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La fine del piccione

Post n°420 pubblicato il 18 Giugno 2012 da pedro_luca
 

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La fine del piccione

Traccia n. 9

Si meravigliò per la quantità di forza che era riuscito a produrre in quel frangente, aveva sempre creduto di non esserne capace, lui che prediligeva lo studio e la vita comoda e non amava le attività sportive. Osservando la libreria che fungeva da riparo frapposto fra sé e la canna fumaria della parete, comprese come la rabbia possa, di pari passo con l’accecamento della ragione, moltiplicare in maniera esponenziale la forza stessa di chi ne è preda. Si sentiva stremato, con i muscoli che si abbandonavano alla fatica rilasciando tossine anestetizzanti sui terminali nervosi. La percezione d’aver raggiunto la meta prefissata, di aver sciolto i dubbi ed i timori che lo avevano assillato fino ad allora, liberarono la mente dal rigore razionale lasciandolo in balia del suo inconscio. Fuori il maltempo imperversava senza dar tregua tanto che anche nella stanza, al riparo dalla pioggia e dal vento, l’aria s’era parecchio rinfrescata ed inumidita. Ivano, con le membra rilassate per il gran sforzo avvertiva l’avvolgimento che il freddo stava operando su di lui in forma quasi subdola, risalendo dall’epidermide su, lentamente ma inesorabilmente, su, verso il cuore, generando brividi al tessuto nervoso. Dopo aver preso la coperta che usava per proteggersi dal gelo durante le notti invernali, si sdraiò sul divano avvolgendosi in quel morbido plaid da cui avrebbe ricavato da subito un benefico e confortevole tepore. Il sonno ormai stava calando inesorabile su tutto il suo corpo, nell’abbandonarsi completamente al suo abbraccio, anche nel caotico intrecciarsi e sovrapporsi di immagini e suoni che percorrevano i suoi pensieri, come per il ritorno sommesso di una eco lontana, ritornava al suo orecchio, ad intervalli irregolari, ma continui, il rumore di uno strano ticchettio. Non era più il suono stridente del raschiare che aveva sentito fino a poco prima, ma un picchiare continuo, quasi ossessivo, anche se condotto con ritmo ed una frequenza irregolari. In quel frangente la sua mente, però, non aveva più la capacità di recepire ed analizzare ciò che i suoi sensi avvertivano, ma solo la funzione di trasmetterli al suo inconscio, dove venivano trasformati nel profondo delle sue ancestralità prima di venire proiettati nell’immaginario della sua fantasia. Dalle piccole fessure che le palpebre abbassate lasciavano aperte, Ivano assisteva come impotente al fluttuare delle ombre sulla parete, la sola reazione che riusciva ad avere in quel momento era un dubbio che, come un ritornello impertinente e non voluto, gli poneva una domanda; Il muoversi di penombre e luci che animava la parete era vero, era reale, oppure si trattava solo della proiezione della sua mente? A sciogliere il dubbio giungeva ancora quel rumore picchiettante che non accennava a calare, anzi, cresceva di intensità e di frequenza con il passare del tempo. Ivano che non aveva coscienza di che ore fossero, si sentiva così stremato da non aver la forza di sollevarsi per guardare l’orologio, riusciva solo a vedere che fuori era ancora buio e, dallo scrosciare della pioggia, che il temporale non era ancora passato del tutto, che quattro passi all’aperto gli avrebbero fatto bene. Così come nello stato in cui era venuto a trovarsi non si rendeva conto di quanto tempo fosse trascorso da quando aveva ripreso a sentire quel rumore, che per intensità stava sopravanzando quello della pioggia, e quando, improvvisamente, quei suoni ebbero a cessare gli sembrò che tutto il circostante si ammutolisse, tanto da sembrare che, per l’irrealtà di un silenzio che parava totale, avesse persino smesso di piovere. Fu allora che s’accorse di come il torpore in cui era caduto, lo stato di semi incoscienza che lo paralizzava, se ne fosse andato anche lui con il dissolversi dei rumori. Che strano, invece di acquietarsi nel riposo ed esser rinfrancato dal non aver più negli orecchi il risuonare di quel raschio e quel fastidioso tambureggiante ticchettio, si ritrovava con i sensi più vivi che mai, allertati al massimo, con la mente protesa ad ogni minimo segno di pericolo, sia esso un rumore oppure una’ombra. Senza una ragione valida, un fatto acclarato o un motivo plausibile, Ivano si sentiva con i sensi acuiti nella percezione di qualsiasi avvisaglia minacciosa, come se fosse un animale rintanato nel rifugio in attesa dell’arrivo del cacciatore che lo sta braccando. Un barlume rischiarò la tensione estraniante che lo pervadeva, nell’accavallarsi dei pensieri gli venne persino un accenno di sorriso sulle labbra alla constatazione di come, per un verso, ora fosse lui stesso nella condizione di un piccione chiuso in una trappola senza vie d’uscita.

 
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