Creato da Agua.y.Pigmento il 12/03/2007

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Planimetria dell' arte

 

 

Post N° 20

Post n°20 pubblicato il 25 Novembre 2007 da Agua.y.Pigmento
Foto di Agua.y.Pigmento

"La mia vocazione più autentica
mi sembra il rappresentare
quanto vedo, quanto mi colpisce,
mi affascina, mi sorprende...

Federico Fellini

Fellini ha un rapporto fagocitante ed osmotico con il proprio tempo.
Insaziabile e modellatore psichico quasi plastico, struttura il reale secondo una valenza visiva perturbante e ricca di una affabulazione seducente permeabile a modalità espressive apparentemente disomogenee,
tangenziali anche alla scena teatrale,
figura di riferimento nell'imagerie visiva contemporanea.
Da Lo sceicco bianco a Le notti di Cabiria,
per passare a Toby Dammit (episodio di Tre passi nel delirio),
Fellini - Satyricon sino a La voce della luna,
l'immaginario che si crea contraddistingue per la costante materialità delle sensazioni,
dei piaceri, delle emozioni tattili, secondo un'accezione onirica e spettacolare.
Voci dalla luna si prefigge dunque di suscitare, attraverso una riflessione sullo straniamento che l'impatto con la scintilla creativa comporta, lo stupore dinanzi alla bellezza, l'arrendersi alla sua meraviglia e alla magia che ancora preserva.
Fellini credeva che i film fossero lo strumento del mago dove anche la palese conoscenza del trucco faceva parte dell'incanto.
Passò gran parte della sua carriera artistica cercando di rimuovere le barriere che ci sono tra un'arte e l'altra.
Perché per lui il cinema non era semplicemente cinema;
era teatro, vaudeville, opera, circo e fiera.
A ragion di cio' mi domando , per quale motivo il cinema ha scelto di relegarsi in una etichetta predefinita di categoria piuttosto che fare tesoro e applicare questo insegnamento di comunione con altre discipline artistiche?


 
 
 

Post N° 19

Post n°19 pubblicato il 07 Ottobre 2007 da Agua.y.Pigmento

MARIO GARCIA TORRES,
Kabul), 2006. Veduta dell’azione. Courtesy Jan Mot,
Bruxelles

«Se il cinema entra ormai nella definizione della creazione contemporanea, esso va anche verso i confini del saggio,

del documentario e della metafinzione.

Si tratta qui di definire i lineamenti di un nuovo territorio artistico,

quello di un terzo cinema, tra arte contemporanea,

cinema, nuovi media e letteratura,

da non confondere con il cinema sperimentale.

Questo territorio condiviso, che non "appartiene a nessuno",

non si può ridurre ad un unico criterio tecnico o tematico.

Il terzo cinema crea una piattaforma di espressioni singolari

che non ricoprono esattamente il territorio

delle arti plastiche ma costituisce un oggetto nuovo:

quello di un campo di esperienze

estetiche che non distinguono pertanto una figura unica

Pascale Cassagnau, Prefazione al saggio Futura Amnesia (Indagine su un terzo cinema).

Ogni essere umano è caratterizzato in modo inequivocabile

da un DNA che lo rende unico ed immediatamente riconoscibile, l'artista da sempre manifesta questa individualità sottraendosi agli imperanti tentativi di

omologazione ed asservimento.

Rifuggendo così dai recinti predeterminati,

dalle visioni dicotomiche e dalle costrizioni

strumentali dell'organizzazione,

l'arte da sempre si muove alla ricerca di spazi autonomi dove esibire l'infinita gamma dei grigi che contraddistinguono l'esistenza.

Da una parte la società con le sue esigenze classificatorie e funzionali,

 dall'altra il pensiero libero che afferma ogni volta il valore del diverso.

La propria fisicità come punto di partenza per percorsi autonomi che, nel confermare la diversità come regola, portano alla realizzazione di opere video digitali, di terzo cinema appunto, firmate con il proprio corpo.

Il deambulare tra le rappresentazioni fisiche consente allo spettatore di penetrare in quei « mondi » resi tangibili dalla qualità delle immagini,

dalla presenza del suono e da quei personaggi,

ormai orfani del proprio lavoro, i cui movimenti quotidiani rimangono ancorati nella loro memoria storica,offrendo così la possibilità di cogliere l'infima

frontiera tra la perdita (del lavoro, del tempo) e lo spessore di quelle vite.

YOSHUA OKON, Coyoteria, 2003.

Videoinstallazione, 30 min.
Courtesy Francesca

Kaufmann, Milano.

 
 
 

Post N° 18

Post n°18 pubblicato il 25 Settembre 2007 da Agua.y.Pigmento

"Scrivi sempre con passione e guarda allo scrivere come una festa"

Ogni tanto  appare un vero artista nella letteratura mondiale.

E' il caso di Daniil Charms,

vero outsider della cultura russa della prima meta' del '900.

Precursore del teatro dell'assurdo.

 Charms allinea furiosamente, raccontini, saggi apocrifi, lettere, appunti,

aforismi, all'insegna di una forma mentis che denigra tutto e tutti,

riducendo a zero ogni prospettiva sensata del genere umano.

Non per voler essere bastian contrario, ad ogni costo,

ma per amare quelle "sciocchezze" che sono i controsensi abissali del vivere.

Così in uno dei suoi racconti c'è una vecchia che gli appare davanti

in continuazione senza motivo:

non e' difficile ravvisare in essa l'icona ripugnante del

burocratizzato e sclerotizzato regime stalinista,

il "Grande Fratello" Orwelliano che portò alla morte dello stesso

Charmes, irridendo il suo appello tra le righe della passione.

Bisogna leggere questi pezzi per capire,

che dietro il loro presunto "non-senso" si annidano i veri sentimenti

e le vere emozioni tiranneggianti, dell'establishment sovietico.

Credo che gli uomini d'oggi,

resi esperti dal crollo dei muri(anche quelli interiori),

potrebbero meditare efficacemente sulle riflessioni di questo artista,

("credo che l'uomo intelligente possa sfruttare i colpi del destino

e a ogni colpo avvicinarsi alla propria meta")

distruttore di luoghi comuni.

___________________________________________________________________

"Le parole devono essere tutte indispensabili"

 
 
 

Post N° 17

Post n°17 pubblicato il 18 Settembre 2007 da Agua.y.Pigmento

Il cinema del rifiuto nasce dall’interstizio che separa due spinte uguali e contrarie,

dalla pulsione del rimettere in forma qualcosa che la sta perdendo .

Genesi che ha a che fare con l’essenza stessa del cinema

e con il suo essere sempre e comunque

(come sosteneva Cocteau) “la morte al lavoro”.

E’ la morte che produce scarti e rifiuti nei film:

 morte di oggetti, morte di corpi, morte di cose.

Ma anche morte di segni, linguaggi, alfabeti.

Chi non ricorda le nefandezze cucinate da “Bette Davis”,

per la sorella paralitica nel film “Che fine ha fatto baby Jane?” .

Oil sangue golosamente succhiato da Tom Cruise

 e Brad Pitt in “Intervista con il vampiro?”

E’ infatti il cibo, scrittura segnica ad offrirsi nel cinema come  figura chiave;

 impastato di viscere e vomito,di melma e bolo, di bava e bile.

Questi rifiuti “gastro-enterici” fanno dei sintomi della fame

e dei residui della digestione le materie prime su cui edificare monumenti ad un arte cinematografica grottesca e macabra; sfiorata  da aliti di sublime.

Ciò accade nelle marmitte di spaghetti fumanti,

arraffate con le mani e i denti nel film di Mattioli  “Miseria e Nobiltà”;

o nei fetidi intrugli preparati dai protagonisti di “Camerieri” di Pompucci;

o nei deliri bulmici da fast-food di Landis in “Animal House”.

I residui e gli scarti  non si esauriscono qui ,

non è possibile dimenticare l’enorme cumolo di immondizia

che nasconde resti umani non identificati ne il film “Gli occhi del delitto”

o le tonnellate di spazzatura che saturano lo schermo nel film “Arriva la bufera”

Ci sono inoltre i ributtanti cadaveri putrescenti di “Seven”

 e le vertigini da nettezza urbana dell’immaginario,

 messe in scena dal regista definito “il re degli schifosi”: John Waters

Quando l’arte cinematografica ha a che fare con questo genere,

 sembra incapace di assumere altro sguardo che non sia quello “nobilitante”,

 quasi “avveretendo nella purezza estetica  del linguaggio,

l’ultima chance di riscattare la miseria sociologica dei soggetti rappresentati.

Secondo tal proposito Pasolini riabilita i volti sdentati,

le pelli foruncolose dei suoi sottoproletari romani

 inquadrandoli in composizioni figurative di matrice Giottesca .

Un cinema insomma che si immerge nei detriti del linguaggio,

lasciandovi andare alla deriva,

conscio di non poter esistere se non in questo scenario artistico.

 
 
 

Post N° 15

Post n°15 pubblicato il 15 Settembre 2007 da Agua.y.Pigmento

   

Quasi impossibile per il cinema contemporaneo,

fuggire al destino che lo vuole fatto di scarti:

se lo scarto è ciò che resta,

di un prodotto dopo il consumo, in un universo dove tutto

è già stato consumato gli unici materiali ancora disponibili

sono inevitabilmente da reperirsi  nelle discariche della visione.

Così ad esempio Oliver Stone fa del suo _Natural born killers_

un gran frullato visual concettuale, in cui non solo,

vengono mostrati i materiali dichiaratamente degradati,

ma tutti i codici e gli alfabeti visivi vengono riciclati in un collage

rapidissimo e frenetico che fa dell'immondizia visuale

un delirio lisergico, rendendo la testa dello spettatore simile

ad un punching ball dopo un allenamento intensivo di box.

Così in modo analogo John Carpenter, David Lynch, Pedro Almodòvar,

e Richard Stanley, trafficano con scorie e detriti,

 con avanzi e relitti umani, creando "incubi" pop attraverso

l'esasperazione allucinata dell'iconografia del cinema perbene.

 
 
 
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Robert Mapplethorpe,

il fotografo americano

morto prematuramente di Aids nel 1989,

che suscitò scalpore!

"POCHI RIESCONO A VEDERE ARTE IN UN NUDO

I PIU' CI VEDONO TRASGRESSIONI E OSCENITA'"

Accusato di pornografia e induzione all'oscenità,

 durante la sua mostra

 The Perfect Moment

 nel 1990 a Cincinnati

- che esponeva sette ritratti sadomaso –

dovette affrontare un processo

 contro gli istituti ufficiali e religiosi.

Oggi l'eco dei suoi scandali

 non si è ancora placato

"L'INQUISIZIONE ESISTE ANCORA"

 

 

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