Creato da aran.banjo78 il 16/12/2012
Pensieri e riflessioni

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

Ultime visite al Blog

sagredo58lazio856aran.banjo78nicole.clown85scrittocolpevolepepedgl16Elemento.ScostanteannaincantoBUCH.MULLIGANfrancesca632fugadallanimaunghieviolastella69apietro_il_grandegoodluck24
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« Messaggio #2PERCHÉ LA MONARCHIA? »

ISRAELE, SENZA SE E SENZA MA

Post n°3 pubblicato il 18 Luglio 2014 da aran.banjo78





                    La guerra nel Vicino Oriente ha un'unica soluzione possibile: il riconoscimento franco, definitivo, “senza se e senza ma” dello Stato di Israele da parte non solo dei governi dei Paesi arabi e islamici, ma anche dei “movimenti” religiosi, politici, militari che lo vogliono distruggere (Hamas è solo uno dei tanti, e neppure il più pericoloso, anche se è in prima fila per motivi territoriali). In sua assenza, lo Stato di Israele ha motivo di difendersi con tutti i mezzi disponibili, come qualunque popolo farebbe per la propria sopravvivenza. Israele ha una ragione in più. A differenza di tutti gli altri Stati della comunità internazionale, conta quattromila anni di storia, e la ricorda tutta, secolo dopo secolo, anno dopo anno, morti dopo morti. Israele non si batte per qualche chilometro quadrato in più o in meno, ma per la sua stessa esistenza. A cospetto degli scontri in corso nel Vicino Oriente, l'Europa mostra quello che è: non esiste. È in preda a una crisi acuta di afasia e di impotenza senile. Dal canto suo l'Italia farfuglia, annaspa, latita. Si volta dall'altra parte. Del resto non ha alcuna politica estera, né militare. È irrilevante.
  I cittadini dello Stato di Israele hanno diritto di vivere in pace. Non sappiamo quali sviluppi avrà questa fase di un conflitto che dura da settant'anni. Si sa come cominciano le guerre, mai come finiscano. Da regionali possono divenire continentali, mondiali. Con gli attuali mezzi di distruzione, possono iniziare come operazioni di polizia e terminare con la pulizia del pianeta. Un punto sul quale occorre avere idee chiare è che Israele combatte per la vita del popolo ebraico. Per comprenderlo vanno ricordate le radici recenti e remote di questa lunga guerra e domandarsi se la Comunità internazionale abbia fatto il minimo sufficiente per risolverla. Sintetizziamo l'inizio del conflitto tra lo Stato ebraico (che non vuol dire “israelitico”) e quelli confinanti e viciniori. Israele nacque in due tempi: il voto dell'Assemblea delle Nazioni Unite per la formazione di due Stati, l'ebraico e il palestinese (29 novembre 1947), e la fine del mandato della Gran Bretagna sulla Palestina (14 maggio 1948), quando l'Assemblea nazionale proclamò l'indipendenza di Israele con ben Gurion presidente. Dal 1917 la Dichiarazione Balfour aveva prospettato il “focolare ebraico”, non un Paese sovrano. Dal 1948, invece, gli ebrei ebbero la loro Patria, solennemente garantita dalla Comunità internazionale, ma subito aggredita militarmente da Egitto, Iraq, Siria, Giordania e Libano intenzionati ad annientarla. Circa 750.000 “palestinesi” (caleidoscopio di genti semitiche, come semiti sono gli ebrei) furono incitati ad abbandonare i territori precedentemente abitati con la promessa che Israele sarebbe stato spazzato via dalla Lega Araba e sarebbero tornati trionfatori. Si aprì la ferita mai rimarginata. Per gli ebrei Israele è la Terra Promessa ma ha ordinamento di Stato di diritto. Per gli islamici la “terra” è della comunità, fondata sulla religione: questione connessa a quella, altrettanto complessa, del califfato. Sono due posizioni radicalmente contrapposte, inconciliabili, fonte di guerra senza mediazione possibile. Se ne esce solo se tutte le parti in conflitto scelgono di ragionare da Stati. Israele lo ha fatto e lo fa (come del resto Egitto, Siria, Giordania e Libano) con relazioni diplomatiche “normali” con la comunità internazionale. Però non può averne con quanti (Stati e/o “organizzazioni”, movimenti, fronti...: ricordiamo l'OLP di Arafat? al-Qaeda di Osama bin Laden? L'Iran del precedente governo?) si propongono il suo annientamento. Questo è il punto. Al riguardo gli “occidentali”, Italia compresa, si sono condotti e di conducono con ambiguità: per opportunismo, per ignoranza e per non fare i conti con la propria stessa storia, nell'oscura consapevolezza di avere ormai nel proprio spazio una chissà quanto numerosa e forte presenza di integralisti islamici, accolti e vezzeggiati come “profughi”, migranti, ecc. ecc. Se fosse stato detto o se venisse affermato chiaro, tondo e una volta per tutte che Israele ha diritto di esistere, i suoi nemici (alcuni Stati anche remoti e il magma del fondamentalismo islamico) non si sarebbero sentiti e non si sentirebbero incoraggiati a scommettere sulla realizzabilità del loro obiettivo: buttare a mare gli ebrei del Vicino Oriente. Se Israele si sentisse davvero garantito dall'Occidente, al suo interno gli integralisti avrebbero avuto e avrebbero meno peso di quanto invece hanno conquistato in un Paese che si sente assediato e che pertanto al proprio interno sprigiona comportamenti belluini (come recentemente dimostrato dal criminale assassinio di un giovane palestinese).
  Lo Stato d'Israele è la cattiva coscienza dell'Occidente. Gli abitanti dell'Italia dovrebbero ricordare che il Colosseo (un mattatoio a cielo aperto) venne eretto da Vespasiano dopo l'annientamento del regno ebraico e la distruzione del Tempio di Salomone (una guerra culminata con la tragedia di Masada) e che, malgrado l'amante ebrea Berenice, suo figlio Tito (ricordato nell'arco che ne celebrò la vittoria del 70 d. Cr.) fu “clemente” dopo aver fatto terra bruciata. Nel 135 d.Cr. l'imperatore Adriano annientò l'ultima ribellione ebraica, guidata da Simon bar Kokhba. Gli ebrei della diaspora vissero quasi due millenni alla mercé di romani, cristiani e musulmani. La loro emancipazione arrivò solo con la proclamazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, cioè con la Rivoluzione francese del 1789, che abolì la discriminazione, ripristinata in Italia con la Restaurazione del 1814-1815. Nel regno di Sardegna gli ebrei ebbero diritti civili e politici solo dopo lo Statuto di Carlo Alberto di Savoia (1848), ma a Roma il ghetto fu definitivamente eliminato solo dopo l'annessione dello Stato Pontificio all'Italia (1870). Sessantotto anni dopo gli ebrei vennero retrocessi a cittadini di serie B con le leggi razziali del 1938, sulla cui base furono poi attuate le razzie del 1943-1945. Sono pagine ancora imbarazzanti, come ricordano Avagliano e Palmieri in Di pura razza ariana (Baldini e Castoldi).
  Parlare di questione ebraica significa fare i conti con l'intera storia dell'Otto-Novecento. L'Italia ebbe ebrei pionieri dell'apertura delle comunità israelitiche verso i valori universali dello Stato di diritto (fu il caso del cuneese Lelio della Torre) e contò patrioti non ebrei che si spesero per l'emancipazione degli israeliti. Tra questi meritano memoria il medico e parlamentare Giovanni Battista Borelli (Boves, 1813-Torino, 1891), autore di La questione semitica e la sua possibile soluzione (1883) e il grande calabrese Benedetto Musolino (Pizzo di Calabria, 1809-1885), autore di Gerusalemme ed il popolo ebreo. (*) Nel 1799 suo padre venne trafitto da trenta pugnalate e gettato dal balcone da masnadieri della Compagnia di Santa Fede del cardinale Ruffo. Sopravvisse. Ma nel 1848 fu assassinato dagli sgherri di Ferdinando II di Borbone, che ne fucilarono un figlio. Il suo palazzo venne dato una seconda volta alle fiamme. La moglie e un altro figlio morirono di crepacuore. Già fondatore con Luigi Settembrini dei Figli della Giovane Italia (nulla a che vedere con Mazzini), neocarbonaro, ateo, poi massone e senatore del Regno d'Italia, Benedetto scampò all'estero. In quella temperie ideò la restituzione alla terra natia (quella cantata da Giuseppe Verdi nel “Nabucco”) a “un popolo senza patria, disseminato su tutt'i punti, abitante sotto tutt'i climi... il popolo ebreo”. Se la “questione ebraica” fu tutt'uno con quella italiana (indipendenza, unità, libertà), dalla nascita, nel 1948, lo Stato di Israele è l'unico bastione dei diritti dell'uomo in Asia. Con tutte le differenze evidenti, esso ricorda la resistenza dei Templari a San Giovanni d'Acri. La sua caduta nelle mani degli islamici ebbe conseguenze epocali: centocinquant'anni dopo i turchi entrarono in Costantinopoli. E vi rimangono.
  L'Occidente ha dato e dà innumerevoli prove di miopia, inconcludenza, inerzia, pavidità. Non può però attendersi che Israele si rassegni e si lasci sacrificare. A un suo re, Salomone, sono attribuiti i Proverbi e il Cantico dei Cantici: poesia sublime. L'Ecclesiaste rimane un vertice del pensiero universale. Ma i suoi profeti hanno anche scritto l'Apocalisse. Israele ha almeno 70 delle 16.000 testate nucleari “pronte per l'uso” dell'arsenale planetario. Hamas dice che può battersi per mesi. Gli ebrei lo fanno da millenni.
   Chi disinnescherà la miccia? Anziché assicurare maggiore stabilità planetaria, da decenni USA e occidentali fomentano il disordine (dall'Afghanistan alla Libia, dall'Egitto alla Siria...). È ovvio che, in assenza di alleati affidabili e di amici veri, Israele senta di dover provvedere da sé alla propria sopravvivenza.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/realtaepensiero/trackback.php?msg=12894764

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
 
Nessun Trackback
 
Commenti al Post:
Nessun Commento
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963