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Blog trasferito

Post n°14 pubblicato il 21 Ottobre 2012 da puntacampabella

Il blog si è trasferito all'indirizzo

http://fabiosalamida.wordpress.com/

 
 
 

La "città fabbrica" che ha scelto come morire

Post n°13 pubblicato il 27 Luglio 2012 da puntacampabella
 

La storia dell'Ilva di Taranto è l'ennesimo paradosso italiano. Migliaia di lavoratori lottano contro il sequestro di sei reparti dell'acciaieria più grande d'Europa, per scongiurare una chiusura che significherebbe la perdita di lavoro per migliaia di persone e un dramma per le loro famiglie. Perché l'Ilva - come la Fiat, la Barilla e altre grandi aziende italiane - non è una semplice impresa ma il cuore di quella che molti definiscono "città fabbrica", un'impresa che dà lavoro a un numero di persone così alto da influire sull'economia, l'urbanistica e le abitudini di una città.

Ma l'Ilva è anche stata per oltre trent'anni - e per molti continua ad esserlo - causa di morte e malattie per gli operai e per molti abitanti di Taranto. I veleni eruttati dal colosso siderurgico si manifestavano con quello strato di polvere rossa che si depositava su case e auto, sui panni stesi ad asciugare - che al primo soffio di tramontana dovevano tornare in lavatrice - e sul terreno, inquinando acqua e cibo. Ma soprattutto era respirata da tutti. I veleni negli anni sono stati identificati e misurati, in primis la famigerata diossina e poi  il meno noto ma altrettanto pericoloso benzopirene. Si è dimostrata l'incidenza diretta tra quelle sostanze e l'aumento esponenziale di malattie respiratorie e tumori in tutta l'area. 

Negli ultimi anni la polvere rossa è diminuita, salvo quando soffia la solita tramontana. Basta domandare agli abitanti del 'rione Tamburi', il quartiere più inquinato d'Europa. Ma gli effetti devastanti di oltre trent'anni di veleni richiederebbero interventi radicali. Non basta modificare i cicli di produzione, servirebbero una massiccia opera di bonifica e quelle riconversioni che i sindacati e i movimenti dei cittadini chiedono da anni.

Manca un'efficace legislazione nazionale che regolamenti il monitoraggio e la bonifica delle grandi aree industriali. Ci si limita a gestire le emergenze con provvedimenti 'spot' come i 336 milioni stanziati dal governo. La politica è stata assente e nel peggiore dei casi complice. In Italia ammontano a 57 le aree da bonificare e sono oltre 6 milioni gli italiani a rischio malattie. Ed è difficile accertare quali siano le responsabilità legali delle aziende rispetto ai disastri ambientali. La storica sentenza Eternit - caso che ha diverse analogie con l'Ilva – è emblematica del vuoto legislativo. Da una parte la vittoria dei famigliari delle vittime degli stabilimenti di Cavagnolo e Casale Monferrato, dall'altra l'ingiustizia subita a Reggio Emilia e Bagnoli. In entrambi i casi la bonifica delle aree si è limitata a qualche proclama e poco più.

Oggi molti abitanti della grande "città fabbrica" vivono il dramma di dover difendere il loro lavoro coscienti di difendere un'azienda che produce morte e malattie. Ma quando un dramma è di dimensioni così vaste, le degenerazioni e gli scontri lacerano l'intero tessuto sociale di una comunità. È questo che sta avvenendo nella provincia pugliese, dove le associazioni e i gruppi che lottano per la difesa dell'ambiente e della salute, nonché la stessa Procura di Taranto che ha disposto i sigilli per i reparti a caldo dell'acciaieria, sono visti come dei nemici da quella parte della città che vive del grande colosso industriale. Migliaia di persone che vittime del ricatto occupazionale si sono rassegnate a dover compromettere la propria salute, quella delle loro famiglie e quella della loro comunità. Perché in Italia si può scegliere se morire dei veleni prodotti dalla fabbrica dove si lavora o di fame se quella fabbrica viene chiusa perché uccide. E non si dica che non siamo un paese libero.

 
 
 

La preferenza della signora Rita

Post n°12 pubblicato il 19 Luglio 2012 da puntacampabella
 

Come ormai abitudine, a pochi mesi dall'inizio della campagna elettorale ci si affretta a cambiare la legge elettorale. Dopo il criticato "Mattharellum" e l'odiato "Porcellum", ecco che da più parti si sente dire "si stava meglio quando si stava peggio" e la soluzione di tutti i problemi sembra essere il ritorno al proporzionale (prima votate, poi al governo ci pensiamo noi…) e soprattutto il super democratico voto di preferenza, che finalmente restituirà la sovranità al popolo dopo la dittatura dei "nominati".

Io non credo assolutamente che la preferenza unica (perché quando si parla di preferenze va specificato) sia un sistema di rappresentanza democratica. Lo sarebbe nel caso ipotetico in cui la maggioranza dei voti assegnati ai partiti contengano la preferenza, ma così non è. 

Ad oggi - e verosimilmente anche in futuro -  solo una sparuta minoranza dei voti ai partiti esprimono la preferenza e ne consegue che i "più bravi" a far scrivere il loro nome sulla scheda si dividono l'ipotetico "piatto" che è la quota di rappresentanza dell'intero partito.

Ma questi "più bravi" sono sempre i più capaci e i più onesti? Ovviamente no. Scomodando Aristotele, potremmo dire che i migliori nell'arte di "governare la Polis" sono proprio quei soggetti che riescono a scindersi dalla loro immagine per dedicarsi anima e corpo agli interessi della comunità. Ne consegue che le moderne forme di personalizzazione della politica sono l'esatto contrario di ciò che dovrebbe essere la stessa.

I "più bravi" a volte sono personaggi un po' rozzi, spesso non hanno dimestichezza con la lingua italiana e persino il loro dialetto appare sgrammaticato e poco comprensibile. Sono personaggi che dalla politica cercano quel valore aggiunto derivante dalla gestione del potere. Il caso del consigliere comunale romano Samuele Piccolo - arrestato e accusato di aver usato fondi illeciti per finanziare le sue cene elettorali e il suo call center -  è eclatante ma non è certo isolato e non è limitato a un solo partito. Si pensi che uno dei consiglieri comunali più votati a Roma è un esponente della nota famiglia che gestisce gli ambulanti in tutta la città (sì lo so... è sempre del PDL... diciamo che nel PDL sono più portati...).

I "più bravi" investono tanti soldi nella politica e non certo per beneficenza. Quei soldi "rientrano" attraverso quei canali che la politica può muovere, quei canali che dovrebbero servire ad erogare servizi alla comunità e che con questo sistema diventano merce di scambio, voti di scambio.

Ma i "più bravi" hanno dei grandi alleati che non sono come tutti pensano i grigi capi dei partiti che li mettono nelle liste. Gli alleati dei "più bravi" sono gli italiani - certo non tutti - ma buona parte di essi.

I "più bravi" sono l'esatta rappresentazione di ciò che oggi è il popolo italiano. Un popolo fatto di tante signora Rita col capello cotonato che inveiscono sull'85 contro i politici ladri che "se magneno tutto". 

Ma la signora Rita dal capello cotonato è la prima a non farsi fare la ricevuta dal discutibile parrucchiere in cambio dello sconto. La signora Rita sotto elezioni parteciperà a qualche cena elettorale gratuita organizzata  da uno dei "più bravi" e scriverà sotto la scheda il nome del benefattore come da santino accuratamente disposto sotto il flûte del prosecco… "perché la pasta era n'po' scotta ma er porpettone era bono". 

E vi dirò… la "signora Rita" dal capello discutibilmente cotonato è il male minore, perché alla cena gratuita i veri problemi sederanno al tavolo centrale insieme a uno dei "più bravi" e fra un boccone di pasta scotta e un pezzo di polpettone saranno lì a dividersi i proventi del dopo elezioni, forti delle buste paga delle famiglie delle tante signora Rita dal capello discutibilmente cotonato alle loro dipendenze, famiglie da mobilitare nel gran giorno della festa della preferenza.

La verità, è che mi chiedo spesso perché il voto di un italiano onesto debba valere quanto quello dell'abitante di Scampia che per anni copre il camorrista di turno e poi lo copre di applausi e ovazioni nel tragitto che lo porta dalla casa dove era latitante fino alla camionetta dei carabinieri.

Mi chiedo perché nessuno capisca che la politica è la punta dell'iceberg di qualcosa di assai più vasto e articolato: la regressione morale, culturale e civica di un popolo. La verità - duole dirlo - è che meno gli italiani avranno potere di decidere e meno danni faranno. E' impopolare dirlo? Moltissimo. Ma purtroppo è l'evidenza.

Ma di fronte alla piaga dei "nominati", la voce del popolino chiede con forza di poter scrivere il nomignolo sulla scheda e i politici - specie quelli nella parte sinistra dell'emiciclo - impauriti e commissariati dai tecnici, non hanno la forza di dire al loro popolo che se per 20 anni hanno usato il loro sacrosanto diritto di voto per eleggere un clown, le colpe del disastro vanno quanto meno ripartite a metà.

Il PD poi è particolarmente talentuoso nell'arte di autodistruggersi con grazia e democrazia, visto l'uso provinciale e smodato che fa delle elezioni primarie. Una versione "pizza e mandolino" di quelle americane, senza il sistema di trasparente finanziamento privato della politica statunitense e soprattutto senza le regole di quelle grandi consultazioni di massa. Le primarie possono essere un grande strumento di democrazia, ma vanno fatte come si deve e quando si deve. 

Che poi la soluzione sarebbe semplice. Basterebbe tornare a quei collegi uninominali che inchiodavano l'eletto al territorio dove era candidato e al dovere di rappresentarlo. E inchiodavano i partiti a scegliere candidati presentabili per vincere nei collegi. Una cena in meno per la signora Rita dal capello discutibilmente cotonato e qualche camorrista in meno in Parlamento.

 
 
 

In attesa di un nuovo "miracolo italiano"

Post n°10 pubblicato il 19 Luglio 2012 da puntacampabella
 

Quando si analizza un voto amministrativo si commette spesso l'errore di considerare le somme dei risultati come la media nazionale delle forze politiche in campo. Non è proprio così, anzi spesso il voto locale si caratterizza molto per la presenza di liste civiche e per il radicamento dei singoli candidati sui territori. Il discorso vale ancor più se le città in questione non sono - per densità di popolazione e rilevanza politica ed economica - i principali capoluoghi. Con tutto il rispetto, il voto di Genova non pesa come quello di Milano, quello di Parma come quello di Roma, quello di Palermo come quello di Napoli e così via. L'analisi che possiamo fare è allora una comparazione più o meno esatta con lo stesso voto amministrativo precedente, individuando se possibile un trend laddove uno spostamento significativo di voti da uno schieramento all'altro è significativo e generalizzato.

 

Sarebbe quindi un banale errore considerare come l'inizio della Terza Repubblica la tornata amministrativa di questi giorni, perché stiamo chiaramente attraversando una fase di passaggio in cui i flussi elettorali non sono definibili se non in parte. Una situazione assai simile a quella del '93, quando le inchieste di Tangentopoli dilaniarono l'allora classe dirigente politica. Anche all'epoca a "salvarsi" fu il principale partito della sinistra.

Procediamo per ordine. La rovinosa "caduta" del PDL (che coincide con quella del suo leader/finanziatore) e del principale partito alleato e fonte di consensi nelle regioni del nord (che anche qui coincide con la caduta del capo) crea un vuoto politico che non viene intercettato da quel "Terzo Polo" che ambiva a quei voti (e conferma a malapena i voti dell'UDC, di fatto una disfatta), ma si disperde in parte nell'astensione che cresce di 7 punti e in parte in un voto di protesta a favore del "Movimento 5 Stelle" di Beppe Grillo.

Per semplificare all'estremo, si potrebbe dire che nel centrodestra gli orfani del "meno tasse per tutti" e de "la Lega ce l'ha duro" hanno votato per abitudine l'urlatore demagogo di turno, gli altri sono rimasti a casa in attesa di tempi migliori.

Proprio per questo mi guarderei bene dal considerare Grillo e il suo pseudo movimento come "l'astro nascente" della politica italiana. In fondo di "girotondi", "popoli viola" e radicali al 9% ne abbiamo già visti negli anni passati. Sono stati fenomeni passeggeri che sono durati il tempo di un riassestamento delle principali forze in campo. Sarà così anche questa volta.

Il PD tiene e guadagna (pochi) voti e molti comuni. Di fatto marcia sui ruderi di un avversario già vinto in partenza. La verità è che i democratici tengono e sono l'unico partito ad uscire immune dal crollo, dimostrando ancora una volta che il cosiddetto "zoccolo duro" a sinistra è assai meno suscettibile di migrazioni rispetto alle basi elettorali degli altri partiti. Anche qui, semplificando, l'elettore convinto del Partito Democratico è in larga parte assai più riflessivo e prima di disperdere il voto tende a "turarsi il naso" finché può, poi al limite si astiene ma è in maggioranza restio a votare movimenti "stagionali". C'è poi quel "sano" snobismo di larga parte dell'elettorato "progressista" (dal PD, a SEL ai vari partitini rossi…) che non tradirebbe mai le giovanili letture gramsciane per votare un comico che grida parolacce e insulta mezzo Mondo. A quel punto preferirebbe comunicare il suo totale dissenso con la tipica fetta di mortadella da mettere dentro la scheda e l'immancabile "magnateve pure questa".

Come dicevo è tutto assai simile a quel '93, la vigilia dell'ormai celebre "discesa in campo" di quel non politico che a reti unificate dipinse la politica come il peggiore dei mali e si propose come unica alternativa a quel male, per poi impersonificarlo per 17 lunghi anni. Tutto lascia pensare che dovremo prepararci all'avvento di chi riempirà nuovamente quel vuoto che si è riaperto nella sponda conservatrice del Paese. Che siano tecnici, imprenditori o politici, speriamo che sia finito il tempo dei giullari.

 
 
 

L'insopportabile inconcludenza dell'essere di sinistra

Post n°9 pubblicato il 19 Luglio 2012 da puntacampabella
 

Vuoi perché in fondo resto un inguaribile romantico, vuoi perché l'Unità offre le migliori e meglio illustrate notizie di gossip di tutti i quotidiani online, mi sono trovato a leggere la risposta di Achille Occhetto a Macaluso sul giornale fondato da Gramsci sul tema dell'antipolitica. Confesso che è stato come bere un bicchier d'acqua fresca in questa arida e desolata valle ormai simile a un deserto, che è il livello di discussione a cui ci siamo abituati. Un livello fatto di grilli e trote, intervallato da avvenenti consigliere regionali vestite da suore, tanto per ricordarci che non si vive di solo intelletto.

Il Segretario si distingue per una lucida e "calviniana" riflessione sul presente, la sua metafora sull'acqua sporca e sul "distinguere ciò che va distinto" ricorda molto quel "trovare nell'inferno ciò che non è inferno e valorizzarlo, dargli spazio" del maestro scrittore, quel pragmatismo gramsciano e ormai d'altri tempi che una parte del popolo di sinistra ha perso, preferendo i facili binari dell'antipolitica e della destrutturazione. Ma come ricorda proprio Occhetto "non basta destrutturare perché occorre ricostruire".

Ma per riportare ad altezza uomo queste riflessioni veniamo agli spinosi temi di questi mesi. Il governo tecnico e le sue politiche di austerità, il ruolo della finanza e il suo rapporto con la politica, il finanziamento pubblico ai partiti.

Partiamo dal governo tecnico, da questo palese commissariamento dello Stato che molti vedono come il fallimento della politica e dei suoi protagonisti. È di fatto innegabile che l'attuale situazione derivi da un fallimento, ma di chi sono le reali colpe di questo fallimento? Sì perché i terribili partiti e i malvagi politici non crescono sugli alberi, qualcuno li ha votati (o non ha votato favorendone indirettamente l'elezione) e come nel caso delle ultime elezioni politiche dalle urne uscì un governo fortissimo che avrebbe avuto i numeri per poter fare ciò che voleva. Semplicemente non avrebbe mai avuto la capacità di farlo per gli uomini che esprimeva, in primis il premier. Questo lo capì una minoranza degli italiani, la maggioranza no. Ancora una volta il "popolo sovrano" si lasciò abbagliare e sbagliò. Di certo la sinistra, in primis il PD, ha avuto la colpa di non riuscire a comunicare una possibile alternativa. Si è divisa, sparpagliata e ha perso nei numeri e nella sostanza. Ma anche la sinistra non è solo i partiti e i movimenti che la rappresentano. Una parte seppur minoritaria di quel popolo sovrano che si ritrova nei suoi ideali, continua a non capire che solo attraverso l'unità democratica in un unico soggetto è possibile dar vita a quegli ideali. Ma per capire ciò in molti dovrebbero rinunciare a personalismi e protagonismi e capire che per il bene comune e per far valere i propri ideali (qualora ve ne siano) ha più senso essere una parte minoritaria in una grande forza che una forza minoritaria in una galassia di minoranze variabili.

Il governo tecnico è il frutto di decenni di errori e di scelte sbagliate del popolo sovrano, di gran parte di esso trasversalmente. Di fatto è un commissariamento della politica ma indirettamente è un commissariamento di quella sovranità che non siamo stati in grado di utilizzare per il nostro bene e quello della nostra comunità. Le politiche di austerità sono come i RID della carta di credito... Prima o poi arrivano.

La finanza è certamente il volto più preoccupante del capitalismo moderno, un sistema economico ormai governato non più da un'economia reale, basata sul commercio di prodotti, materie prime o sull'erogazione di servizi, ma su volatili e spesso imprevedibili oscillazioni di moneta virtuale. Una "second life" del sistema capitalista per semplificare all'estremo il concetto.

Di certo la finanza è ormai ovunque e il suo vettore è la globalizzazione dei mercati. Entra nelle nostre case negli scontrini del supermercato, nella bolletta della luce e del gas, quando mettiamo benzina o ci infiliamo un preservativo fluorescente al gusto di mango.

Anche qui, per controllare la finanza, per non renderla distruttiva e trarre da essa dei vantaggi, non serve percorrere l'utopia di un Mondo liberato da essa. Serve un rinnovamento delle forze di interposizione, ovvero un rinnovamento in primis della politica e di tutte le forze organizzate - associative e sindacali - che dovrebbero avere il ruolo di governare il sistema. Ma i rinnovamenti sono possibili se maturano nel sentimento comune e negli intenti di un popolo.

E qui arriviamo ai partiti, al loro ruolo, a come si finanziano e come utilizzano i finanziamenti. Sarà impopolare dirlo in questa piazza di urlatori qualunquisti che è diventato il nostro paese, ma i partiti servono. Servono a dare a quel "popolo sovrano" che spesso sbaglia, lo strumento per esercitare la sua sovranità. Rinnegare i partiti è come rinnegare il sistema democratico, togliere la sega al falegname, il martello al fabbro, il vassoio del bar allo stagista, il pene a Rocco Siffredi. E i partiti per esistere vanno finanziati. Devono poter pagare le loro sedi aperte a chi voglia parteciparvi, i dipendenti che ci lavorano per mantenerne la struttura, le spese di gestione e via discorrendo. Per farlo esistono due sistemi conosciuti: il finanziamento pubblico e il sistema lobbistico utilizzato nelle democrazie anglosassoni. Il primo è quello che conosciamo; lo stato finanzia i partiti (da noi in base al loro consenso) e i partiti si impegnano ad utilizzare i finanziamenti per le loro attività. C'è poi il sistema delle lobby; le società X finanziano il partito Y, tutto è alla luce del sole e ne consegue che l'elettore americano sa già quando vota il partito Y che quel partito rappresenterà le società X. Sono entrambi sistemi che possono funzionare ma entrambi richiedono un sistema di controllo che eviti degenerazioni. Chi urla contro i finanziamenti pubblici ai partiti commette sempre lo stesso errore: la destrutturazione fine a sé stessa, l'incapacità di rinnovare.

Destrutturarazione e rinnovamento, due opposti modi di agire e giudicare il circostante. Il semplice e primordiale istinto di far saltare il banco e la difficile sfida di governare e cambiare l'esistente vivendolo e non subendolo passivamente, pervasi dall'illusione di un esplosione che non avverrà mai e che se anche avvenisse non porterebbe da nessuna parte.

E forse non è un caso che un messaggio così apparentemente scontato - ma di fatto rinnegato da molti di noi - arrivi da quel vecchio capo rinnegato che ancora oggi resta l'ultimo segretario che merita la simbolica "S" maiuscola, l'ultimo degno di nota sui libri di storia, l'ultimo ad aver avuto l'intelligenza e il coraggio di chi sa "distinguere ciò che va distinto" sfidando sé stesso e ciò che era stato, non per distruggere, ma per rinnovare.

Ancora una volta dovremmo ringraziarlo.

 
 
 
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