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Un blog creato da writer_980 il 29/04/2007

RACCONTI DI ROMA

Aneddoti, curiosità e stravaganze della città eterna

 
 

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L'Hostaria dell'Orso e gli orsi scappati

Post n°24 pubblicato il 28 Ottobre 2007 da writer_980
 
Foto di writer_980

Superata la torre medievale nota come “Torre della Scimmia”, via dei Portoghesi diventa via dell’Orso, in onore della celebre hostaria del XV secolo. A proposito di tale locanda si racconta un aneddoto particolare.

Per abbellire il suo locale l’oste incaricò un famoso artista dell’epoca di dipingere degli orsi sull’insegna. Come compenso l’artista chiese otto scudi per rappresentare gli orsi legati da catene ai due lati della porta, oppure sei per gli orsi senza catene.

L’oste, ovviamente, optò per la soluzione più economica. Dopo poco tempo, con grande disappunto, si avvide che i due orsi erano talmente scoloriti da non essere più riconoscibili. Furioso convocò l’artista e lo rimbrottò senza peli sulla lingua. L’artista, per niente turbato, rispose candidamente:

«Ve lo avevo detto io di farmeli dipingere con le catene. Avete visto ora? Senza catene sono scappati!»

Dagli anni 30 del secolo scorso l’antica osteria è diventata uno dei ristoranti e dancing più eleganti di Roma.

 
 
 

Gli artisti immorali e le fanciulle da salvare

Post n°23 pubblicato il 14 Ottobre 2007 da writer_980
 
Foto di writer_980

Roma, città di condottieri, Papi e “indifese” fanciulle. Tra l’Ara Pacis e l’Augusteum, sulla via di Ripetta sorge il Ferro di Cavallo, un edificio neoclassico, costruito da Papa Gregorio XVI per ospitare varie scuole d’arte. Nonostante l’appoggio del pontefice il progetto suscitò notevoli perplessità tra le rispettabili famiglie della zona, che temevano che le loro giovani figlie potessero essere traviate da personaggi così “notoriamente immorali” come gli artisti e le loro modelle. Durante l’inaugurazione, mentre visitava l’edificio, Gregorio XVI si affacciò ad una finestra e vide, in un appartamento dall’altro lato della strada, una matrona attorniata da virginali fanciulle.

«Padre Santo – urlò la signora – salvate le mie figlie!»

Il Papa non rimase insensibile a quell’accorato appello. Pur di evitare ad illibate ed innocenti ragazze lo spettacolo “sconcio” al quale avrebbero potuto assistere durante le lezioni d’arte, fece murare tutte le finestre dell’edificio. Ancora oggi il palazzo ospita l’Accademia delle Belle Arti.

 
 
 

La punizione dell'ubriacone e la "coronatio"

Post n°22 pubblicato il 01 Ottobre 2007 da writer_980
 
Foto di writer_980

In via Lata, un vicoletto tra via del Corso e piazza del Collegio Romano, poggiata al muro vi è una fontana che, notte e giorno, versa uno zampillo d’acqua da un bariletto. Vi è raffigurato un “acquaricciaro” tarchiato in tonaca e berretto che stringe amorevolmente al petto tale barile, come fosse un tesoro. Il viso è rovinato, il naso è rotto e manca una parte di guancia. Difficile quindi azzardare qualsiasi somiglianza.

Tra il popolo però si è sempre creduto si trattasse di un certo Abondio Rizio, un acquaiolo del Rinascimento sempre sbronzo. Secondo la leggenda al povero Abondio toccò la peggior punizione per un ubriacone del suo stampo. Ad espiazione del suo amore per il vino, fu condannato per l’eternità ad accontentarsi di semplice acqua.

L’iscrizione, ormai quasi scomparsa, ricordava una tradizionale usanza dell’Università dei facchini. I facchini stazionavano ognuno in un punto della via, in una serie di postazioni abituali. Quando una delle “poste” restava vacante, colui che doveva occuparla veniva afferrato dai compagni. Questi lo sollevavano di forza e gli facevano ripetutamente sbattere il sedere sul marciapiede. Era la “coronatio”, cioè la presa di possesso della “posta”. Da quel momento nessuno si azzardava più a prendere il posto del collega ormai “coronato”.

Secondo una versione più colta la fontana raffigurerebbe nientemeno che Martin Lutero. Associazione che non trova riscontri storici, dovuta soltanto alla fantasia della gente che immaginava il fondatore del protestantesimo nel più classico stereotipo tedesco: grassoccio, rubizzo e gran bevitore di birra.

 
 
 

Un prezioso biglietto da visita

Post n°21 pubblicato il 21 Settembre 2007 da writer_980
 
Foto di writer_980

Nel corso dei secoli Roma ha ospitato moltissimi grandi artisti. Non sempre però i rapporti tra loro sono stati idilliaci. Al tempo in cui Raffaello affrescava la Farnesina era talmente geloso della propria opera che non consentiva a nessuno di entrare nella sala.

In quel periodo nella capitale viveva un altro “discreto” pittore, un tal di nome Michelangelo. Questo Michelangelo era talmente incuriosito dall’opera del rivale che elaborò un piccolo stratagemma per osservare l’affresco. Si travestì da venditore ambulante e si piazzò davanti alla Farnesina esponendo mercanzia di poco valore.

Dopo l’interesse iniziale la gente prese ad ignorare quel povero straccione, tanto che, vedendo Raffaello uscire dal palazzo, Michelangelo riuscì ad intrufolarsi dentro eludendo la sorveglianza dei custodi.

All’interno, però, non si limitò solo ad ammirare l’affresco. Prese un pezzo di carbone e disegnò sulla parete una bellissima testa. Subito dopo uscì soddisfatto di se stesso.

Quando Raffaello tornò per riprendere il lavoro rimase sbigottito nel vedere quella testa così viva e perfetta. Superata la sorpresa non ebbe dubbi e riconobbe la mano di Michelangelo. Invece di rimproverare il custode per la sua distrazione decise che un tale capolavoro andava preservato ed ordinò che non venisse toccato per nulla al mondo.

Ancora oggi la testa è visibile alla Farnesina. Si tratta di un disegno a carbone custodito nella sala della Galatea. I lineamenti del viso non lasciano dubbi circa la paternità, anzi rappresentano un preziosissimo biglietto da visita.

 
 
 

Pasquino, una statua irriverente

Post n°20 pubblicato il 13 Settembre 2007 da writer_980
 
Foto di writer_980

All’angolo di Palazzo Braschi si erge una statua malconcia ma ricca di storia. Sembra che raffiguri Menelao col corpo di Patroclo oppure Aiace col corpo di Achille. Il popolino però, l’ha sempre identificata come Pasquino, il sarto che nella seconda metà del XVI secolo possedeva una bottega proprio nei paraggi. Lui ed i suoi apprendisti lavoravano prevalentemente per l’alta Curia e, con commenti salaci e pungenti, ne giudicavano coloritamente l’operato.

In seguito tutte le critiche più irridenti ed aspre furono attribuite a Pasquino ed assunsero l’epiteto di pasquinate. Dopo la morte di Pasquino continuò l’usanza di appendere al piedistallo della statua le sentenze più argute ed ironiche sugli avvenimenti del giorno. Bersaglio prediletto il Papa di turno, tanto che Alessandro VI propose di gettare nel Tevere la statua impertinente. Abbandonò il suo intento solo dopo che una pasquinata lo avvertì che “come le ranocchie, Pasquino avrebbe gracidato ancora più forte nell’acqua.”

Tale satira proseguì fino al 1870, anno in cui sembrava risalire l’ultima pasquinata. Nel periodo fascista, però, il vecchio spirito di Pasquino tornò a colpire in risposta all’imbavagliamento della stampa e della radio.

Mentre Mussolini esortava gli italiani ai sacrifici per pagare la campagna in Etiopia ed il pane diveniva sempre più immangiabile, un degno emulo del celebre sarto appese una pagnotta al collo della statua di Giulio Cesare con la scritta:

Cesare!

Tu che ci hai lo stommico de fero

Magnete ‘sto pane dell’impero!”

 
 
 
 

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