Creato da paolikkja il 02/10/2004
-10 gradi. Ed e´ ancora autunno.

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Post N° 99

Post n°99 pubblicato il 29 Dicembre 2004 da paolikkja
Foto di paolikkja

All'alba del mio 100esimo post, la Decisione.

Ci stavo girando intorno da un po', qualche timido tentativo mal riuscito... Forse sì, forse no...
Ora ho deciso: il Momento è arrivato.

L'anno della Renna volge al termine.


...e di nuovo cambio casa...

 
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Post N° 98

Post n°98 pubblicato il 22 Dicembre 2004 da paolikkja
Foto di paolikkja

Devo dirmi che mi fa un po' tristezza passare per il mio blog, ora. Mi fa tristezza prendere coscienza che sono tornata da due settimane e un pezzo e vedere che i miei Racconti sono ancora orfani di un completamento e che la vita di chi passa ancora fiducioso di qua scorre, e io mi sto perdendo tutto.

Perdendo tutto quello che avevo imparato ad amare e sentire ogni giorno. Ma ancora di più sto perdendo me, inondata da un arretrato incolmabile, che non lascia scampo e fa solo affogare. Tempo, avrei bisogno di un tempo dieci volte maggiore rispetto a quello che ho. Dormo pochissimo ogni notte e ho sempre ancora qualche cosa che avrei dovuto fare, che avrei dovuto sistemare.

La densità delle mie giornate mi rende sorda e cieca. Forse è solo un momento. Che non mi fa onore, neanche se transitorio.

Ma sono anche questo.

Una canna al vento che ancora non ha capito in che fiume sta crescendo.

 
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Post N° 97

Post n°97 pubblicato il 06 Dicembre 2004 da paolikkja
Foto di paolikkja

(...altra piccola parentesi prima di riprendere i Racconti nei prossimi giorni. Perchè li riprenderò, un dovere morale verso me stessa, per non dimenticare, e verso i miei "affezionati lettori"... eheh. Questa piccola parentesi per dire che sono TORNATA. Che stamattina ho aperto gli occhi e ho visto il sole alto. Ho visto la piccola piazza illuminata da raggi caldi dal balcone della mia casetta di Firenze. Ho visto la torre medievale e i giardini, i cani che si rincorrevano e qualche anziana signora con la busta della spesa, che sorrideva alla vicina affacciata alla finestra. Ho visto tutto questo e ho respirato forte. E ho pianto. Di gioia. Di gioia profonda. Per avercela fatta. Per aver superato i miei limiti e aver resistito. Per aver vinto.

E ho pensato alla mia creatura, a questo blog di messaggi lunghi e brevissimi. Che racconta di me, di questa donnina fatta male, di tutte le sue contraddizioni, delle sue paure infantili e la sua voglia di capire e di crescere. 
Sono contenta di aver scritto e di aver condiviso con voi... mi è servito a ridere, ironizzare, riflettere, uscire dal mio guscio di ostilità e di terrore. Mi è servito a mettermi in gioco ancora una volta senza paura di cadere e di rialzarmi. Non posso fare altro che dire grazie a tutti voi, perchè anche grazie a voi ora sono tornata a casa con il sorriso sulle labbra e un camino acceso nel cuore.
I Racconti Lapponi dovranno continuare fino alla fine. Perchè non posso non ricordare ciò che mi ha aperto gli occhi e il cuore, ciò che mi ha fatto capire tutto ciò che tentavo di capire dalla fine di agosto. Ma non so se il mio blog avrà ancora senso di esistere. Renne e solitudine. Ora equilibrio e serenità. Lontano dal gelo, lontano da un mondo difficile ed estremo. Ora sono a Casa, è terminato il mio Viaggio, quel Viaggio che mi ha stravolto, ferito, turbato, cambiato. Ora sono di nuovo Qui. Dentro di me, cresciuta e nuova, sempre me stessa, ma non più la stessa.

Grazie ancora. Non smetterò mai di ripeterlo. Grazie.)

 
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Post N° 96

Post n°96 pubblicato il 03 Dicembre 2004 da paolikkja
Foto di paolikkja


(Piccola parentesi... i Racconti Lapponi riprenderanno al piú presto... Sono alla vigilia, ormai e le scadenze dell´ultimo momento si accavallano senza pietá... Domani aereo prestissimo: 7 e 50 partenza da Helsinki... e CASA! FINALMENTE CASA! ...ho molto su cui riflettere... la mente viaggia, ma serena. Forte. Sono cresciuta. E ho capito molto di me. Grazie al silenzio. Grazie al gelo. Grazie a voi. Grazie a me stessa. Sono pronta a ripartire piú tenace e caparbia di prima)

 
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Post N° 95

Post n°95 pubblicato il 02 Dicembre 2004 da paolikkja

6. LA SAUNA

Il primo spazio che incontriamo è un piccolo vestibolo. Una panca, su cui poggiamo gli asciugamani. Un attaccapanni, un mobiletto al muro, una mensola, un tappetino e, ovviamente, un cavatappi da parete.

Apriamo le birre, brindiamo e beviamo un sorso di incoraggiamento prima di iniziare a spogliarci.

Il mio senso del pudore è leggendario. Ma non si poteva fare altrimenti. Sauna è contatto con il proprio corpo, ritrovato equilibrio con gli elementi primordiali.

Solo la propria pelle. Non è concesso niente altro.

Altro sorso di birra.

Guardo Ka.

Apro la porta.

E una ventata di calore mi investe. La prima tentazione è quella di richiudere la porta, rivestirmi e tornare in casa.

Ma no. Non può andare così.

Entriamo.

Tutto è legno e penombra.

Il piccolo ambiente è rischiarato solo da una luce soffusa vicino alla parete.
A sinistra la panca di legno a due piani, appena sotto una finestrella. Di fronte alla panca, a destra, una stufa a legno. Sopra la stufa, sassi grigi. E in cima ai sassi, lui. Lo Spirito della Sauna. Un sasso con due occhi un naso e una bocca sopra cui versare acqua che come vapore uscirà dalla sua bocca. Ci proteggerà, mentre saremo lì dentro.
Primo mestolo di acqua sullo Spirito. Un getto di vapore. Altro mestolo. Altro getto di vapore. Il silenzio e la pace sono innaturali.

Senza bisogno di ricordare la sequenza dei gesti da fare prima di permanere nella sauna, automaticamente usciamo di nuovo nel vestibolo e cerchiamo la birra. Sorprese ci accorgiamo che abbiamo finito quasi metà della prima bottiglia.
E’ il momento.

Entriamo. Pronte a non uscire per un bel po’.

Avevamo annunciato che saremmo uscite dopo 5 minuti perché non saremmo mai state in grado di resistere per mezz’ora, che sembrerebbe essere il minimo sindacale per una sauna dignitosa.
Mestolo. Vapore.

Ci sediamo nella parte più alta della panca.
Manca il fiato. Il cuore batte impazzito. Non ce la faremo mai, continuiamo a ripetere.
Guardo incuriosita i mazzetti di ramoscelli di betulla. Ne prendo uno e inizio a muoverlo. Nell’aria uno sconvolgente profumo di foglie, corteccia, foresta. Natura. Non diciamo nulla. Ci guardiamo, al limite dell’incredulo. Stavamo resistendo, nonostante tutto. Mi muovo. Devo scendere per respirare un po’, e verso altra acqua.

Mestolo. Vapore.
Birra.
Mestolo. Vapore.

Il mio corpo sta vivendo una drammatica crisi. 27 anni di pressione bassa gli impongono di andare via, di scappare da quel girone infernale. Ma quel vapore è una droga. La tua pelle. La senti respirare. E la betulla sulla tua schiena è un momento catartico. Vieni invaso da quell’aroma eterno e imperituro, senti il respiro di milioni di persone nei secoli che ti culla mentre ti percuoti la schiena, e le gambe, e i piedi, e di nuovo la schiena.

Mestolo. Vapore.
Birra.

Ci sediamo di nuovo. E ascoltiamo il crepitio della legna della stufa. E il rumore lieve della nostra pelle che respira.

Mestolo. Vapore. Legna.
Birra.
Betulla, e ancora panca.

Un momento mistico.

Io e il mio corpo. La mente non c’entra. Nella sauna la mente non ha modo di entrare. Viene lasciata fuori a -7 gradi. Non c’è modo di pensare. La tua scatola cranica è satura solo di vapore. Catarsi pura. Purificazione. Silenzio. Vapore. Sudore e betulle.

Mestolo. Vapore. Legna.
Birra.
Birra finita.
Birre finite.

Mezz’ora abbondante è passata.

Doccia ghiacciata che annienta ogni residuo di energia.
Nel vestibolo solo due visi estatici e quattro bottiglie di birra vuote.
Con gesti lenti ci asciughiamo. Reindossiamo i vestiti di quando ancora non avevamo scoperto il Paradiso.

Usciamo dall’Eden.

Momento di gelo a -7 prima di aprire la porta del cottage. Dentro chiasso e rumore.

Giro la maniglia. Tutto si fa silenzio.

16 occhi puntati su di noi. Un momento lunghissimo in cui tutti gli occhi della stanza squadrano noi, i nostri visi, la nostra espressione, i nostri capelli bagnati, i nostri sorrisi beati. Alziamo le bottiglie vuote e sorridiamo.

Esplosione.

Applausi. Urla. Fischi di approvazione. Standing ovation.

Siamo diventate le loro eroine.

 

Un momento indimenticabile.

 
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Post N° 94

Post n°94 pubblicato il 02 Dicembre 2004 da paolikkja

5. LA CENA

Lasciamo le Candele bruciare nel silenzio e nel buio. Su di noi solo stelle. Tantissime stelle esplose in un blu mai visto, in un blu che lentamente aveva iniziato a colorare ogni angolo. Non più bianco. Solo un azzurro via via più intenso filtrato attraverso i rami spogli. Azzurro che lascia posto a un tenue blu, ma che rapido come un battito d’ali si trasforma in oscurità.

Sono le 15.

Varchiamo la soglia e un tepore meraviglioso ci cinge e ci accompagna al tavolo. Gli occhi di tutti si incrociano. E ci guardiamo. Per la prima volta.
Ci guardiamo e scopriamo che siamo tutti pelle, muscoli, cuore e risate. Una birra ancora sollevata al cielo alla salute di chi ha permesso tutto questo, e musica. Una calda musica jazz. E’ la band del papà del Lappone. Chitarrista.

All’improvviso, un bussare alla porta.
Uno di quei suoni banalissimi che in un posto del genere ti scuotono dal tuo stato di ebbra incoscienza, un suono che non ti aspetti.
Una folata gelida lo precede. E’ lui. L’eroe. E’ Veesa.

Un volto che è un’unica ruga di vento, freddo e vita. Asciutto, alto. Due occhi che sono due fessure ma che emanano tutta la saggezza e l’esperienza del mondo. Con un cenno saluta il Lappone, senza formalità, senza fingere. E’ felice che lui sia qui, e lo dimostra passando a salutarlo. E portando con sé due pentole enormi. Dentro, uno spezzatino di alce e un passato di patate lapponi. Le migliori di tutta la Finlandia, patate piccolissime a virgola che crescono inspiegabilmente dolcissime solo in questo posto remoto e gelido.

Il padrone di casa sapeva di questa visita, e in città aveva comprato una bottiglia di Vana Tallinn da donargli in segno di riconoscenza. Senza dire nulla gliela porge. Lui guarda la bottiglia perplesso. Il suo sguardo lasciava presagire quello che altrove sarebbe potuto accadere. Una serie di cerimoniosi ringraziamenti, con insinceri tentativi di restituzione. Veesa a quello sguardo perplesso fa seguire solo un impercettibile accenno di sorriso agli angoli della sua bocca segnata dal tempo. Prende la bottiglia, se la mette sotto braccio e senza dire nulla, senza ringraziare e salutare nessuno, senza farsi ringraziare da nessuno, esce.
Ho adorato quell’uomo.

Ci sistemiamo come meglio riusciamo per questa cenaperloro-pranzoperme, e gustiamo una delle meraviglie della natura. Mai mangiato alce prima di allora. Mai più lo mangerò così buono.
Momento di beatitudine generale. Nessuno sembra intenzionato a voler far proseguire in alcun modo il pomeriggio. La serata sembra destinata a sedersi un attimo con noi a scaldarsi accanto al camino. Quando l’Inglese, che era uscito e rientrato dal cottage apparentemente per fumare qualche sigaretta, rientra proclamando: la Sauna è pronta!

Io e Ka ci guardiamo. Lei terrorizzata, io incuriosita. Andare in Finlandia, starci per tre mesi e andare via senza mai aver provato una sauna è una scelleratezza. Andare in Lapponia, avere a disposizione la Sauna, quella vera, quella con la stufa a legna, in mezzo a una foresta di nulla, circondati dalla neve e dai laghi ghiacciati e non provarla è un crimine contro l’umanità.

Decido io per tutte e due. Si fa.

Ci facciamo spiegare come comportarci. Chiaramente nessuno ci avrebbe accompagnato. La sauna non è un’occasione di adescamento. La sauna è la sauna, come amano ripetere loro.

Ci spiegano che prima di entrare si devono bere due sorsi di birra, si entra, si versa dell’acqua sulle pietre roventi poste sopra la stufa, si riesce, si beve altra birra, si rientra e si inizia la sauna. Quando il tepore inizia a scendere, quindi ogni paio di minuti, si aggiunge altra acqua sulle pietre, si aggiunge un po’ di legna nella stufa, ci si siede sulla panchetta di legno. Poi ancora acqua. E quando il corpo lo chiede, battersi la schiena con dei ramoscelli di betulla, e poi battersi le gambe, e poi ancora la schiena.

Io e Ka ci guardiamo ancora. Pronte? Forse no, ma non possiamo tirarci indietro.

I ragazzi ci affidano due bottiglie di birra a testa, dicendoci che all’interno del vestibolo avremmo sicuramente trovato un apribottiglie. Non manca in nessuna sauna. L’imposizione è: rientrerete solo se saranno vuote le bottiglie. Le prendiamo per non sentirci insultare ancora prima di entrare, prendiamo asciugamani, e affrontiamo il gelo prima di entrare nella casupola della sauna.

E’ l’ora. E’ il momento.

La mia pressione bassa si inalbera e mi schiaffeggia. Ma non mi faccio intimorire. No, non più. Stavolta decido io.

Apro la porta. Ed entriamo.

 
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Post N° 93

Post n°93 pubblicato il 02 Dicembre 2004 da paolikkja

4. IL COTTAGE

Il momento surreale non si esaurisce con il paesaggio. Ci fermiamo in un angolo di nulla, circondati da abeti e fiumi ghiacciati. Usciti dalla macchina, la Meraviglia delle Meraviglie.

Una casina di legno chiaro con il tetto a punta. Un portico. Una vetrata enorme. Varcata la soglia, il Sogno. Pareti completamente foderate di legno. A terra, parquet e tappeti artigianali dai colori caldissimi. Un grande camino. Un tavolo sotto la finestra e cuscini, cuscini coloratissimi ovunque. E scale, scaline, scalette. Tutto un soppalco sotto il tetto a punta.

Continuo a vagare in giro per la casa con lo sguardo perso e felice, con la bocca aperta per lo stupore. Rido felice e non faccio altro che ripetere: bellissimo, bellissimo!!

Sistemiamo la spesa e i bagagli. La cavalleria del padrone di casa ci regala l’unica camera dotata di porta, nonché unica dotata di letto matrimoniale. Gli altri vengono distribuiti sui vari materassi nei sottotetti.

Subito camino. Poi caffè per riscaldarci. Corretto con la Grappa. Precisazione superflua?

Ma fuori, al vita vera è fuori. Continuiamo a guardarci intorno in silenzio. Solo stupore misto a felicità. Non c’è posto per altro.

Pensavamo che potesse bastare….e invece da sotto un telo verde, esce lei. Dal fascino antico ma irresistibile. Nera, lucida, seducente. E lei, che mai nella vita avrei pensato di riuscire a vedere da così vicino.

La Motoslitta.

Il Lappone balza su con fare spigliato. Un giro di ricognizione è d’obbligo. Poi. Il giro d’onore. Alle donzelle.

Io e Ka saliamo su da passeggere, sistemandoci alla bell’e meglio. Prima curva per uscire, breve rettilineo per immettersi nella strada principale, che in realtà era assolutamente identica alla secondaria. Poi, motore spalancato. E via. Via. Via. Aria ghiacciata sul viso, il rumore del motore vetusto ma ancora gagliardissimo. Vento, e ancora vento. Solo un grido dalle nostre gole raggianti ogni tanto, in curva o saltando su qualche asperità del terreno. E intorno, il bianco che scorre veloce. E il gelo che fende, spietato. Ma nulla importa. Nulla importa perché siamo solo noi rapidissimi sui viottoli innevati, noi che arriviamo di fronte a una vallata illibata, silente e maestosa, mentre il sole tramonta tra i monti che la incoronano e la luna fiera abbraccia i nostri occhi.

Il cottage di nuovo, con la mente sazia di assenze di colore mai conosciute.

Felicità. Incontenibile. E risa. Quante risa.

Nessuno sfugge all’impeto di gioia che si è impossessato di noi. Inizia la guerra. Tutte le palle di neve che non sono mai state lanciate ora viaggiano nell’aria contro tutto e contro tutti. La timidezza all’inizio ha la meglio. Ma poi nulla può più frenare questo rito iniziatico. Si colpisce, senza pietà. Donne contro uomini, uomini contro uomini, donne contro donne. E come bambini in gita ridiamo e ci vendichiamo, ci rincorriamo e lanciamo, facciamo agguati e scivoliamo ridendo ancora. E’ spensieratezza ciò che si respira insieme all’aroma di legna arsa, genuina allegria ciò che viene lanciata insieme alla neve ghiacciata sul viso e dentro il collo.

Quando ogni muscolo ha smesso di reagire ai nostri comandi prendiamo fiato e assistiamo alla creazione delle candele nella neve, Tronchi di legno incisi a stella conficcati nella neve. Sulla estremità emersa, intagliata, si posiziona una candela e la si cosparge di benzina. Poi, fuoco. E la fiamma che timida aveva iniziato ad alzarsi dalla cera, rapidamente penetra all’interno degli intagli del legno, tenace ma non aggressiva. Fiamme che fuoriescono dagli intarsi, che sinuose danzano riflettendosi nel bianco che le sostiene.

Fuoco e ghiaccio. Tutto inizia lì. E tutto finisce.


In piedi, circondiamo le Candele. Fissiamo le fiamme, rapiti. Nel silenzio più assoluto di un angolo di mondo lontano da tutto, solo il vellutato fruscio del fuoco. Ci guardiamo per un attimo. Alziamo la bottiglia di birra. E strappati alle nostre vite, sorseggiamo muti, senza pensare.

 
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Post N° 92

Post n°92 pubblicato il 02 Dicembre 2004 da paolikkja

3. ROVANIEMI (parte prima)

Fortunatamente il controllore bussa sempre due volte. Ci catapultiamo fuori dal treno totalmente stordite. Alle 8 a Rovaniemi è veramente buio.

Ci guardiamo intorno alla ricerca degli altri sventurati. Che, ovviamente, hanno riposto nella fodera tutta la disinvoltura e la spigliatezza della sera precedente. Solo un timido cenno di saluto. Poi, solo caffè e panino con cipolla e peperoni.

Due macchine 10 persone. Equamente ripartiti iniziamo a errare per le strade di Rovaniemi alla ricerca dell’undicesima persona, la Finnica, giovane moglie della Zavorra. Ci avrebbe raggiunto nel cottage solo il giorno successivo, causa esame all’università. Ma dopo pochi metri in macchina, ogni mancato saluto, ogni sorriso non ricevuto, ogni battuta non fatta perdono d’importanza. Solo ciò che si vede fuori dal finestrino conta. Solo questo ovattatissimo clima in penombra, solo la neve che è una naturale estensione in terra del cielo, solo i piccoli abeti sommersi di bianco. Io e Ka sembriamo due bimbe nel paese delle fiabe. Guardiamo fuori felici, indicando ogni piccola casa di legno addobbata, ogni vicolo che si perde nelle foreste di conifere. E una luna. Meravigliosa. Enorme, tra il rosa e il rosso, ferma a guardarci all’orizzonte, guardiana di un immenso lago ghiacciato, che solchiamo, silenziosi e rapidi.

Man mano che ci allontaniamo dal centro del paese, il paesaggio diventa via via più surreale. Nessuna luce diretta, il sole alle 10 ancora non accenna a sorgere. Ma un singolarissimo bagliore pervade l’atmosfera. Un cielo che sembra mare, che sembra nuvola, che sembra neve e poi sogno. Onirico. Siamo all’ingresso del nostro più bel sogno. E le case che si scorgono in angoli di foreste… Piccoli paradisi a punta, con vetrate enormi nate per carpire anche il minimo bagliore di questa terra estrema. Sono vetrate senza segreti, senza schermi. Il nostro occhio innocente e curioso rapisce ogni dettaglio. Luci di Natale, addobbi, lanterne che si affacciano e che gridano: ora è il nostro momento. Magia ovunque. Silenzio e magia. Qui e là, una renna ai lati della strada che ci osserva con occhi dolcissimi e tranquilli. Occhi di un animale che non ha paura, che non teme, che attraversa la strada come se avesse tutto il tempo del mondo. Ridiamo, felici, e non ci importa più se i nostri compagni di viaggio tacciono o parlano del ruolo della Finlandia nella seconda guerra mondiale. Il nostro scopo ora è solo quello di imprimere a fuoco ogni sfumatura di bianco nella nostra mente, di scolpire ogni dettaglio di questo universo parallelo nella nostra memoria.

Viaggiamo, viaggiamo, rapidi su queste strade ghiacciate. Una sosta corposa per cibo e bibite. Poi di nuovo strade nascoste nella neve. Strade, renne, strade, neve, renne, ghiaccio, neve, renne, abeti, renne.

E poi, il cottage.

 
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Post N° 91

Post n°91 pubblicato il 01 Dicembre 2004 da paolikkja

2. IL VIAGGIO

Molto galantemente, io e Ka veniamo assegnate alla stessa cabina. Accanto alla nostra il ragazzo danese, in passato ospite per un anno del laboratorio, Capitan Harlock e lo Schizzato, uno psichiatra che si è unito a noi a Tampere (portando su una busta della spesa colma di neve per mettere in fresco il Fontana di Papa, litro e mezzo in nostro onore…). Due vagoni più in là, altre due cabine, una con i due piloti, Coulthard dei Poveri (non solo perché pilota per questa occasione, ma proprio perché copia in brutto dello scozzese) e la Zavorra (da me ribattezzato per la pesantezza e la torrenzialità dell’eloquio), in un’altra il Lappone (il padrone di casa) e l’Inglese (data la sua metà british di DNA). La Compagnia del Caprone è pronta per il viaggio.

Primi momenti di evidente imbarazzo. Ognuno nella sua cabina. Io e Ka non sapevamo bene come comportarci. Sapevamo che se fossimo rimaste nella nostra cabina nessuno avrebbe sentito la nostra mancanza. Se fosse stato più tardi forse non ci saremmo preoccupate: avremmo dormito e basta. Ma erano le 19…e sentivamo un po’ di musica venire dalla cabina accanto. Risate, chiacchiere. E ci siamo dette: ma vogliamo o no socializzare con questi animali? La risposta è stata sì, e siamo uscite. La loro porta era aperta, e appena ci hanno visto sono rimasti in silenzio. Perplessità, poi il Danese: ragazze, volete sedervi? e così ci accomodiamo, io sul letto e Ka sul sediletto pieghevole attaccato al muro, e ci offrono una birra. Iniziamo così a parlare del più e del meno, delle fermate del treno, dei km che ci aspettano una volta arrivati a Rovaniemi, della musica. E poco dopo si uniscono anche gli altri. Assiepati, mezzi dentro e mezzi fuori lo scompartimento, 11 persone nel tentativo di stare in una cabina da 3. E man mano che le birre venivano svuotate, sempre più casino, sempre più canzoni tradizionali finniche cantate e ascoltate, sempre più risate e battute idiote. Da un certo punto in poi, sembra addirittura che ci tengano alla nostra presenza. Sembra che vogliano fare i simpatici e farci vedere come ci si diverte, come si possa ridere anche parlando di cose senza senso e intonando a squarciagola canzonette idiote di un Julio Iglesias finnico.

Io e Ka non facciamo altro che guardarci stupite: è la prima volta che passiamo così tanto tempo insieme a loro fuori dal dipartimento, la prima volta che condividiamo con loro qualcosa che non sia uno strumento, la prima volta che li vediamo su di giri. E ci stiamo divertendo. Inutile negarlo. Sappiamo bene che la maggior parte dell’euforia è solo un artificio. Ma perché non cercare di divertirsi lo stesso? Del resto il loro stato di ebbrezza, nonostante la quantità di alcool, resta sempre molto composto, molto contenuto. Sono allegri e scherzosi, ma non trascendono. Niente volgarità, niente violenza, nessun atteggiamento sconveniente. Sono semplicemente delle persone normali che hanno voglia di divertirsi. Probabilmente il prezzo che dovranno pagare per questo sarà la cirrosi epatica… e ancora rimane un mistero il motivo per cui non riescano a divertirsi senza ubriacarsi. Ma ci stiamo divertendo per davvero. E tutto il resto, per una volta, lo releghiamo in un angolo, e iniziamo a cantare anche noi.
Via via gli orchi si dileguano. I primi sono i piloti, responsabili fino all’esagerazione (scopriamo poi che se c’è un vago ricordo di alcool nelle tue vene il ritiro della patente per tre mesi è immediato… nessun particolare sentimento di responsabilità nei confronti dei passeggeri, quindi, solo paura di restare a piedi…). Poi il Lappone e l’Inglese, che erano quelli più andatelli. Restiamo quindi io e Ka insieme al Danese, a Capitan Harlock e allo Schizzato. Compagnia di tutto rispetto… eheh. E la chiacchiera spinta, va avanti fino alle 3. Non male come prima serata.

Ci ricordiamo che dovremo scendere dal treno alle 7.55 per evitare di continuare la corsa verso una destinazione polare non meglio identificata, e ce ne andiamo a nanna. Prima di posizionarci nelle cuccette, io e Ka ci guardiamo, incredule… e iniziamo a ridere. Senza fermarci.

La domanda da un milione di dollari nella risata era ovviamente: e domani mattina? torneranno ad essere gli animali di sempre?

Luce spenta.

Buonanotte.

 
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Post N° 90

Post n°90 pubblicato il 01 Dicembre 2004 da paolikkja

1. LA PARTENZA

L’appuntamento giovedì pomeriggio è alle 18 sotto il tabellone degli orari nella hall della stazione. Io e Ka siamo le uniche idiote a portarsi il bagaglio dalla mattina. Tutti e 9 gli orchi finnici (anzi, 8 finnici e 1 danese) si dileguano alle 14 per andarsi a preparare e soprattutto andarsi a sparare diverse birrette prima della partenza del treno. La mattina sveglia all’alba per andare a fare il bucato dall’altra parte della città. Ovviamente pioggia, fango, ghiaccio, e la vita rischiata innumerevoli volte. Lavoro fino alle 16, poi, armate di coraggio e di bagagli, partiamo alla ricerca dell’attrezzatura anti-ibernazione. Risultato: ogni mezzo pubblico immaginabile munite di borsone, zaino, sacco a pelo, borsa e macchina fotografica. Sotto la pioggia, inutile sottolinearlo. Finalmente, rifornite di ogni bene di prima necessità, ci appropinquiamo al tabellone. Prima di affacciarsi dico: “guarda che risate che si faranno questi… saremo le solite donne italiane che si portano dietro mezza casa per stare 3 giorni in mezzo alla natura selvaggia”. E l’unica persona in attesa era il padrone di casa, dotato di una megagiacca alla Messner e di un microzaino da trekking. Guardo Ka sconsolata e cerco invano una pala con cui sotterrarmi per la vergogna. Ma. Per fortuna un ma. Tutti gli altri erano già in un pubbetto nella hall della stazione, a bere probabilmente la loro 4 birra del pomeriggio con dei valigioni enormi!! ci riconsoliamo, anche se, ovviamente, nessuno ci degna di un sorriso per salutarci. Stupore? no, per nulla. I baldi giovani, all’apice del loro spirito organizzativo, avevano già caricato le due macchine sul treno… unico compito era coprire il buco orario dalle 18 alle 19.30. Cosa fare? Ma andarsi a prendere una birra fuori dalla stazione, naturalmente! Ci catapultiamo in un KebabPizza, tipologia che a Helsinki furoreggia, e ci sediamo. Incredibile ma vero, abbiamo anche modo di conversare durante le cena… Hanno anche aspettato che finissimo la nostra pizza turca, dopodichè divisione: metà in spedizione in un negozio Alko (i negozi monopoli di stato abilitati a vendere alcolici) e metà verso il treno con le borse di tutti.

Forse era solo un’impressione, ma gli orchi iniziavano quasi a sembrare delle persone normali. Considerato che il padrone di casa, dotato solo dello zainetto, ADDIRITTURA mi porta il borsone fino allo scompartimento… avevo le lacrime agli occhi per la commozione.

Binario 8, direzione Rovaniemi, Santa Claus Express.

Inizio dell’avventura.

 
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