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Intervista a Paolo Marchiori fatta da Marco Bencivenga

Post n°16 pubblicato il 02 Dicembre 2008 da danielanedelcu
 

Riporto sotto, questa bellissima intervista, trovata sull’internet, fatta a un nostro concittadino di Bedizzole che non conoscevo prima, ma che adesso per me è come se lo avessi conosciuto di persona. E’ l’ approfondimento di una realtà di vita vissuta con coraggio e generosità dal signor Paolo Marchiori. Il mio pensiero va a lui con riconoscenza perché la sua confessione è ricca di insegnamenti e le auguro tutta la felicità del mondo! Complimenti anche al giornalista Marco Bencivenga, che cosi bene ha saputo fare il suo lavoro e ascoltare i suoi pensieri. 

 

“COSI’ PUO’ CONTINUARE A VIVERE UN MALATO DI SLA» di Marco Bencivenga (Brescia Oggi)
Vive da solo. E si è dato una missione: aiutare gli altri. Soprattutto chi ha bisogno e chi è ammalato di Sla. Come lui. Paolo Marchiori ha 47 anni e due occhi sempre movimento, stridente contrasto con le gambe che non rispondono più. Presto toccherà alle braccia, e poi, via via, inesorabilmente, a tutti i muscoli del corpo, lingua compresa. Perché la Sindrome laterale amiotrofica, nota anche come «morbo di Lou Gehrig» o «malattia dei calciatori», è una condanna senza appello. Al massimo rallenta un po’, ma non dà scampo: l’aspettativa media di vita per chi la contrae è di 5 anni. A Paolo Marchiori l’hanno diagnosticata nel gennaio 2005, tre anni e mezzo fa.
«I PRIMI SINTOMI sono comparsi a febbraio-marzo dell’anno prima - racconta Marchiori dal primo piano (senza ascensore) della sua casa di Bedizzole, a due passi dal campo di calcio -. Ero andato a sciare e sentivo strani crampi alle gambe. E tanta stanchezza. Il medico di famiglia mi suggerì una cura a base di banane e patate: per alzare il potassio… Forse è lo stress, pensammo». Invece, era Sla, diagnosticata soltanto «grazie» a un’ernia al disco: «Il neurologo che mi curava mi fece fare degli esami, poi alcune risonanze magnetiche e un’elettromiografia alla Poliambulanza. Fui anche ricoverato per dieci giorni». Al termine: la diagnosi («Fu una disperazione totale») e l’inizio di un pellegrinaggio fra cliniche, ospedali e centri specializzati: il San Raffaele, il Besta e il San Luca di Milano, la Fondazione Maugeri di Pavia, l’ospedale di Novara e anche lo studio di un luminare francese. «Al San Luca conobbi un altro malato bresciano, Franco Cittadini di Collebeato, che è già morto da più di un anno - ricorda Paolo Marchiori -. Franco era stato in Cina, dove un medico dell’esercito effettua trapianti di cellule staminali, l’unica terapia sperimentale che si tenta nel mondo». Nel 2006 c’è andato anche lui, in Cina. «Non so dire se l’intervento abbia avuto benefici - ammette -. So che alcuni pazienti hanno avuto lievi miglioramenti, forse hanno ritardato di 6-7 mesi l’avanzare della malattia. L’intervento? Ti fanno due buchi con il trapano nel cranio, proprio qui - spiega, toccandosi sopra la fronte -. L’operazione viene eseguita in anestesia locale, quindi ricordo tutto. Al medico che mi bucava dicevo in dialetto bresciano “và zö amò èn pö!”, vai giù ancora un po’. Volevo essere sicuro… Fatti i buchi, il professore mi iniettò le cellule staminali e sentii un gran freddo. Poi il rumore delle graffette necessarie per richiudere la testa. Dopo un’ora ero fuori, pelato e con una mantellina marrone: sembravo Padre Pio…». Seguirono tre giorni di sonno e di attacchi epilettici («E’ normale, basta che si rompa un capillare»). Poi il ritorno a casa. «Tanti devono sottoporsi anche a una cura anti-rigetto, perché gli anticorpi distruggono le cellule estranee: è uno degli interventi che l’Italia ha proibito con il referendum del 2005, condizionato dai timori della Chiesa per l’uso delle cellule staminali nell’embrione - ricorda Paolo -. Del gruppo di malati che si erano sottoposti all’intervento siamo rimasti in due, io e una donna di Bergamo. Ma in Cina ho perso soprattutto mia moglie: vedere i miei attacchi epilettici e tutti quei malati, in condizioni anche più gravi delle mie, l’ha scioccata. Lei si è spaventata, è andata in tilt, e io quel momento ho pensato solo a me stesso e alla mia malattia. Così, non mi sono reso conto che forse era lei ad avere più bisogno di me».
PAOLO MARCHIORI è così: avrebbe tutto il diritto di chiedere aiuto e, invece, lo vuole dare agli altri. Spazza i pettegolezzi di paese («Facile gossip di chi non sa cosa si prova») e rivela: l’anno scorso, prima di Pasqua, un viaggio gli ha cambiato la vita. O meglio: il modo di guardare la vita. «Una persona mi ha portato a Lourdes e quando sono arrivato là ho capito - racconta Marchiori -. In quella grotta, fra tanti malati, ho capito il senso della vita, mi sono reso conto che anche nella sofferenza si può avere la gioia di vivere. Così, ho usato tutto ciò di negativo che mi è successo per aiutare gli altri, ho capito che posso dare coraggio ai malati come me. A volte riesco entro a tal punto nei panni delle persone che mi raccontano le loro storie da riuscire a trovare una risposta anche alle loro domande più difficili».
LUI CHE PER 30 ANNI ha costruito case, titolare di una piccola impresa edile, ora costruisce speranze. Senza chiedere niente in cambio. «Sia chiaro - precisa -: aiutare gli altri fa stare bene anche me, mi dà forza, mi fa sentire ancora utile, una persona viva. Purtroppo, molti non si rendono conto che uno può diventare da un giorno all’altro un disabile o un ammalato grave, ma, se anche perde l’uso delle gambe o delle braccia, con la testa e con il cuore resta la persona di prima». A cambiare è l’approccio degli altri, che tendono a trattarlo come un diverso. O a compatirlo. Ma non è di questo che un malato ha bisogno. «Di fronte alla diagnosi, ognuno reagisce in maniera diversa: molti con rabbia, io invece ho trovato la fede - racconta Paolo, che non può muoversi dalla poltrona e, così, ha creato un piccolo mondo a portata di mano: cellulare, pc, telecomando, guida del telefono e una Bibbia -. Quando prego, io non chiedo mai la guarigione, ma la forza per rendermi utile e una mano per affrontare le difficoltà che mi aspettano». Proprio da questa considerazione ha preso spunto la sua missione: «Mi sono messo a disposizione dell’Aisla, l’associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, per contribuire a raccogliere fondi destinati alla ricerca e all’assistenza di chi non ce la fa da solo. In Lombardia siamo “ricchi” e, così, possiamo contare sui 500 euro al mese stanziati dalla Regione, ma in altre parti d’Italia non c’è neppure questo aiuto. E la pensione d’invalidità o d’accompagnamento non basta a pagare le cure e l’assistenza di cui si ha bisogno, soprattutto nella fase terminale, quando serve 24 ore su 24, il malato non può più deglutire, si alimenta con una sonda e respira grazie alla tracheotomia, ma se non ha nessuno che gli aspira il catarro muore soffocato». I medici dell’Asl garantiscono la fisioterapia domiciliare («Al pari della ginnastica passiva serve per ritardare l’atrofia dei muscoli») e rispondono a ogni chiamata. «Ma ci sono anche le necessità dei familiari del malato - ricorda Paolo con il solito slancio di altruismo -. Se la moglie di Stefano Borgonovo, un ex calciatore senza problemi economici, dichiara “dire che è dura è troppo poco” significa che l’impegno è davvero drammatico. Un coniuge magari vorrebbe staccare la spina anche solo per un’ora, quantomeno a livello psicologico, ma se non ha nessuno che lo aiuta, come fa? Chi ha l’opportunità può prendere la badante: 800 euro al mese se la paga in nero, 1.100 se regolare. I 500 euro della Regione sono una boccata d’ossigeno, ma finiscono presto». Anche per questo Marchiori ha un consiglio per i compagni di malattia: portarsi avanti. «HO DECISO di farmi conoscere per poter indirizzare e consigliare le persone come me - spiega il referente provinciale bresciano dell’Aisla -. Le cose mediche non mi competono, al massimo posso dire andate alla Fondazione Maugeri di Lumezzane, perché lì sono bravi, ma nel mio piccolo posso tranquillizzare un po’ gli altri ammalati, spiegare loro come si ottengano la pensione civile o il contributo regionale, illustrare quali sono i diritti di un ammalato. Quello che io ho fatto e ottenuto in un anno e mezzo qualcun altro può impararlo in due mesi e il tempo per noi malati di Sla è oro. Anche per questo chi ha questa malattia deve riuscire a fare più cose possibili finché ne ha la forza. Basti pensare a una semplice visita all’Inps: farla un anno prima o un anno dopo comporta una differenza enorme». A volte può perfino diventare un paradosso: «Io, quando ho fatto la visita, ancora camminavo e, forse per questo, nonostante la diagnosi conclamata della Sla mi hanno dato l’invalidità solo all’80 per cento. Così ho fatto ricorso. Quando sono tornato la seconda volta mi hanno dato il cento per cento, ma non camminavo più. Purtroppo, per noi malati di Sla non esiste recupero: dal momento del verdetto diventiamo una candela, che può spegnersi più o meno velocemente. Ma la destinazione è certa: la morte. Per questo è importante fare le cose prima, portarsi avanti. Per esempio: quando uno capisce che non riesce più a usare il proprio pc, deve iniziare a informarsi su come avere un sintetizzatore vocale o un lettore ottico, quello che permette di scrivere le parole su una tastiera con il movimento degli occhi. Allo stesso modo, può “prenotare” all’Asl un materasso antipiaghe da decubito o, sapendo di andare incontro a sicuri problemi respiratori, può iniziare a fare esercizi per l’uso del diaframma, buoni non per fermare la malattia, ma almeno per rallentarne le conseguenze. Che se poi si sopravvive per 6 anni, anziché per 5, magari nel frattempo succede qualcosa o si trova una cura. In fondo al cuore, diciamo la verità, una speranzina di continuare a vivere c’è sempre». E la speranza aiuta a sopportare il progressivo decadimento fisico: «Quando uno perde le gambe - rivela Marchiori - nella sua testa pensa “lasciami almeno le braccia”. E quando perde l’uso delle braccia dice “lasciami almeno la voce”, poi “almeno gli occhi”… La mente va sempre avanti. “Accettare” la malattia non è la parola giusta, perché nessuno può accettarla, Però bisogna imparare a conviverci e pensare che nonostante tutto si è ancora vivi. Vivi dentro».
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L’EVENTO. Venti giorni fa Paolo Marchiori ha assistito alla commovente amichevole organizzata da Milan e Fiorentina per non far sentire solo l’ex attaccante
«Che emozioni a Firenze al fianco di Borgonovo»«La malattia ti toglie tutto,
meno il battito del cuore
Un testimonial famoso aiuta
a capire la nostra condizione»
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C’era anche lui venti giorni fa a Firenze. Paolo Marchiori era allo stadio «Franchi» in occasione dell’amichevole organizzata da Fiorentina e Milan per non far sentire solo Stefano Borgonovo, l’«ex» di entrambe le squadre (e del Brescia Calcio) che aveva appena rivelato di essere affetto dalla Sla. «Un po’ alla volta la malattia ti toglie tutto, ma la cosa bella è che ti lascia le emozioni, quelle che ti danno la forza di andare avanti, e nella sera di Firenze il cuore mi batteva forte perché le emozioni sono state davvero tante - ricorda Marchiori -. La cosa più importante, per me, è che la gente abbia visto in che condizioni ti porta la malattia, perché ciò che vediamo è ciò che ricordiamo meglio. Chi rammenta cosa ha detto Borgonovo nell’intervista a Sky? Nessuno. Al massimo ci si ricorda del fatto che ha chiamato la malattia “la stronza”. Ma i suoi occhi , quelli no, non li può dimenticare nessuno. E raccontano la fine che ci aspetta». Marchiori non lo dice per impressionare o impietosire. Non è il tipo. Lo dice, da delegato provinciale dell’Aisla, perché si rende conto che un testimonial famoso può fare soltanto bene alla causa dei malati di Sla. «Fino a poco tempo fa - ricorda - neppure i medici di base sapevano bene che malattia fosse. Io stesso, dopo la diagnosi, sono andato a cercare informazioni su Internet e non sapevo dove andare a sbattere la testa. Ora invece la conoscenza si sta diffondendo e la nostra associazione è diventata un importante punto di riferimento per i malati». A Firenze Marchiori è stato accompagnato dalla sorella e dal cognato, insieme a un’altra malata bresciana (anzi, di Bedizzole: Maria, che lavorava all’Arzaga e abita a Pontenove). «Mi hanno portato a Villa Terme, una clinica specializzata di Firenze in cui c’era anche Borgonovo, e da lì siamo partiti in una dozzina verso lo stadio - ricorda Paolo Marchiori -. Ci scortavano i carabinieri e abbiamo attraversato la città con le sirene… Allo stadio c’era una atmosfera incredibile: il pubblico non applaudiva, ha battuto le mani per due ore. E in tanti hanno pianto, a partire dai giocatori in campo, nel vedere Borgonovo sulla sedia a rotelle. Quando ho rivisto la registrazione in tv mi sono accorto che da casa non era possibile percepire le emozioni che abbiamo vissuto dal vivo. Lo stesso Cesare Prandelli, allenatore bresciano della Fiorentina, ha detto “in pochi possono vivere una serata così”. E ha trovato le parole giuste. Mia sorella ha scatto le foto ricordo, ma per l’emozione in alcune ha preso solo i piedi e in altre solo le teste… Poco male, perché è stata un’esperienza indimenticabile. Al ritorno ho avuto bisogno di tre giorni per riprendermi, tanto ero stanco, ma ne valeva davvero la pena». M.B.
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L’APPELLO. Sulla base della propria esperienza, Paolo Marchiori invita i compagni di malattia a non arrendersi, anzi a restare il più possibile in contatto con il mondo
«Ammalati, reagite. Sani, andate a trovarli»«Chi si isola muore prima
Una visita fa sempre piacere»
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«Un malato di Sla sa che non potrà guarire, ma ha bisogno di sentirsi vivo e il modo migliore per riuscirci è restare il più possibile in contatto con il mondo: per questo è importantissimo che chi lo conosce lo vada a trovare, magari soltanto per scambiare due parole e per leggergli alcune pagine di un libro». Paolo Marchiori lo dice forte della propria esperienza personale: «Di fronte alla diagnosi - spiega - ognuno reagisce in maniera diversa e ha il suo modo di combattere. Io vado avanti con la fede, la mia amica Maria con la rabbia. All’inizio si è isolata, non voleva farsi vedere dai vecchi amici per farsi ricordare com’era, non com’è adesso. Ma l’ho “lavorata” a lungo e lei ha capito. Non a caso quando le ho proposto il viaggio a Firenze per la partita di Borgonovo mi ha risposto “vengo”. E ora partecipa a tutte le nostre iniziative. Qualche tempo fa è venuta in piazza, si è fatta vedere, ha ritrovato tanta gente e si è pure commossa». E il 13 novembre sarà al Quadriportico, in città, per una serata organizzata dal Rotary allo scopo di raccogliere fondi per la ricerca sulla Sla. «Io - racconta Marchiori - la scorsa settimana ho partecipato alla manifestazione organizzata qui a Bedizzole da alcune associazioni d’arma. Sono stato un parà, così mi hanno messo il basco in testa e mi hanno portato in piazza con la carrozzina. Abbiamo ricordato chi ha dato la vita per la democrazia, per il nostro benessere e per la nostra libertà. Ho rivisto tante persone ed è stato bellissimo. Semplice, ma bellissimo. Quando sei malato riscopri le cose più normali, le assapori di più. Soprattutto, ti rendi conto dell’importanza della vita. Prima anch’io la sottovalutavo, ora invece so che ogni giorno è un miracolo e che va vissuto donando amore. Basta anche un piccolo gesto per non sprecarlo. Da sano magari ti preoccupi per i soldi e per costruire la casa rinunci alle ferie o mandi in vacanza soltanto tua moglie e i tuoi figli. Lo scopo è nobile, ma il risultato è che alla fine ci si allontana. Invece, la famiglia dev’essere sempre la priorità. Il bene materiale non conta, meglio l’amore. Cos’hai fatto nella vita se non ha vissuto l’Amore con la A maiuscola?». E un gesto d’amore nei confronti di chi è vicino a un malato, seondo Marchiori, è anche non arrendersi. «L’eutanasia? Se hai due figli che ti dicono “papà, ti vogliamo bene anche così”, come fai a rinunciare a vivere? E i familiari di chi è ammalato, quelli che dicono “meglio che muoia piuttosto che viva così” perchè poi non hanno il coraggio di staccare la spina o il respiratore? - chiede -. In realtà, sanno che non riuscirebbero a convivere con il rimorso. Così, spesso danno la colpa alle istituzioni o alle leggi sbagliate. Nel caso della Sla, al momento della diagnosi devi scegliere: morire o lottare. Per la prima scelta basta non alzarsi dal letto e smettere di mangiare per andarsene via in fretta e in silenzio. Ma se uno sceglie di lottare, se accetta l’ausilio meccanico per respirare e alimentarsi, poi deve vivere, senza colpevolizzare nessuno. Anzi, cercando di aiutare gli altri. E io ci sto provando». M.B.
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Ecco «mail» e telefoni
L’Aisla? Si può aiutare
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Paolo Marchiori è un uomo straordinario e, pur impossibilitato ad alzarsi da solo dalla poltrona o dal letto di casa, si mette a disposizione degli altri malati di Sla. «Vorrei trasmettere loro un po’ di coraggio e alcuni consigli utili per organizzarsi e imparare a convivere con la malattia», spiega. Per questo, il malato-coraggio di Bedizzole si è offerto come referente bresciano dell’Aisla, onlus che può essere finanziata a livello nazionale effettuando una donazione sul conto corrente postale numero 17464280 intestato all’Associazione italiana sclerosi laterale miotrofica e a livello locale con un versamento sulla Banca di Bedizzole, Turano e Valvestino (Iban IT 95 Y 08379 54081 000000330798). Non solo: Paolo Marchiori mette a disposizione anche i propri telefoni (il numero di casa è lo  030-6870433 , il cellulare il  334-2327531 ) e il proprio indirizzo elettronico; p.meches.1@hotmail.it. «NON VOGLIO SPRECARE il tempo che mi rimane e il mio scopo è aiutare e incoraggiare gli altri - ripete -. Rispetto ai tumori, che in genere offrono qualche speranza con interventi, chemio o radioterapie, noi malati di Sla sappiamo che non abbiamo possibilità di guarigione e possiamo solo cercare di rallentare un po’ la malattia. Per fortuna non proviamo grande dolore, eccezion fatta per la fase terminale. Il mio segreto? Oltre alla fede, un po’ di ironia - rivela Marchiori -. Ogni tanto mi dico: “dentro sto bene, il mio fisico faccia pure ciò che vuole”. Bisogna sempre pensare positivo e dare l’esempio: uscire, telefonare, farsi vedere… Prima di chiedere bisogna dare. Io ci provo: al limite, preferisco prendere una bastonata o una delusione che non averci provato. Che senso ha vivere da malati? A freddo il cervello può pensarlo, ma quando ci sei dentro la testa va oltre. Come dice il nostro presidente nazionale Mario Melazzini la malattia è un valore aggiunto alla nostra persona». M.B.

 

 
 
 
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