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SESSO, VITA, BONDAGE: CORDE, NODI, LEGAMI D'AMORE E MOLTO ALTRO

Post n°8847 pubblicato il 04 Dicembre 2016 da psicologiaforense

Cosa significa amare se non attrarre a sé l'oggetto del proprio desiderio? E, quando la passione della conquista offre al proprio piacere il corpo dell'altro, come è possibile manifestare i propri sentimenti se non abbandonandosi alle esplorazioni suggerite dal proprio amante?

 Bondage significa letteralmente schiavitù. È una tecnica per immobilizzare il partner con corde o legacci di cuoio. Poi, una volta ridotto alla propria mercé, ci si può sbizzarrire in attività di ogni genere, sperimentando nuove frontiere del piacere. Chi ha letto Crepax, Sade o Sacher Masoch, più o meno sa di che cosa si tratta. E se ha anche letto Freud probabilmente colloca quelle pratiche in una sfera di torbide perversioni. Ma chi pratica il bondage si considera assolutamente normale. Certo, sanno di essere diversi dalle coppie che amoreggiano nel weekend, o tra le canzoni soporifere di Sanremo. E le definiscono, in gergo, i «vanilla», come la pianta, quasi a prendere simbolicamente le distanze dalle loro dolciastre effusioni.


NOTA INTEGRATIVA
Il bondage nasce in Giappone. Era la tecnica che i samurai usavano per legare i nemici e immobilizzarli in posizioni umilianti. Poi è diventata un'arte erotica, praticata dalle geishe più raffinate. La corda di canapa o di seta avvolge il corpo della persona amata come un ricamo raffinato. Stringe i seni, i fianchi, il sesso. Immobilizza i polsi e le caviglie. Mai il collo, perché sarebbe pericoloso. I nodi sono quelli che s'imparano a qualunque corso di roccia: scorsoi, doppi savoia che nel linguaggio raffinato dell'eros giapponese diventano il Karada (una ragnatela intorno al corpo), lo Shingu (intorno al seno), il Surakambo (la parte inguinale). Le tecniche del bondage sono svariate. Lo stile giapponese prevede corde di canapa e seta. Quello «americano» cinghie di cuoio, maschere, bavagli. C'è un «padrone» che domina, e un «sottomesso» che si lascia immobilizzare in un gioco lento, complesso, che lega i corpi e anche le menti degli individui, nella complessa ricerca del rapporto tra piacere e dolore. Oltre ai nodi la procedura prevede supplizi d'ogni tipo, con fruste, pinze, strumenti ginecologici, bavagli. La comunità sadomaso è più estesa di quanto si pensi. E internet ha reso tutto più facile. Esistono siti e chat specializzate dove ognuno espone in bacheca le proprie fantasie. E cerca di trovare i compagni di gioco adeguati. Più o meno come quando chiedi l'ascendente zodiacale alla collega d'ufficio che vuoi baccagliare. Dicono che il sadomaso non sia rischioso. Nulla a che vedere con le orge di torture e sesso alla Hostel. Tutto è molto controllato dal tam tam degli adepti: «Se sgarri, sei fuori». Per conoscersi meglio e socializzare si organizzano party, cene al ristorante, raduni, come fanno gli appassionati di moto o di backgammon. Alla fine della lezione di bondage sorge, spontanea, una domanda. E l'amore? Che spazio c'è per l'amore in mezzo a tante fruste e manette? Chi ha letto le poesie di Saffo, Petrarca, Kavafis - per citare a caso - sa che l'amore è un tormento che strapazza i cuori e brucia le carni. E chi si strapazza sul serio, senza metafore, riesce ad amare? Le «vere» coppie sadomaso rispondono sì. Poi, quasi involontariamente, i «padroni» stringono le loro «schiave» fidanzate. Per una coccola, un buffetto, una carezza sui capelli.

 
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