Creato da Giur il 15/09/2006
blog per alunni (e famiglie) che si avvalgono dell'ora di religione

Chi sono

Mi chiamo Giovanni Giuranna. Sono un insegnante di religione cattolica in servizio presso l'I.C. Salvatore Quasimodo (15 ore) e la S.M.S. Via Moscati-Mameli (3 ore) di Milano.

Reli John è un blog rivolto agli alunni (e alle loro famiglie) su cui pubblico i materiali e gli strumenti di approfondimento proposti durante l’anno scolastico (testi, brevi video, link di approfondimento, ecc...).

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20 OTTOBRE: DIALOGO CRISTIANOISLAMICO

Post n°48 pubblicato il 19 Ottobre 2006 da Giur
 

Domani 20 ottobre, in occasione dell'ultimo venerdì di Ramadan, si celebra in Italia la quinta Giornata del dialogo cristianoislamico.

Pubblico qui di seguito la lettera che Brunetto Salvarani (direttore di CEM Mondialità) ha scritto per l'occasione:

Cari amici ed amiche, fratelli e sorelle,
20 ottobre 2006, ultimo venerdì di Ramadan 1427, celebreremo la quinta Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico. Quando, all’indomani dell’11 settembre 2001, assieme ad altri tifosi del dialogo lanciammo in rete l’appello che ne è all’origine, confesso che i miei sentimenti vagavano tra lo scetticismo e la fiducia. Non era facile prevedere che oggi, cinque anni dopo, ci saremmo ritrovati per un altro appuntamento, e soprattutto che la nostra giornata - in sordina, con la forza del passaparola, senza troppi clamori e priva di particolari attenzioni da parte dei media - avrebbe preso piede, divenendo un punto di riferimento per il cammino del dialogo interreligioso nel nostro Paese. Era anche difficile immaginare, del resto, la vera e propria escalation che oggi tocchiamo con mano nel percepire come senso comune lo scontro fra le civiltà, le accuse al dialogo (di irenismo, buonismo, ingenuità, nel migliore dei casi) e il clima di “dalli al diverso” che vede quale principale obiettivo, inevitabilmente, il musulmano…

Da parte mia, da parte nostra, una volta di più, vorremmo evidenziare con questa giornata il bisogno di più dialogo (e non di meno dialogo, come strillano di regola le gazzette che contano) per affrontare con speranze di successo la sempre più difficile situazione in atto. Semmai, di un dialogo più qualificato, consapevole e popolare, su cui le chiese cristiane italiane - così come le comunità musulmane - investano e in cui credano, come l’unico linguaggio credibile per dire Dio nell’oggi della storia. E’, una volta di più, la linea del Vaticano II con la dichiarazione Nostra Aetate, della pedagogia dei gesti così cara a Giovanni Paolo II, della Charta Oecumenica stilata nel 2001 a Strasburgo, del Sinodo valdometodista e di altre chiese evangeliche che anche quest’anno hanno aderito ufficialmente alla giornata; ma anche delle prime dichiarazioni di Benedetto XVI, non appena eletto al soglio di Pietro lo scorso anno, e ancora alle comunità islamiche di Colonia, ai margini della Giornata Mondiale della Gioventù, la scorsa estate. Poi, venne Ratisbona, su cui ormai è già stato detto tutto. In ogni caso, segnale vistoso della complessità estrema delle relazioni interreligiose, in una stagione di identità troppo spesso esibite, urlate, violente; nonché, una volta di più, cercando di volgere in positivo la cosa, occasione di purificazione per un colloquio (quello cristianoislamico, in particolare) che è ancora bambino e troppo influenzato dal surriscaldatissimo clima planetario.

In un contesto del genere, lasciatemelo dire, appare quasi miracoloso che l’esperienza della Giornata ecumenica del dialogo giunga al traguardo del suo primo lustro in così buona salute.

Se essa ha saputo attraversare indenne questi anni complicati, faticosi, e questi ultimi mesi addirittura affannati, densi di slogan beceri e di contrapposizioni frontali, non è certo per il nostro impegno, bensì perché, in realtà, al dialogo non esiste alternativa. Il problema, piuttosto, riguarda, da un lato, la sua praticabilità, in un contesto di reiterate e penose strumentalizzazioni, di ascolto reciproco sostanzialmente nullo e di reciproche scomuniche quotidiane; e, dall’altro, i suoi contenuti, quelli di una parola che rischia il depotenziamento a causa del suo abuso, della sua banalizzazione.

Ecco allora che, opportunamente, il comitato organizzatore, di anno in anno allargatosi fino a comprendere molte riviste e associazioni oltre ai singoli che lanciarono il primo appello, propone stavolta, quale motto, Un decalogo per il dialogo. Con l’obiettivo, appunto, di riempire di contenuti concreti tale cammino, recuperando e facendo proprio il lavoro prezioso di un gruppetto di specialisti impegnati in prima persona, il sociologo Stefano Allievi, il linguista Paolo Branca, il giurista Silvio Ferrari e Mario Scialoja, presidente per l’Italia della Lega musulmana mondiale (per il testo completo si veda, ovviamente, il sito www.ildialogo.org).

Il Decalogo prende le mosse dalla constatazione secondo cui la presenza di musulmani nella nostra penisola ha ormai raggiunto una tale massa critica da non consentire che il fenomeno sia gestito soltanto attraverso forme d’intervento estemporanee e improvvisate, com’è spesso stato finora. L’impegno di molti che si sono prodigati, da una parte e dall’altra, con numerose iniziative conferma le potenzialità di un tessuto sociale vivo e attivo, ma proprio per non vanificare tali energie e al fine di evitare derive che hanno interessato di recente altri paesi europei, appare indispensabile che le istituzioni e i cittadini, italiani e non, coinvolti a vario titolo nella questione trovino modalità per riflettere e agire insieme all’interno di un progetto comune ispirato a principi chiari e condivisi.

Per questo, mentre il nostro Paese vive un decisivo momento di riformulazione degli equilibri politici e delle sue prospettive di riforma, il documento motiva il richiamo ad alcuni punti che sembrerebbero di cruciale rilevanza nel compito comune che ci troviamo ad affrontare. Va da sé che i musulmani condividono con immigrati di altra origine molte problematiche simili. Sarebbe pertanto indebito ritenere le considerazioni tracciate come pensate esclusivamente per loro, anche se il testo ne tratta in modo specifico: una buona legge sulla libertà religiosa, ad esempio, andrebbe incontro alle esigenze di tutte le comunità e non solamente di quella islamica.

La globalizzazione in atto, contrariamente a quanto ci si poteva ingenuamente aspettare, invece che ad un indebolimento delle identità (reali o immaginarie) sta conducendo piuttosto ad un loro irrigidimento che non sembra cogliere sufficientemente le potenzialità positive pur presenti nell’inedito incontro di uomini e culture che si sta producendo, bensì tende ad enfatizzare diffidenze e timori che inducono alla chiusura e alla contrapposizione.

Il Decalogo per il dialogo, fra l’altro, incoraggia i mass media a dare spazio alle svariate esperienze di collaborazione e di condivisione tra persone di fede e di cultura diversa, evitando di diffondere e/o amplificare soltanto fatti e notizie che confermino mutui pregiudizi. Non si tratta evidentemente di occultare le problematicità, ma ancora una volta di partire dalla realtà che è più ricca delle sue rappresentazioni, mediante inchieste sul campo, lavoro di terreno empirico, informazione completa e imparziale. Gli esempi delle ultime settimane, ancora una volta, esprimono la centralità di un simile assunto.

Com’è facile notare, la novità più evidente riguarda la dimensione politica del dialogo, che, come le precedenti edizioni della Giornata ecumenica hanno ampiamente mostrato, non può più restare confinato nelle spesso anguste formulazioni del religioso. Anzi. Questo è il messaggio di fondo, inelubile: per lavorare nel dialogo con la prospettiva di un confronto sincero quanto fruttuoso dovremo sempre più usare parole laiche e stili di comportamento laici. Laici e, beninteso, piaccia o no, politici.

Va infatti, a mio parere, sottolineato come, attualmente, il dialogo si riveli sovente più aspirazione che realtà: e sarà perciò, per ora, più onesto limitarsi a parlare di incontri interreligiosi, o più in generale di rapporti interreligiosi o ancora, come fa la teologia più avvertita, di scambi o conversazioni tra religioni. Del resto in più di un documento vaticano - fra cui la stessa Nostra Aetate e l’enciclica Ecclesiam Suam di Paolo VI - il termine dialogo traduce il latino colloquium, ad evocarne una versione maggiormente dimessa e quotidiana: e quotidiana è la dimensione dialogica che si manifesta nelle relazioni sociali tra credenti di differente appartenenza. Infatti accade spesso, oggi, che la fondante dimensione dialogica sia quella personale, privata, concreta, come quella di fatto sperimentata da quanti hanno a che fare, direttamente e non superficialmente, con immigrati di religioni altre.

La grande sfida che attende i fautori del dialogo, come ha scritto recentemente il monaco Enzo Bianchi, che è tra i firmatari del nostro appello, è infatti quella di evitare una lettura delle differenze, anche profonde, come scontro tra il bene e il male, di rifuggire l’identificazione tra un islam astratto e l’incarnazione del male, di rifiutarsi di demonizzare l’altro. Per riuscire in tale impresa, ciascuno deve fare appello alla ragione di cui tutti sono muniti e che, nel suo fecondo intrecciarsi con i dati della rivelazione, ci può infine ricondurre sulle vie della pace e della fratellanza umana. Con questo spirito, il prossimo 20 ottobre digiuneremo, discuteremo, ascolteremo, ci chiederemo perdono a vicenda, domanderemo a Dio di aiutarci nel nostro cammino, ci interrogheremo sulle tante difficoltà e sul nostro peccato… e avremo sulla bocca, o perlomeno nel cuore, le parole del Salmo: “Ecco, quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme.”

Con i più fraterni auguri di shalom - salaam - pace

Brunetto Salvarani

Carpi, 18 ottobre 2006

 
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