Creato da: AngeloQuaranta il 10/02/2009
"fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza"

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« ANDY PROKHXXV APRILE »

Pasqua 2014

Post n°410 pubblicato il 18 Aprile 2014 da AngeloQuaranta
 

La Pasqua sia uno dei momenti di meditazione interiore di pace con se stessi e di ricerca di energia positiva da donare agli altri senza distinzione. Non solo ascoltare ma dare la pace come meglio si è capaci di darla.

 Il Cristo morto di Mantegna "di tutte le religioni il Cristianesimo è l'unica ad avere una rappresentazione grafica di Dio, l'unica che può dare un volto a Dio perché Dio stesso si è fatto vedere, incarnandosi in Gesù, del "Cristo morto" di Mantegna con l'ardito realismo dei piedi trafitti in primo piano a quello del "Compianto" di Giotto, morto tra le braccia di sua madre: quadri innovativi dal punto di vista della prospettiva che, come ha spiegato Montalto, volevano rendere il più possibile popolare e vicina alla gente la rappresentazione della passione; e c'è il Gesù delle rappresentazioni moderne, nelle quali emergono invece con più evidenza i sentimenti dell'artista: è il caso del "Cristo giallo" di Gaugin nel quale è l'autore stesso a raffigurarsi sulla croce o della "Crocifissione" di Guttuso: il titolo è già indicativo "Crocifissione" e non "La Crocifissione" per dire che questo dramma è di tutta l'umanità in ogni tempo."

 

di Chiara Vanzetto

Il confronto con un’icona sacra che riflette il dolore dell’uomo Novità, confronti, riflessioni su un tema chiave della Pasqua, credenti o non credenti poco importa, l’arte parla a tutti: quello della «imago pietatis» o «Cristo in pietà», l’immagine di Gesù morto ed eretto, occhi chiusi e braccia abbandonate, accompagnato dagli angeli, da Maria, o da Maria con San Giovanni Evangelista. " Punto di partenza per ricostruire la carriera del pittore negli anni 1450/60 e per farlo dialogare con pezzi coevi dello stesso soggetto, molto diffuso nel territorio veneziano già dal ‘300. «Quest’opera segna una nuova stagione della pittura veneta, quella della rappresentazione dei sentimenti — spiega Sandrina Bandera —. Che non nasce in modo naturale ma attraverso il filtro della cultura classica, la conoscenza della poesia elegiaca antica, nota in Veneto già dai tempi di Francesco Petrarca».

Fondamentale per comprendere questo legame la scritta con la firma apposta da Bellini al dipinto: un distico delle «Elegie» del poeta latino Properzio, seconda metà del I secolo a.C., in cui si parla di «occhi gonfi di pianto». Verso che il pittore fa suo, partecipando al dolore della morte a cui assiste e coinvolgendovi l’osservatore. Verso che ci racconta il fil rouge che unisce Bellini ai più colti ambienti veneziani, documentato in mostra da due manoscritti d’epoca: un’edizione di Properzio della Libreria Marciana, del 1453, e un testo dell’umanista veneto Zovenzoni, anno 1474, dove il ritratto miniato dell’autore, attribuito a Bellini, dimostra la reciproca conoscenza.

 

Da Wikipedia
La Deposizione è un dipinto ad olio su tela di cm 300 x 203 realizzato tra il 1602 ed il 1604 dal pittore italiano Caravaggio. È conservato nella Pinacoteca Vaticana.
L'opera viene eseguita per la cappella Vittrice nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma, retta dai Padri Filippini.
Questo quadro fu una delle pochissime opere prodotte dal Caravaggio che suscitò unanimi consensi. Colpirà moltissimo la fantasia di Rubens che, vistolo qualche anno dopo, ne realizzò subito una copia e ne consigliò l'acquisto al marchese Gonzaga.
La composizione della scena e delle figure rimanda ancora una volta a Michelangelo, di cui il Merisi era sincero ammiratore: seguendo una diagonale, da destra ci compaiono le figure di Maria di Cleofa a braccia alzate, della Maddalena piangente e della Madonna anziana, che tende la mano sulla testa del figlio come per toccarlo un'ultima volta. A deporre il corpo nel sepolcro, San Giovanni e Nicodemo, le cui possenti e scultoree gambe valgono da sole la visione del quadro. 
Drammatica è la figura di Cristo, livido e con la bocca dischiusa, e con il dito medio destro indicante, come per casualità, la lapide tombale vista di sguiscio sotto la quale sta per essere sepolto: riferimento chiaro e preciso alla "pietra angolare" da lui rappresentata e su cui si fonda la Chiesa. Quasi due secoli dopo sarà Jacques-Louis David a prendere spunto dalla figura del Cristo per il suo Marat assassinato.

Su uno sfondo scuro neutro sono rappresentate numerose teste (se ne contano diciotto, più quella sul velo della Veronica), che si accalcano attorno al Cristo che sta portando la croce, con uno sguardo di malinconica rassegnazione, dagli occhi chiusi e abbassati.

La Salita al Calvario di Gand mette in scena la bestialità e la ferocia della folla di fronte all'umanità di Gesù Cristo. La tavola, popolata da volti grotteschi, è costruita su due diagonali che, sviluppandosi lungo la croce e l'asse delle figure, si incontrano in quello rassegnato di Cristo, che contrasta fortemente con i lineamenti caricati degli sgherri circostanti.

Ai quattro angoli si trovano figure significative della via Crucis. In basso a destra si vede il cattivo ladrone, che ringhia agitato contro tre volti animaleschi che lo dileggiano. In quello in altro a destra si vede invece il buon ladrone, quasi un moribondo che viene confessato da un frate spaventoso. La presenza dei due ladroni, tipica anche di altre opere di Bosch, è da mettere in relazione con l'esempio offerto al fedele, di possibile redenzione o di adesione totale al male. Nell'angolo in basso a sinistra si vede la Veronica con la sindone, che volge la testa all'indietro e ha gli occhi socchiusi. In alto a sinistra si distingue infine Simone di Cirene, col volto quasi rovesciato verso l'alto, il cui gesto di tenere la croce pare più un ostacolo che un aiuto a Gesù. È curioso notare come i tre personaggi positivi: Gesù, la Veronica e Disma, abbianto tutti gli occhi chiusi o semichiusi, come per estraniarsi dalla scena.

G. Dorflès mise in evidenza che «le figure si proiettano su unico primo piano, e le eventuali preoccupazioni riguardo alle prospettive restano più o meno abolite (...), sono solo le teste che, viste su un piano generale, creano una composizione che manca di masse e volumi».

In questa tavola, Bosch utilizza la grottesca e la deformazione e nessun altro simbolo per presentare la malvagità della scena. La sua composizione e inquadramento «sovrasta la crudeltà, l'ira e l'odio degli uomini» (Carrassat), come si vede nei gesti e nelle mimiche facciali. L'intera composizione è popolata da personaggi negativi, per lo più col volto scuro, come a simboleggiare i loro cattivi sentimenti, deformati da un'intera gamma di smorfie e distorsioni caricaturali che cercano di rappresentare tutte le malvagità e le bassezze dell'uomo.

Per trovare precedenti a questa rappresentazione si sono chiamati in causa i disegni leonardeschi (ma caricature appaiono ben prima nell'arte di Bosch), o la tradizione grottesca dell'area germanica.

 

 

(Nota di Guttuso sul quadro Crocifissione: “La nudità dei personaggi non voleva avere intenzione di scandalo. Era così perché non riuscivo a vederli, a fissarli in un tempo: né antichi né moderni, un conflitto di tutta una storia che arrivava fino a noi. Mi pareva banale vestirli come ogni tentativo di recitare Shakespeare in frac, frutto di una visione decadente. Ma, d’altra parte, non volevo soldati vestiti da romani: doveva essere un quadro non un melodramma. Li dipinsi nudi per sottrarli a una collocazione temporale: questa, mi veniva da dire, è una tragedia di oggi, il giusto perseguitato è cosa che soprattutto oggi ci riguarda. Nel fondo del quadro c’è il paesaggio di una città bombardata: il cataclisma che seguì la morte di Cristo era trasposto in città distrutta dalle bombe”).

 

 
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