne

de penzire ka sciussce addevendèjene

de kambà pe ne nfà skumbarì né murì

kuille ka éje state: ‘a ‘trucetà

d’u nzenzate jèste fatte kòndre vite

‘nnucinde ka cchjù ne nge stanne è kka,

kum’akkuarèlle ka cigghje addefrèsscke,

chjìne de séte de kujéte sònne!

 

 

Canzoni d’Amore sepolte dalle macerie

La morte, vestita da demone folle,

brandisce una gelida falce

che le sue vittime decapita

con guerre senza senso, assurde.

Lacrime di sole verso l’alto

volano come leggere farfalle,

mentre le loro voci intonano

canzoni d’Amore da macerie

sepolte e grida soffocate

di fantasmi stroncati della vita.

Grida e canzoni che echeggiano

nelle nostre coscienze che si chiedono

il perché di tanta inaudita violenza.

La memoria si popola di presenze

senza volto, di maree vagabonde

di pensieri che divengono alito

di vita per non far sbiadire né morire

ciò che è stato: l’atrocità

dell’assurdo gesto compiuto contro vite

innocenti che non ci sono più e che,

come rugiada che rinfresca germogli,

assetati sono di pace!

 

 
 
 

La Befana senza scarpe e senza scopa

Post n°121 pubblicato il 04 Gennaio 2015 da pasquale.zolla

Purtroppo quest’anno anche la scopa poco volerà anche se la benzina a picco va!

La Befana è nel nostro immaginario una vecchietta che porta doni ai bambini la notte tra il 5 e il 6 gennaio, in ricordo di quelli offerti al Bambino Gesù (mirra, incenso e oro) dai Re Magi: Baldassare, Gaspare e Melchiorre. La sua rappresentazione è: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto assortito da coloratissime toppe.

L'origine di questa figura va probabilmente connessa a tradizioni agrarie pagane relative all'anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo. Difatti rappresenta la conclusione delle festività natalizie come interregno tra la fine dell’anno solare e  l'inizio dell’anno lunare.

L'aspetto da vecchia sarebbe dunque una raffigurazione dell'anno vecchio: una volta davvero concluso, lo si può bruciare così come accadeva in molti paesi europei, dove esisteva la tradizione di bruciare fantocci, con indosso abiti logori.

In quest'ottica l'uso dei doni assumerebbe un valore propiziatorio per l'anno nuovo.

Un'ipotesi suggestiva è quella che collega la Befana con una festa romana, che si svolgeva all'inizio dell'anno in onore di Giano e di Strenia (da cui deriva il termine "strenna") e durante la quale si scambiavano regali.

Secondo una versione "cristianizzata", i i Re Magi diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una signora anziana.

Malgrado le loro insistenze, affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci.

Così si fermò ad ogni casa che trovava lungo il cammino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù.

Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.

Il termine "befana" inteso come "fantoccio esposto la notte dell’epifania" fu già usato nel XIV secolo, da Francesco Berni nel 1535 e da Agnolo Fiorenzuola nel 1541.


 Tuttebbèlle sònne i bbefane d’u munne

Èh, sì! Sònne pròbbete tuttebbèlle

i Bbefane d’u munne k’atturn’a nuje

stanne kum’a fraffralle aggarbate

ka sóp’è fjure se appòjene. Sònne

i fèmmene ka fateghèjene, ka

chjaggnen’è rrirene; sèmblece da fóre

è rrikke da dinde; sònne lustrekóre

ka u kóre ngavedéje è ggnukkòse

danne senza fà manghe nu remóre

è nnè ninde ngaggne addummannà.

Sònne fórze, pacènz’è ddetermenazzjòne;

sònne mane k’arremargenèjene

i cigghje è kka jòkene k’i krjature

ò mèttene dinde i kavezètte

jukattel’è ddurciume. Ddìje mìje,

t’addengrazzje p’avè misse dind’a

òggnèkkase ‘na mamme ka pe nu jurne

a l’anne da Bbefane è figghje face.

Tuttebbèlle sònne i Bbefane d’u munne!


Sono tutte belle le Befane del mondo

Eh, sì! Sono proprio tutte belle

le Befane del mondo che a noi d’intorno

stanno come farfalle delicate

che si posano sui fiori. Sono

donne che lavorano, che

piangono e ridono; umili fuori

e ricche dentro; sono luce

che il cuore riscalda e ogni cosa

danno senza far rumore

e niente chiedere in cambio.

Sono forza, pazienza e determinazione;

sono mani che leniscono

i dolori e che giocano con i bambini

o mettono nelle calze

giocattoli e dolcetti. Dio mio,

ti ringrazio per aver messo in

ogni casa una mamma che per un giorno

all’anno fa da Befana ai figli.

Sono tutte belle le Befane del mondo!


 
 
 
 

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