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BATISTI / BOCCHIOLA

Post n°72 pubblicato il 02 Dicembre 2014 da Pallavicini74
 
Foto di Pallavicini74

Tra i pochi giovani studiosi capaci di condurmi al sollucchero, Roberto Batisti è di certo il più duttile e multanime: poeta, deejay radiofonico, tombeur de femmes, provetto grecista...nulla è precluso al suo sconfinato talento. Ve ne accorgerete in questa gustosa - un poco lunga per un blog, giammai prolissa - recensione dedicata alla pagina poetica di Massimo Bocchiola. Che dire? Applausi!

 

Nel Tardo Impero – I

 

Annunciata da presagi funesti

-         fiaccole in cielo, pianeti a cavallo -

la caduta in battaglia del sovrano

immemore della corazza, al soccorso

ovunque mostri di slabbrarsi l'armata,

è circondata da un corteggio di morti

più o meno illustri, che la precedono

e l'accompagnano in punta di lancia

mentre agonizza nella tenda: il fratello

tribuno delle stalle cui sarebbe

forse toccato l'Oriente, i supremi

capi nemici,

 

il Merena e il Noodare,

leviatani di guerra fra le ondate

vive e nere – dorsi di alte colline

dalle falde – che scuotono l'impero

per tutti i suoi confini, e qui un bendaggio

rigido, là l'intervento invasivo,

la resezione di province lontane

e consegnare storiche piazzeforti.

 

Nel Tardo Impero – II

 

Balzando sui cadaveri, difeso

dagli ultimi mostri marini, l'Augusto

già addormentato, cade di una freccia

che fa scempio di tutta l'armatura

e lo annida in eterno tra i soldati

semplici. Qui è più agevole trovare

i punti cardinali, alle sue spalle

il manto delle Prealpi, a sinistra

la lama del mattino, e dirimpetto

il fiume con la luce, che precipita.

 

Qui, mentre immerge la gran coda, per

un istante ala nera di farfalla,

nelle acque viscide, in un mondo diverso

illuminato dagli ordigni (fosforo,

fuoco greco),

 

ricorda (nel padiglione abbrunato

dopo il tempo passato a far la spola

lungo i confini dell'est suturando

ferite e varchi, sperando di infliggere

ai barbari la punizione esemplare)

ricorda di non avere mai visto

la capitale, di essere stato acclamato

-         come noi – in seguito a un dubbio dispaccio.

 

Massimo Bocchiola, da Mortalissima parte, Guanda, Parma 2007.

 

 

 

 

Mi profitto di questo spazio gentilmente concessomi dal padrone di casa per pubblicare uno dei testi per me più significativi d'uno dei libri di poesia che più mi son piaciuti negli ultimi anni, e al contempo per cominciare a imbastire, tramite questo testo, una riflessione – quella sull'uso dell'erudizione (storico-letteraria, in ispecie) in poesia – che mi tocca da vicino.

 

Il pavese Massimo Bocchiola, benemerito traduttore di tanta importante letteratura anglofona (da Pynchon a Hornby), è anche un bravissimo poeta (nonché saggista e romanziere), di cui si parla apparentemente abbastanza poco, forse per un suo riserbo e una sua serietà nel tenersi ai margini del circo spesso assai poco edificante della nostra attuale poesia, anche se ha ricevuto i plausi, fra gli altri, di Giuseppe Genna (scrittore che invece, coi turgori apocalittici del suo stile, sembra polarizzare le opinioni, o lo si porta in palmo di mano o lo si detesta; ma non divaghiamo).

 

Tema di Mortalissima parte è il conflitto armato, spaziando per campi e trincee insanguinati di tutti i luoghi e le epoche, con particolare e partecipata attenzione al fronte italiano della Grande Guerra, dove la Storia s'intreccia coi ricordi familiari dell'autore. Davvero un libro “pieno di Ares”, come per Aristofane (Rane v. 1021) gli eschilei Sette a Tebe.

 

Nutritissima e propriamente sostanziata di letture, antiche e moderne, è la scrittura di Bocchiola: tra le fonti della raccolta in questione figurano (snocciolati dall'autore stesso in postfazione) classici italiani e stranieri, poeti moderni e contemporanei, ma anche storici (tardo-)antichi e bizantini come Giuseppe Flavio, Ammiano Marcellino e Niceta Coniata.

 

Proprio alla narrazione d'Ammiano attinge ispirazione la poesia (in due parti non consecutive) qui riportata; in particolare alla sciagurata fine della campagna persiana dell'imperatore Giuliano (tacciato d'Apostata dai cristiani e già ispiratore, con la sua vicenda, del notevole Giuliano (1964) di Gore Vidal), che dopo i brillanti successi iniziali, spintosi nel profondo del territorio nemico (in zona Desert Storm/Shock and Awe, antichissimi recessi già babilonesi, già sumeri), muore inopinatamente in battaglia per quello che oggi diremmo fuoco amico, lasciando il successore Gioviano a negoziare una pace umiliante. Storie da basso impero, quanto mai attuali.

 

In risvolto di copertina, Valerio Magrelli osserva come tecniche d'elezione di Bocchiola siano collage e cut up. Ed è vero: questi testi sono un virtuale montaggio di reminiscenze ammianee, a volte quasi citazioni puntuali, soprattutto dal libro XXV delle Storie (si divertano gli eruditi a rintracciarle; io l'ho fatto, con diletto), intarsiate con brevi flash di altri tempi e luoghi (le Prealpi…). Ma le linee di sutura non si sentono, la sintassi delle frasi e delle immagini non è frammentata, si evita la gratuità dello sfoggio o l'ostentazione avanguardistica del caos; di tessuto connettivo ce n'è esattamente quanto serve; e la sovrapposizione dei due piani storici non è pedante, serve bensì a far scattare illuminanti isomorfismi, in cui la pianura mesopotamica trasfigura sotto i nostri occhi in quella lombarda, il fuoco greco degli antichi nel fosforo bianco di Falluja.

 

Contenuta è anche la tecnica del name-dropping; ma si gustino quel Merena e quel Nohodares, rispettivamente generalissimo e magister equitum dei Sasanidi, squisiti nomi-glossa che si levano al di sopra del lessico 'medio' di questi testi come i loro portatori al di sopra della massa delle truppe. Ancora più preziosa dei nomi stessi è peraltro l'apposizione “leviatani di guerra”, che li fa svettare in una pittura fosca e icastica destinata a restar impressa; e d'altronde è curioso come in entrambe le sezioni della poesia serpeggi (è il caso di dirlo) il campo metaforico del capo d'armate come mostro marino, immane cetaceo, forse perché la guerra è un nero e procelloso oceano.

 

L'altro campo metaforico ricorrente è l'impresa bellica come intervento chirurgico, l'impero in preda alla decadenza come corpo malato. Ma si veda cosa accade qui: Bocchiola parte da quel che può essere una metafora banale e ne ricava un fraseggio che coniuga, spietatamente, la leggerezza con la tragica durezza; questa 'chirurgizzazione' dei gesti guerreschi, questi verbi soavi e micidiali nel disbrigare gli eventi (come la freccia fatale che “annida” l'imperatore trafitto nella mucchia ingloriosa dei caduti), danno l'idea di uno scontro osservato da lontano, un agitarsi di furibonde e sanguinarie marionette, tanto più tragico quanto più futile. Un modo di parlare del dramma che è la Storia, senza retorica.

 

E come l'erudizione è stata masticata e rifusa senza sforzo nei versi, così anche la metrica: endecasillabi franti e ricomposti, avari di figure di suono come si addice alla scabra materia, ma comunque un dosaggio d'asprezza e scorrevolezza che è funzionale, come nella migliore poesia, alla resa espressiva e non all'esibizione d'una preconcetta poetica.

 

Sarà ormai chiaro che il Bocchiola è, per me, esempio sommamente positivo. E su altre guerre, e altri fosfori, conto di tornare presto.

 
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