Blog
Un blog creato da pasquale.zolla il 17/04/2012

pasqualezolla

Il blog di Pasquale Zolla

 
 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Aprile 2015 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30      
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 1
 

Messaggi di Aprile 2015

1° Maggio: Festa dei disoccupati, casaintegrati e precari

Post n°136 pubblicato il 30 Aprile 2015 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

1° Maggio: Festa dei lavoratori senza lavoro

Il 1° maggio nacque come momento di lotta dei lavoratori per raggiungere obiettivi di miglioramento della propria condizione di vita.

«Otto ore di lavoro, otto di svago e otto per dormire», fu il motto coniato in Australia nel 1855 e condiviso da quasi tutti i movimenti sindacali del primo novecento.

Dal congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori riunito a Ginevra nel settembre del 1866, venne fuori la proposta concreta: «Otto ore come limite legale dell’attività lavorativa.»

Lo Stato dell’Illinois nel 1866 approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore e l’entrata in vigore avvenne il 1° Maggio del 1867, con una grande manifestazione a Chicago.

Il 1° Maggio divenne festa per tutti il 20 luglio 1889, durante il congresso della Seconda internazionale a Parigi.

Era una scelta simbolica in quando tre anni prima (1 maggio 1886) a Chicago una grande manifestazione operaia venne repressa nel sangue.

Il ricordo di quei morti divenne simbolo di lotta per le otto ore e veniva fatta rivivere nella giornata ad essi dedicata.

In Italia nel 1898 ci furono i “Moti del Pane” che terminarono tragicamente a Milano.

Ma il 1° Maggio, nei primi del novecento, si caratterizzò anche per la rivendicazione del suffraggio universale e per la protesta contro l’impresa libica e contro la partecipazione dell’Italia alla guerra mondiale.

Il 1° Maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori festeggiarono il conseguimento dell’obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore di lavoro.

Durante il fascismo la festa del lavoro venne spostata al 21 aprile, giorno del cosidetto Natale di Roma, ma all’indomani della Liberazione, il 1° Maggio 1945, i lavoratori si ritrovarono nelle piazze in un clima di entusiasmo.

Due anni dopo il 1° Maggio venne funestato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito Giuliano fecero fuoco contro i lavoratori che assistevano al comizio.

Dopo la spaccatura del sindacato, i lavoratori tornarono uniti in piazza a celebrare il 1° Maggio nel 1970 e continua ancora oggi, anche se la Festa del Lavoro viene celebrata senza lavoro!

 

‘A fatighe ògge u passate de kraje éje

L’òme nenn’éje pòvre kuanne ndéne

ninde, ma kuanne ne nfatighe pekkè

‘a fatighe ‘a nòj’u vizzj’è u bbesuggne

allundanéje. Cirte ‘a fatighe

nen pjace kuase kuase a nessciune,

appèrò éje sckitte nd’a fatighe

ka l’òme ‘a pussebbeletà téne

de se trùuà. Kòmbete éje de ki

gùuèrne ‘a fatighe trùuà, sckitte

akkussì ògge u passate se krjarrà

d’u kraje pekkè ‘a fatighe éje

u mizze cchjùmmègghje pe fà passà

u kambà. ‘A luvére lebbertà

d’òggnè òme èsiste ne mbóde

sènza sekurèzze èkunòmeke

è ndepennènze. ‘A ggènde k’a lópe

è ssènza fatighe paste addevendéje

p’i dettature. Pettande gògge

‘a grazzjòne k’avarrèmme agavezà

éje: «Ddìje mìje damme ‘a fatighe,

fenakkè u kambà mìje n’nze kunglude,

è u kambà, fenakkè ‘a fatiga mìje

nen nzìje a tèrmene purtate!»

Il Lavoro oggi è il passato di domani

L’uomo non è povero quando non ha

nulla, ma quando non lavora perché

il lavoro la noia il vizio e il bisogno

allontana. Certo il lavoro

non piace quasi a nessuno,

però è solo nel lavoro

che l’uomo ha la possibilità

di trovare se stesso. È compito di chi

governa trovare il lavoro, solo

così oggi si creerà il passato

di domani perché il lavoro è

il mezzo migliore per far passare

la vita. La vera libertà

individuale non può esistere

senza sicurezza economica

e indipendenza. La gente affamata

e senza lavoro diventa pasta

per le dittature. Pertanto oggi

la preghiera che dovremmo innalzare

è: «Dio mio dammi il lavoro,

finché la mia vita non si conclude,

e la vita, finché il mio lavoro

non sia finito!»



 

 
 
 

Una Santa che farebbe molto comodo avere oggi

Post n°135 pubblicato il 28 Aprile 2015 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

Caterina: la Santa Patrona d’Italia

Nasce a Siena il 25 marzo 1347 ed era la ventiquattresima figlia di Jacopo Benincasa, tintore, e Lapa di Puccio de’ Piacenti.

Aveva solo sei anni quando le apparve Gesù vestito maestosamente, con tre corone sul capo ed un manto rosso, accanto al quale stavano San Pietro, San Giovanni e San Paolo.

A sette anni fece voto di verginità. Preghiere, pemitenze, digiuni costellarono le sue giornate, intraprendendo la via della perfezione cristiana: ridusse cibo e sonno; abolì la carne; si nutrì di erbe crude, di qualche frutto e utilizzò il cilicio.

I suoi avviarono discorsi di maritaggio quando aveva dodici anni. Ma disse sempre di no e la spuntò. Si tagliò i capelli, si coprì il capo con un velo e si serrò in casa.

Risolutivo fu poi ciò che un giorno il padre vide: sorprese una colomba aleggiare sulla figlia in preghiera.

Nel 1363 vestì l’abito delle mantellate (abito bianco e mantello nero) e chiese solo una stanzetta che diverrà cenacolo di artisti e dotti, religiosi e processionisti, tutta gente istruita.

Pur essendo analfabeta, ricevette dal Signore il dono di saper leggere e imparò anche a scrivere, ma usò spesso il metodo della dettatura per i suoi messaggi, coi quali parla a papi, re, donne di casa, regine e ai carcerati.

Al termine del carnevale del 1367 compì le mistiche nozze: da Gesù ebbe in dono un anello adorno di rubini. Fra Cristo, il bene amato sopra ogni altro bene, e Caterina si stabilì un rapporto di intimità particolarissimo e di intensa comunione, tanto da arrivare ad uno scambio fisico di cuore.

Cristo vive in lei e la sua attività caritatevole era tutta a vantaggio dei poveri, degli ammalati, dei carcerati. E soffrì indicibilmente per il mondo, che era in balia della disgregazione e del peccato: fame, malattia, corruzione, sofferenze, sopraffazioni e ingiustizie erano all’ordine del giorno.

(E oggi più che mai l’umanità sta attraversando un periodo buio e tertro peggio d’allora, per cui ci vorrebbe la nascita di un’altra Santa, come Caterina, per aiutarla a venirne fuori dal marasma!)

Si recò ad Avignone per una missione di pace, non riuscita, da parte dei fiorentini con Gregorio XI. Ebbe, però, l’effetto di far ritornare il Papa a Roma nel 1377.

Si recò, poi, a Roma, chiamata da Papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che diede inizio allo scisma d’Occidente. Ma lì s’ammalò e decedette , a soli trentatre anni.

Venne canonizzata nel 1461 da Pio II e nel 1939 Pio XII la dichiarò Patrona d’Italia con San Francesco d’Assisi.

 

 

 

Katarine: ‘a Sande ka mènd’è kkure skutéje

Nda ‘n’èbbeke  travagghjate p’u kambà

d’a Cchjìse è dd’u ndére dessute

suciale u Seggnòre scegghjute t’have

p’i mènde è i kure de l’ummene

skutè prùuùkanne kumberzjòne

è rrennùuàminde. K’u vestite janghe

è nu mande nireve addedekate

te sì ke prjèzze è òbbre de karetà

è dde bbéne, tande ka ò’ mennekande

k’a ‘lemòsene t’addummannave

u mande da ngulle te sì lùuàte

è a kuille ce l’haje arrjalate.

D’akkanòssce Ddìje dind’a tè stèsse

è ttè stèsse dind’a Ddìje te sì

sfurzate pe te rènne kumbòrme

a Kriste kruggefisse, tande d’arrevà

a nu skaggne fiseke de kòre

ka i stimmete ngrùuènde haje

pegghjate. A tè, Katarine, mò

vògghje addummannà de ambònne

u penzire mìje è l’alma mìje

k’u ggnòstre d’a ‘Mmòre pekkè pòzze

fà u bbéne, ajutà ki nd’u bbesuggne

stace è ‘a certèzze avè d’angundrà

u ‘Tèrne pe nd’i vrazze suje m’arrepusà!

 

 

Caterina: la Santa che scuote menti e cuori

 

In un’epoca travagliata per la vita

della chiesa e dell’intero tessuto

sociale il Signore ti ha scelto

per le menti e i cuori degli uomini

scuotere provocando conversione

e rinnovamento. Con l’abito bianco

e un mantello nero dedicata

ti sei con letizia alle opere di carità

e di bene, tanto che al mendicante

che ti chiedeva l’elemosina

il mantello di dosso ti sei tolto

e a lui lo hai donato.

Di conoscere Dio in te stessa

e  te stessa in Dio ti sei

sforzata per renderti conforme

a Cristo crocifisso, tanto da arrivare

ad uno scambio fisico di cuore

che le stimmate incruente hai

ricevuto. A te, Caterina, ora

voglio chiedere di intingere

il mio pensiero e la mia anima

con l’inchiostro dell’Amore perché possa

fare del bene, aiutare chi nel bisgogno

è e avere la certezza d’incontrare

l’Eterno per riposarmi tra le sue braccia!


 
 
 

25 Aprile: Festa del Popolo Italiano

Post n°134 pubblicato il 24 Aprile 2015 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

25 Aprile 2015: L’Italia è ancora un Paese libero?

Il 25 Aprile di settant’anni fa (1945) il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione in tutti i territori occupati ancora dai nazifascisti, dando ordine alle forze partigiane di attaccare i presidi fascisti e tedeschi per imporre la resa;  inboltre emanò dei decreti legislativi in cui assumeva il potere in nome del popolo italiano. Stabilì, tra l’altro, la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti.

Ciò avveniva qualche giorno prima dell’arrivo delle truppe alleate.

Tutta l’Italia settentrionale fu liberata entro il 1° Maggio, cosa che mise fine a venti anni di dittatura fascista ed a cinque anni di guerra.

Il 25 Aprile rappresenta simbolicamente il culmine della fase militare della Resistenza e l’avvio effettivo di un governo che porterà al referendum del 2 Giugno 1946 per la scelta fra monarchia e repubblica.

Il termine reale della guerra sul territorio italiano si ebbe il 3 Maggio!

Su proposta del Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi,il principe Umberto, allora luogotenente del regno d’Italia, istituì la festa per il 1946 con un decreto in cui era scritto: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 Aprile 1946 è dichiarato festa nazionale!”

Celebrazione che verrà ripetuta anche negli anni successivi e lo è ancora ai giorni nostri, con manifestazioni in tutte le città per ricordare l’evento.


          25 Abbrile

25 Abbrile: fèsta nazzjunale!

Dind’i kambesande de uèrre

è avvecine è munumènde

è kadute, nda tuttekuande

i pajìse d’Italje appujate

vènene kròne de fjure p’arrekurdà

tuttekuille k’hanne luttate

pe nu Pajése cchjùmmègghje ce dà:

nu Pajése sènz’udje è razzisme,

ma chjìne de pace è llebbertà

a ndò ggnune kujéte putèsse kambà.

Ma u saggrefice de tanda ggènde

pe nu vvenì dèggne d’èsse kambate

ce dà, ògge nd’i fatte rekaggnate

nenn’éje è sckitte ke paròle rekurdate

véne. Kurruzzjòne è mmalaffare

sònn’addevendate i pale de ‘na nòve

dettature ka u pòple taljane allupéje.

A vuje, ummene, fèmmene, privete

è krjature ka u kambà vustre pe nuje

avete saggrefekate, ògge u grazzje mìje

è dde tuttekuande i uniste cettadine

vace, pure si ki guvèrne l’Italje

a karte kuarandòtte ce stà purtanne!

          25 Aprile

25 Aprile: festa nazionale!

Nei cimiteri di guerra

e vicino ai monumenti

dei caduti, in tutti

i paesi d’Italia  posate

vengono corone di fiori per ricordare

tutti coloro che hanno lottato

per un Paese migliore donarci:

un Paese senza odio e razzismo,

ma pieno di pace e libertà

dove ognuno sereno potesse vivere.

Ma il sacrificio di tante persone

per un futuro degno di essere vissuto

donarci, oggi nei fatti ricambiato

non è e solo con parole ricordato

viene. Corruzione e malaffare

sono diventati i pilastri di una nuova

dittatura che affama il popolo italiano.

A voi, uomini, donne, preti

e ragazzi che per noi la vostra vita

avete sacrificato, oggi il ringraziamento mio

e di tutti gli onesti cittadini

va, anche se chi governa l’Italia

alla rovina ci sta portando! 


 


 

 
 
 

Tangentopoli: una storia infinita

Post n°133 pubblicato il 14 Aprile 2015 da pasquale.zolla

Italia: Repubblica delle bustarelle

Con la cacciata dei Savoia e l’avvento della Repubblica si pensava che l’Italia sarebbe stato un Paese idilliaco dove tutti avrebbero avuto possibilità di progredire e dal punto di vista sociale che politico ed economico.

La Costituzione sanciva un Paese all’avanguardia per salvaguardare diritti e doveri di tutti. Ma i politici non la pensavano così, tanto che cominciarono ad aumentare di numero in modo spropositato inserendosi dappertutto e prendendo a piene mani tutto ciò che capitava loro a tiro.

I soldi nelle loro mani si moltiplicavano e Tangentopoli cercò di arginare il fenomeno degli “illeciti” sotto forme di bustarelle e quant’altro. Divenne, l’Italia, la Repubblica delle banane perché si tendeva a mettere in evidenza solo capacità di corrutela che, con la seconda Repubblica, sarebbe dovuta sparire.

Invece leggi ad personam, privilegi, gettoni di presenza, società fasulle continuavano ad ardere sotto la cenere e, ogni qualvolta un politico (o un suo luogotenente) veniva preso con le mani nel sacco, le lamentele contro giudici “comunisti” si elevavano al cielo per proclamare la loro innocenza. Anzi quando non si poteva negare il maltolto agli onesti cittadini, si attaccavano a leggi, fatte da loro stessi per se stessi, che prevedevano “privilegi e gettoni”, clientelismo, nepotismo e intrallazzi, pur riscaldando le panche in Enti, Province, Comuni, Regioni e Parlamento dove ogni mese la paga era (ed è!) dieci volte di più di quella di un lavoratore.

Oggi, non so se siamo giunti alla terza o alla quarta Repubblica, la corrutela dei politici e di quanti ruotano attorno ad essi è arrivata a tal punto che possiamo definire la nostra Italia la Repubblica più corrotta che esista al mondo.

E intanto i giudici che per anni trovano prove del mal fatto, in Cassazione le sentenze di condanna vengono quasi sempre mutate in assoluzioni, soprattutto per quanto concerne i politici.

E allora c’è da chiedersi: perché in Italia la classe dirigente non controlla, onde non dare adito alla dilagante corruzione sia in alto (capi) che in basso (luogotenenti, aiutanti e lacché) che continua ad impervesare in lungo e in largo per il Paese?

Intanto le condanne per concussione, grazie alle leggi ad personam, sono andate sempre più diminuendo anche per la decorrenza dei termini imposti nei processi.

Oggi il governo intende far ruotare i burocrati onde non costruirsi feudi, tenendoli non più di sei anni negli incarichi assegnati.

È una proposta assai discutibile perché non viene assicurata la tutela degli interessi dello Stato. E non si assicura nemmeno che non si rubi, perché chi lo fa non viene mai emarginato, ma premiato, spostandolo verso altri lidi.

In una società ben ordinata i corrotti non dovrebbero andare molto al di là della qualifica di “impiegati d’ordine”; invece nella nostra società, che non è una società, arrivano ai vertici e ci stanno fin che il contesto stesso che li ha prodotti non decade.

Forse ha ragione Roberto Benigni quando, nel commentare il Settimo Comandamento in tv, ha detto: “Dio ci ha fatto un trattamento di favore, perché ha scritto questo comandamento proprio per noi italiani; è una norma ad personam, anzi pare lo abbia scritto direttamente in italiano.

È quello al quale si obbedisce di meno! In Italia lo capiscono anche i bambini, ma forse solo quelli.

Oggi essere ladri non fa più nessun effetto, eppure vendere la propria anima è il punto più basso della storia dell’umanità!”

Un poeta, di cui mi sfugge il nome, ha scritto: “Nei tempi antichi, barbari e feroci,/ i ladri s’appendevano alle croci:/ ma nei presenti tempi più leggiadri,/ s’appendono le croci in petto ai ladri!”

Verità sacrosante! L’unico a pagare è e sarà sempre l’onesto cittadino!


 


Sèmbe pure d’òggnè pekkate sònne

“Ne nge stace attenzjune ka kuanne

lópe se téne; ne nge stace uardjane

attinde si ne ndòrme; ne nge stace

kujéte sènza pavure; ne nge stace

féde sènza mbedeltà!” Ȯgge cchjù ka

maje tale mude de dì, n’Italje, éje

assaje de móde sòpattutte ngambe

puliteke a ndò u kljèndelisme,

neputisme, ndrallazz’è ppettegulèzze

kunzederate vènene mudèlle

necessarje de kumburtaminde

murale. Ȯre ka lubbrefekéje,

tangènde, uljature de ngranagge,

vallòppe è prevelègge paròle

sònne d’òrdene de ummene k’i mane

mbaste è ppuletekande ka, grazzje

a lègge appruprjate è dda lóre

apprùuàte, sèmbe arresultèjene

libbere d’òggnè pekkate. Appure

sapènne ka ki kerròmbe éje

‘na perzòna lòrde pekkè vennènne

‘a pròbbeta alme u punde cchjù vassce

d’a stòrje d’a umanetà ‘rraggiungéje,

u pitte dind’a cchjìse, ‘a dumèneke

è nd’i fèste kumannate, a vatte se và:

“Mea culpa!... Mea culpa!... Mea culpa!”

 

 

 

 

 

Sono sempre mondi da ogni peccato

“Non c’è attenzione che quando

si ha fame; non c’è guardiano

attento se non dorme; non c’è

tranquillità senza paura; non c’è

fede senza infedeltà!*” Oggi più che

mai tale affermazione, in Italia, è

attualissima soprattutto nel campo

politico dove clientelismo,

nepotismo, intrallazzi e pettegolezzi

vengono considerati modelli

intrinseci di comportamento

morale. Oro che lubrifica,

tangenti, unzione di ingranaggi,

bustarelle e privilegi parole

d’ordine sono di uomini d’affari

e politici che, grazie

a leggi appropriate e da loro stessi

approvate, risultano sempre

mondi da ogni peccato. Anche

sapendo che il corrotto è

una persona sporca perché vendendo

la propria anima il punto più basso

della storia dell’umanità raggiunge,

il petto in chiesa, la domenica

e nelle feste comandate, si va a battere:

“Mia colpa!... Mia colpa!... Mia colpa!”

 

*François Villon

 

 
 
 

IL Cristo risorto porti pace al mondo intero

Post n°132 pubblicato il 03 Aprile 2015 da pasquale.zolla

Pasqua

La Pasqua del Signore inaugura il tempo della nostra salvezza, di una grazia che chiede solo di essere accolta per poter trasformare le nostre esistenze.

Cristo ci ha salvati, ci ha redenti!

Oggi, purtroppo, la tentazione di non vivere da risorti è grande perché sopraffatti dalle preoccupazioni del mondo: sofferenze ingiustamente subite, contraddizioni laceranti che sperimentiamo nella nostra vita, la possibilità stessa che i nostri desideri possano non adempiersi.

Realtà che spesso sfociano nell’ira, nell’odio e nella violenza.

La resurrezione di Gesù rischiara queste miserie umane. Papa Francesco, qualche tempo fa, ha detto: «Gesù non è morto, è risorto, è vivente! Non è semplicemente tornato in vita, ma è la vita stessa, perché è il Figlio di Dio.

Gesù non è più nel passato, ma vive nel presente, è l’oggi di Dio. Cammina davanti a noi, ci precede e ci apre la via.

Egli non è venuto ad insegnare una filosofia, un’ideologia, ma una via, una strada da percorrere con Lui per irradiare nel mondo il Suo Amore!»

Apriamoci, pertanto, alla gioia vera, a quella gioia del Vangelo che ci aiuta a dare il giusto peso delle cose del mondo.

La Pasqua ci dona la pace che si costruisce attraverso le relazioni umane nell’impegno del quotidiano vivendo il proprio essere in Cristo, mettendosi a servizio dell’uomo che vive in situazione di marginalità, povertà e bisogno.

Bisogna soffrire come ci ha insegnato San Francesco Antonio Fasani e San Pio, vicino alla Croce di Gesù, poiché distante da essa è impossibile.

L’incontro con Cristo non deve essere demandato solo ai tempi ultimi e finali della nostra esistenza, ma avviene qui e ora, nelle nostre vicende terrene e nel nostro servizio.

 

 Paskuele: certèzze de speranze

U kóre de l’òme tén’i ritteme

d’a nasscete è dd’a mòrte, d’a prjèzze

è dd’u celizzje, d’u ghèsse è dd’u avè,

d’u ‘mmanènde è dd’u trasscennènde,

d’u fernute è dd’u mbenite. ‘A lòtte

kutedjane tra u bbéne è u male éje,

tra mòrte è kkambbà. A’ fine éje

sckitte u kambà ka vènge ‘a mòrte

nd’a paradussale partite nda ndò

vènge ki mòre, pekkè nen mòre

ma arresurgéje. Ma ò’ kóre

de l’òme nenn’avastene sckitte

prèreke, umelìje, leturgìje,

necessarje a ‘ppreparà u spirde

sóp’a strate d’u sebbuleke a ndò

i fèmmene akkurrute chjamene

a uardà u merakule. Akkòrre pure

‘na mane de karne, ka u pigghje

ke ghèsse è u pórte nda nu kóre

cchjùgranne, nu kóre mbenite  

de meserekòrdje, d’ammóre: u kóre

de Ddìje. Paskuele! Mò u timbbe éje

p’arruciulà vìj‘a préte d’u sebbuleke

p’arretrùuà i bbellizze d’a purèzze,

‘a certèzze d’a speranze è n’Ammóre

mbenite ka ce face speremendà

‘a resurrezzjòne d’a karne ka ce pórte

a n’atu kambà, a n’atu kóre: kuille

d’u Patatèrne è dde Ggesekriste.

 

Pasqua: certezza di speranza

Il cuore dell’uomo tiene i ritmi

della nascita e della morte, della gioia

e del dolore, dell’essere e dell’avere,

dell’immanente e del trascendente,

del finito e dell’infinito. La lotta

quotidiana è tra bene e male,

tra morte e vita. Alla fine è

solo la vita che vince la morte

nella paradossale partita in cui

vince chi muore, perché non muore

ma risorge. Ma al cuore

dell’uomo non bastano solo

prediche, omelie, liturgie,

necessarie a preparare lo spirito

sulla via del sepolcro dove

le donne accorse chiamano

a guardare il miracolo. Occorre anche

una mano di carne, che lo prende

con sé e lo porta in un cuore

più grande, un infinito cuore

di misericordia, di amore: il cuore

di Dio. Pasqua! Ora è il tempo

per rotolare via la pietra del sepolcro

per ritrovare la bellezza della purezza,

la certezza della speranza e un Amore

infinito che ci faccia sperimentare

la resurrezione della carne che ci porta

a un’altra vita, a un altro cuore: quello

di Dio e di Gesù Cristo.

 


 

 

 

 
 
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

pasquale.zollacassetta2prefazione09lisa.dagli_occhi_blum12ps12robi70dsgmonellaccio19oscar63dgl0amorino11dony686acer.250cuorevagabondo_1962surfinia60Aemilius1919
 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963