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UNA COSTITUZIONE LIBERALE PER L’ITALIA

Post n°7 pubblicato il 05 Gennaio 2016 da aran.banjo78

UNA COSTITUZIONE LIBERALE PER L’ITALIA

    Chi sostiene che la nostra Carta Costituzionale, nata nel 1948, fu realizzata da forze politiche liberali, e soprattutto, che essa abbia al suo interno un’anima liberale, o è in malafede, o non sa cos’è il liberalismo. Nessuno nega che tra le forze politiche incaricate di redigere un nuovo testo costituzionale ci fossero alte figure del liberalismo italiano, ma sicuramente esse furono quasi ininfluenti nell’apportare il loro contributo liberale al testo. Sarebbe perfino troppo facile citare i numerosi scritti sull’argomento che andrebbero a confermare la tesi della non liberalità della Carta, e non sarebbe necessario neanche scomodare illustri scrittori ed economisti del calibro di Piero Ostellino o Antonio Martino, i quali, suffragherebbero all’istante la su detta affermazione. Perfino un quadrupede, infatti, leggendo il dettato costituzionale, si renderebbe subito conto, che quelle forze politiche uscite vincitrici dalle rovine della seconda guerra mondiale, e che avevano oramai in mano le sorti dell’Italia, non erano animate da alcun intento liberale nel momento in cui si apprestavano ad elaborare un nuovo testo costituzionale per la nuova Italia. Leggendo i primi 54 articoli del dettato, risulta subito evidente, infatti, che essi si configurano come un vero e proprio programma politico, nato prevalentemente dall’accordo tra la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista e il Partito Comunista, che alla Costituente del 1946 rappresentavano circa l’80 per cento della totalità dei seggi. Proprio la natura prescrittiva della nostra Costituzione (cioè una elencazione di cose che lo Stato avrebbe dovuto fare in futuro, sia nei confronti dei cittadini che delle famiglie, sia nell’economia che per le confessioni religiose) fece si, che in essa, automaticamente, non potesse comparire nessun messaggio o qualsivoglia tipo di suggerimento di indirizzo liberale per l’avvenire dell’Italia (una Costituzione liberale, infatti, non può essere di tipo prescrittivo come quella vigente in Italia!). D’altro canto, i valori nazionali e liberali, tanto cari al Risorgimento, e fondanti lo Stato liberale italiano, i quali erano incarnati dalla Monarchia Sabauda, furono di fatto esclusi dal dettato costituzionale, perché ritenuti, per evidenti ragioni storiche, incompatibili con le ideologie dei tre partiti politici oramai dominanti. I padri costituenti decisero quindi di elaborare il nuovo testo costituzionale basandolo su nuovi principi, che per certi aspetti erano ancora estranei al popolo italiano, si trattava dei principi democratici, e quelli del solidarismo sociale, che non erano però, e non risultano essere tutt’ora, valori inclusivi di tutte le possibili culture politiche, tanto che, ad esempio, un liberalismo di tipo thatcheriano inglese o reaganiano americano, sarebbero collocati perfino al di fuori dalla nostra Costituzione! Ma l’esempio più calzante, quello cioè che forse ci convince di più a farci pensare che la nostra Costituzione non è fondata su principi  liberali, è rappresentato dall’ultimo articolo del dettato, il 139°, il quale vieta ai cittadini italiani di scegliersi la propria forma di Stato. In realtà però, esso, e va detto senza alcuna ironia, sembrerebbe rappresentare solo l’apoteosi finale dell’illiberalità del nostro intero reticolato costituzionale. Dunque, di fatto, l’unica concessione che i cosiddetti padri costituenti fecero alle forze politiche liberali, fu solo quella di aver voluto conservare, pressoché interamente, l’impianto delle Istituzioni governative nate con lo Statuto Albertino nel 1848, (anche perché sarebbe stato troppo complesso e troppo rischioso utilizzare Istituzioni diverse e mai sperimentate prima!) migliorandone in alcuni casi le funzioni, e peggiorandole in altri. A proposito di riforme migliorative, o peggiorative, la recente riforma del Senato voluta dal governo Renzi (in attesa del Referendum confermativo), si rivelerebbe non tanto una riforma nefasta in se, piuttosto, sembrerebbe che sia il rapporto che il nuovo Senato potrà instaurare in futuro con gli altri organi costituzionali, tanto a livello nazionale quanto a livello locale, a creare le maggiori perplessità sulla validità della stessa, ma soprattutto, se non verrà corretta la nuova legge elettorale, sarà il fatto di avere una Camera bassa prona all’esecutivo (che sinceramente non ne sentivamo la necessità), ad apportare gli effetti peggiori sull’intero impianto democratico del nostro Paese. Abbiamo già dato in passato in questo senso, e sappiamo come finì. Di fronte allo sgretolamento progressivo delle nostre Istituzioni, sotto gli occhi indifferenti del popolo italiano oramai assuefatto e rassegnato ad un tragico destino, solo la convocazione di una nuova Assemblea Costituente che ridisegni l’intera architettura costituzionale, che ne riequilibri i suoi poteri, e che sia davvero ispirata da principi liberali, potrà salvare il popolo italiano da un inevitabile declino e renderlo di nuovo protagonista, e magari, farlo gridare ancora: Viva il Re! e Viva L’Italia!

 
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