Creato da aribeca il 04/11/2009

LaLuceNeiTuoiOcchi

Romanzo

 

 

Nostalgia di bellezza

Post n°91 pubblicato il 12 Marzo 2013 da aribeca
 

Nostalgia di bellezza... una mia riflessione sulle grandi attese del nostro periodo

http://www.ancoraonline.it/2013/03/11/caro-lucio-posso-scriverti-cosi-mi-distraggo-un-po/ 

Caro Lucio posso scriverti così mi distraggo un po’?

Di Alessandro Ribeca

Caro Lucio posso scriverti così mi distraggo un po’? Non so se te l’hanno detto: quaggiù c’è grande attesa. Stiamo aspettando due grosse novità, ma nessuno si aspetta un vero cambiamento. Siamo stanchi e non abbiamo più pretese. Arriverà un Papa nuovo e forse si farà addirittura un governo… Eppure ho una noia dentro che mi tormenta. Tu, per caso, sai che senso ha?

Vedi caro amico, secondo me oggi non basta più “inventarsi” che i preti potranno sposarsi. Qua non basta più inventare per continuare a sperare. Qua ormai è sempre tutto uguale. Non abbiamo voglia di cambiare e non c’è più neanche un santo da imitare.

Caro amico, è un anno che te ne sei andato e hai visto quante novità? Eppure quella vera, quella che attendiamo da una vita, non arriverà.
Io mi chiedo, però, se non sia stato sempre così, che il popolo abbia sempre condannato politici e potenti tra le schiere dei corrotti e dei ladroni. Mi chiedo se non sia stato sempre così, che il popolo abbia sempre guardato il Vaticano con sospetto e dubbio. Perché a guardar la storia e la letteratura c’è sempre stata la voglia di grandi cambiamenti. Ma questa volta, caro amico, la novità è venuta da sé, la chiamano crisi e nessuno ci sa dire come sia arrivata e quando finirà. Di certo riguarda tutti, soprattutto i più deboli.

Ora cosa dovremmo aspettarci? un Papa nero? O sarebbe meglio un Papa conservatore, o magari un Papa aperto al mondo? Li senti da lassù che discorsi tristi e inutili si fanno tra gli uomini? E questo governo? Quanta speranza potrà mai dare a un popolo avvilito? Pensi che qualcuno di loro ci salverà?

Caro amico, credi che il nostro Gesù, quando arrivò su questa povera Terra, trovò il popolo in attesa di un uomo come me, o come te? Te lo chiedo perché io negli uomini non credo quasi più, mentre la noia mi assale. Non pensi anche tu che sia strano annoiarsi quando si è in attesa di queste grandi novità? Forse perché so già che in ogni caso, mancherà comunque la sorpresa. Ti confesso che non attendo più nulla che non sia già visto. Così la certezza che l’imprevisto non accadrà, rende la mia giornata amara e noiosa.

Caro amico, hai visto che meraviglia però? Nonostante il malcontento generale e nonostante tu non ci sia più, piazza Maggiore si è riempita di questo popolo amareggiato e deluso, per festeggiare il tuo compleanno! Vedi caro amico, però, non voglio offenderti, ma sai qual è la verità? Io credo di aver capito: la piazza non si è riempita tanto per te, ma per quello che ci hai donato e cioè poesia e bellezza, proprio quello di cui abbiamo bisogno. Credo che quando siamo smarriti e ci manca la speranza, abbiamo bisogno di bellezza, perché solo la bellezza parla veramente ai nostri cuori. E quando abbiamo nostalgia di qualcosa è nostalgia di bellezza.

Qua è tutto così ovvio che non mi riesce più nemmeno di sognare. Eppure sento, sempre più forte, il desiderio di ascoltare le tue canzoni, leggere Pavese, Pinocchio ai bambini, volare nel blu della Cappella Sistina, rivedere La vita è bella, studiare le teorie di Newton, fermarmi a parlare con la vecchietta del parco, osservare un tramonto tra le colline, godermi l’ultima stella del mattino. Restare in silenzio e ringraziare il Creatore.

Ecco allora, caro amico, che ascolto le tue canzoni, perché ho nostalgia di bellezza e spero che la lascino stare, che non la tocchino, che non appicchino altri roghi per distruggerla, perché basterebbe un istante senza bellezza e sarebbe veramente la fine dell’umanità. Forse dobbiamo ricominciare da qui, dalla bellezza: è la nostra nostalgia che ce lo chiede.

 
 
 

Mi candido a elettore

Post n°90 pubblicato il 23 Febbraio 2013 da aribeca
 

da L'Ancora on line una mia amara riflessione sulla campagna elettorale: http://www.ancoraonline.it/2013/02/19/mi-candido-a-elettore/

Ieri ho avuto un incubo: i miei figli, ormai trentenni, avevano un cimelio del meteorite caduto in Russia qualche giorno fa e mi chiedevano: ‹‹a quei tempi, avevamo due e quattro anni. C’era ancora la possibilità di cambiare il mondo: tu cosa hai fatto? Sei stato a fissar le stelle?››

Ho sempre percepito il periodo pre elettorale come un momento di confronto, di speranza, di sogni realizzabili, di opportunità e soprattutto di cambiamento. Questa volta non ce la faccio: sono deluso. La crisi, la disoccupazione, la paura di un futuro incerto non hanno ancora cambiato né elettori né candidati. Parole, quest’ultime (elettori e candidati), che ormai sembrano contraddire il loro significato originale.

Gli elettori, infatti, dovrebbero e-leggere, cioè cogliere la realtà delle cose e saper separare ciò che è buono da ciò che non lo è. “Eleggere” ha la stessa etimologia di “intelligenza” e infatti per eleggere occorre intelletto, cioè occorre andare a fondo, andare dentro alle cose e comprendere la realtà. Ecco quindi che, forse, come elettori ci manca questo impegno, questo desiderio di uscire dall’analfabetismo della realtà per cogliere gli aspetti sostanziali della nostra vita.
Poi c’è la parola “candidato” che dovrebbe significare colui che indossa la veste candida, simbolo di purezza, mentre oggi nel nostro immaginario il candidato è tutt’altro che puro. Tra l’altro non solo si candida per essere eletto, ma addirittura pretende quell’incarico. E allora più che candidato, forse è un pretendente.
Purtroppo è andata così e ormai è finita. Abbiamo perso un’occasione per restituire a queste due parole il significato originale: i candidati continuano a non essere candidi e gli elettori continuano a non cogliere la realtà. Abbiamo già perso. Qualcuno vincerà, ma noi, il Paese, il nostro futuro, abbiamo già perso.

Ho assistito a una campagna elettorale incentrata sulle tasse, sui tagli, sul debito pubblico, mentre io speravo che qualcuno dicesse qualcosa di umano, speravo che qualcuno parlasse di futuro sostenibile, di ambiente, di energia pulita, che parlasse di crisi di valori prima che di crisi economica. Speravo che qualcuno trovasse il coraggio di dire che la strada per il benessere non è solo sviluppo e produttività, ma innanzitutto dignità dell’uomo e amore per il nostro pianeta. Speravo che qualcuno spostasse l’attenzione dai grandi problemi del mondo, per i quali ognuno di noi non si sente coinvolto in prima persona perché percepisce di non poterci far nulla, a quelli piccoli, sui quali, invece, siamo capaci di misurarci e di conseguenza risolvere. Questo però implica impegno personale, implica partecipazione e l’elettore non ha assolutamente voglia di partecipare.

Speravo, soprattutto, di trovare un candidato degno di tale parola, consapevole del rischio di prendere un voto soltanto, il mio, ma che la sera dello spoglio, sarebbe andato a dormire con la pace nel cuore, per non averci mentito. Invece non è andata così perché quest’uomo non l’ho trovato: ho trovato solo pretendenti.
Pur non avendo trovato nulla di tutto ciò che speravo, andrò comunque a mettere una crocetta sulla scheda. Sarà una crocetta che non esprimerà una fiducia incondizionata e distaccata, ma sarà una promessa di impegno e partecipazione: mi candido a elettore.

Nonostante le vostre deludenti chiacchiere televisive, cari pretendenti, io vi voterò e poi inizierò a sognare, anzi a desiderare perché desiderare vuol dire distogliere lo sguardo dalle stelle: desiderare è il contrario del fissar le stelle, è il contrario dell’immobilismo. Desiderare è fare. Desiderare è partecipazione.

‹‹Quando avevate due e quattro anni, ho avuto un incubo, ma poi mi sono svegliato e ho iniziato a desiderare.›› Questo dirò ai miei figli tra meno di trent’anni.

 
 
 

Santo Padre le confesso le mie paure

Post n°89 pubblicato il 23 Febbraio 2013 da aribeca
 

Da L'Ancora on line: http://www.ancoraonline.it/2013/02/13/santo-padre-le-confesso-le-mie-paure/

Ho provato un po’ di paura. È vero, ho cercato di non trasmetterla a chi mi chiedesse un parere sulla Sua decisione di rinunciare al ministero pietrino, però è andata umanamente così: ho avuto paura e mi sono fatto le stesse domande degli altri, le stesse domande di un fedele e le stesse di un ateo.
Ho messo in dubbio il Suo coraggio, ho messo in dubbio la Sua fedeltà, la Sua testimonianza. E per questa paura e per questi dubbi Le chiedo perdono, Santo Padre. Sono rimasto disorientato a tal punto che il primo istinto è stato cercare qualcuno a cui dirlo, quasi per scaricare il peso su altri. Ho bisogno di un uomo da guardare e seguire, ora lo comprendo. Nonostante la paura scopro maestosamente la bellezza della fragilità umana.
Lei e il Suo predecessore Giovanni Paolo II mi avete mostrato per vie diverse quanto Dio abbia bisogno della nostra umanità per rivelare il Suo amore. ‹‹Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza›› si rivolgeva Dio a S. Paolo (2 Cor 12,9). Solo attraverso questa umanità riesco ad aprire il cuore al Mistero. Scorgo l’umanità non solo dentro la Sua sofferenza fisica, ma soprattutto nella Sua sofferenza spirituale che avrà sicuramente segnato il cammino di discernimento che l’ha portata a tale decisione. Una decisione fuori dalle logiche dei nostri tempi che diventa ancora più evidente se la si confronta con la crisi di valori che sta vivendo il nostro Paese.
Io che ho meditato le Sue encicliche, che sono rimasto affascinato dai Suoi discorsi e dai suoi libri, che sono venuto a Loreto nel 2007 all’Agorà dei giovani per lasciarmi illuminare dalle Sue parole, che ho scoperto, grazie alla Sua testimonianza, quanto sia impregnata di realtà la fede che ci ha trasmesso in questi anni, non sono riuscito a comprendere fino in fondo il Suo gesto. Mi sono sentito anche un po’ tradito, si può dire? Eppure la perdita di equilibrio iniziale dovuta a uno sguardo smarrito, incapace di trovare un nuovo punto di riferimento, è stata superata dall’esperienza personale di una speranza che non è umana, ma divina. Questa sì che è divina! È stata superata dalla consapevolezza che a salvarci è la “porta della fede” che conduce a Cristo. È stata superata dall’esperienza continua di un Dio che non mi ha mai lasciato senza figure capaci di testimoniarmi un modo diverso di guardare la realtà e un modo diverso di vivere. Ogni volta che mi sono sentito smarrito ho provato paura, proprio come in questi giorni, ma il tempo mi ha rivelato come in ogni situazione giudicata inaccettabile e incomprensibile si celasse sempre l’amore di Dio per me. Un mio amico, lontano dalla Chiesa, mi ha fatto mille obiezioni sulla Sua decisione.
Gli ho risposto che comprendevo le sue posizioni perché vede il mondo senza gli occhi della fede, ma lui, invece, non può comprendere me e tanto meno Lei, Santo Padre. In realtà, anche io come il mio amico non sono capace di leggere fino in fondo la storia e soprattutto un evento così sconcertante, ma ho una certezza perché me l’ha trasmessa Lei: ‹‹Il futuro è di Dio.››

Concludo Santo Padre questa lettera immaginaria che mi sono permesso di scriverLe in quanto, oggi più che mai, la sento così umano e così vicino a me, per dirLe semplicemente che la Sua scelta ha una rilevanza storica e universale immensa, sulla quale non mi addentro perché sono un semplice cattolico che vive la propria fede in famiglia, nella parrocchia, nel quartiere e non capisco molto di queste grandi questioni, ma la Sua scelta, altrettanto immensamente, ha a che fare con me, con la mia vita e la mia fede. Così, continuando a meditare cosa dice prima di tutto il Suo gesto a me, desidero ringraziarLa per la Sua testimonianza di umiltà e di fede che mi ha donato.

 
 
 

Mi illumino di pace

Post n°88 pubblicato il 02 Febbraio 2013 da aribeca
 
Foto di aribeca

Diocesi di Ascoli Piceno - Azione Cattolica - M'ILLUMINO DI PACE
Gli amici dell'Azione Cattolica di Ascoli Piceno, mi hanno invitato alla manifestazione M'illumino di pace e ieri 1 febbraio ho vissuto un'esperienza bellissima Ho ascoltato un nostro amico senegalese e dei ragazzi filippini che ci hanno raccontato la loro esperienza di immigrazione, ho ascoltato Gianni che ci ha racconato la sua esperienza di disabilità, poi Lucia la sua esperienza di malattia, infine Giulio Petrucci la sua esperienza di piccolo imprenditore che alle prese con la crisi...
Questo è stato il mio intervento:

Questa sera mi sono messo in un bel pasticcio. Io non sono capace di parlare: quando andavo a scuola i compagni di classe non vedevano l’ora che i prof mi interrogassero per prendermi in giro. E poi voi siete pure tanti… Chi me lo ha fatto fare? Ogni volta mi chiedo “ma chi me lo fa fare?” A voi non è mai capitato di farvi questa domanda? In realtà è una bella domanda perché te la fai solo quando stai facendo qualcosa che conta, che ritieni importante. Qualcosa che ti fa sentire vivo. Se ti fai questa domanda ti senti vivo. Se te ne stai a casa davanti la Tv non ti farai mai questa domanda e va a finire che te ne fai un’altra di domanda: che senso ha questa vita? E ti trovi anche la risposta: non ha senso…

Mi sono messo in un bel pasticcio perché in fondo la mia vita è molto semplice: non ho mai fatto nulla di eccezionale.

Mi sento anche un po’ a disagio perché questa sera abbiamo ascoltato tante testimonianze di buio, di difficoltà, di disagio, quello vero e non quello che provo ora io. Sarebbe stata una serata molto bella, se non avessi dovuto parlare. Molto bella perché a me piacciono le storie. Le storie sono fatte di “ciccia” e noi non abbiamo bisogno di tante parole, ma abbiamo bisogno di “ciccia”. Ma noi dove ci poniamo di fronte a queste situazioni? Innanzitutto mi toccano? Mi riguardano? Hanno a che fare con me, con la mia vita? Perché altrimenti stiamo perdendo tempo.

Non siamo più capaci di alzare lo sguardo. L’altro giorno ero al ristorante con la mia collega. “risotto” dico e il cameriere: “volete il risotto?” – “No! RI-SOT-TO… scusa stiamo giocando a Ruzzle, trenta secondi, aspetta trenta secondi.” Non siamo capaci di alzare lo sguardo verso la realtà. Scusate se divago sto già sbagliando tutto: mi hanno detto che ho dieci minuti, ma so già che li supero…

Mi hanno chiesto di portare un po’ di speranza, un po’ di luce dentro a questo buio. C’è una distanza inimmaginabile da colmare, non ne saremo mai capaci. Di tutto il buio che c’è possiamo illuminarne ben poco. Ma forse non è tanto l’esito che conta, ma quanto impegno ci mettiamo, la ragione per cui lo facciamo.

E cosa dovremmo fare? Cosa possiamo fare noi?

Ecco! Questa è una domanda alla quale occorre rispondere. C’è un’urgenza e si chiama realtà.

Le mie esperienze, posso dire che sono iniziate con l’impegno di educatore ACR dall’età di diciassette anni. In questi anni sono accadute tante cose, esperienze di luce e esperienze di buio. Sono stato presidente di AC parrocchiale per diversi anni e lo sono ancora. Sapete quanti tesserati ha la mia parrocchia? Due! Uno sono io. L’altro neanche lo sa. È mia moglie.

Questa sera preferisco raccontarvi quello che sto vivendo in questo periodo. Sono membro del comitato di quartiere. È un’esperienza nuova. Quando siamo partiti non sapevo neanche cosa dovevamo fare: eravamo tutti nuovi. In pochi mesi siamo riusciti a dare un po’ di vitalità al quartiere, a coinvolgere gli abitanti in varie iniziative, e soprattutto a coinvolgere i giovani. Tra le varie iniziative abbiamo recuperato la tradizione della Festa del Patrono al Paese Alto e i ragazzi del quartiere, dell’Oratorio e dell’Azione Cattolica ci hanno aiutato con grande impegno. Un impegno che non si era mai visto prima in parrocchia. Avevano magliette rosse addosso e chiunque è venuto alla Festa non ha potuto fare a meno di stupirsi di questa presenza gioiosa e numerosa. Anche il Sindaco lo ha notato: tra le tante cose che poteva dire, ci ha parlato del suo stupore di fronte a questi ragazzi.

Sono certo che voi giovani, quando vedete qualcosa di bello e buono e quando incontrate adulti che sanno testimoniare con la vita ciò che dicono a parole, non avete dubbi su chi vale la pena seguire e soprattutto fidarsi. Sono certo che siete pieni di voglia di fare cose belle e quando vi viene proposto di impegnarvi in ciò che riconoscete utile e interessante, anche se faticoso, non vi tirate indietro.

Abbiamo tutti bisogno, non solo i giovani, io ne ho bisogno, di persone capaci di illuminare la nostra vita, abbiamo bisogno di persone che ci testimoniano con la loro vita, con il loro impegno, che c’è un modo nuovo, vero, diverso di vivere. Un modo che rende cento volte di più.

Dopo la festa, con i membri del comitato si discuteva come ricompensare i ragazzi. Volevano fare ad ognuno di loro una ricarica telefonica. Poi è prevalsa un’altra proposta capace di valorizzare le loro responsabilità. Li avevamo caricati di responsabilità e hanno saputo rispondere a questa nostra richiesta. Dovevamo affermare la nostra fiducia in loro, non si trattava semplicemente di ringraziarli. Così abbiamo fatto il conto di quanto ci sarebbero costate le ricariche e abbiamo consegnato loro questa cifra da utilizzare per le attività dell’Oratorio. Hanno acquistato un impianto acustico e il resto lo usano per le spese varie, tipo ricomprare le palline del ping pong…

Adesso stiamo per acquistare un defribillatore per la scuola e il campo sportivo. Poi con i ragazzi dell’ACR abbiamo avviato un progetto. Mi hanno detto che nel cammino ACR è prevista una ricerca sul territorio delle varie problematiche del quartiere. Ho incontrato i ragazzi e ho annunciato a loro che il comitato di quartiere farà un’assemblea con loro e ascolterà ciò che hanno ricavato dalla ricerca e realizzerà una proposta che ci faranno. Questo ha l’intento di far sentire i ragazzi impegnati e considerati. Sapete a volte come vanno a finire queste cose: si fanno e restano in parrocchia. Così non hanno senso e il ragazzo dice: ma a che serve?

Ecco! Qui tocchiamo un altro aspetto: l’impegno laico del cattolico! Cosa stiamo a fare dentro le parrocchie? Dobbiamo uscire, dobbiamo stare dentro la realtà, nelle associazioni, nei quartieri, nelle piazze! Più che di Azione Cattolica dobbiamo parlare di Laici in azione! Tutti i cattolici dovrebbero fare azione cattolica. Azione! Ma voi pensate che tutti i santi e i beati di Azione Cattolica, quelli più vicini a noi (La Pira, Toniolo, Gianna Beretta Molla…) sono considerati santi perché stavano dentro le aule parrocchiali a fare i catechisti o gli educatori o perché sono stati laici in azione? Gesù quando ci ha enunciato le beatitudini non ci ha detto beato chi sta sempre nell’aula parrocchiale a pregare. Ha detto beati coloro che hanno fame e sete di giustizia. E la giustizia si realizza con una vita in azione, impegnata. Con una vita che ti fa sorgere la domanda: chi me lo fa fare?

E noi lo sappiamo chi ce lo fa fare. Dobbiamo avere sempre chiara la ragione per cui facciamo le cose. E la ragione che muove noi cristiani è l’incontro con persone eccezionali che donano la luce ricevuta, persone eccezionali che hanno incontrato Cristo. La ragione che muove un cristiano è Cristo stesso. L’incontro con Lui. A noi cristiani non interessa l’esito. Noi cristiani non facciamo le cose per ottenere un risultato, per vedere che il nostro quartiere sia più bello, più pulito e più civilizzato. No! Noi cristiani facciamo le cose perché abbiamo costantemente presente l’origine e cioè l’incontro con Cristo.

Ecco a cosa servono le aule parrocchiali: a ricordarci questo! Ricordarci che se mi impegno nel comitato di quartiere c’è una ragione ben precisa e che quello che faccio non dipende da me! Questo deve ricordare ai cattolici il parroco, l’associazione Azione Cattolica e qualsiasi altro gruppo o movimento…

 

E io sono convinto, perché ne ho fatto esperienza, che voi giovani siete la grande risorsa. Voi giovani sapete chi seguire. Sapete che per essere felici bisogna seguire chi è felice. Chi è felice veramente! E voi lo sapete riconoscere. Il vostro cuore, lo sa riconoscere!

E noi adulti abbiamo bisogno di voi, della vostra bellezza.

 

Concludo dicendo che questa povera esperienza che vi ho raccontato è ben poca cosa rispetto a tutte le situazioni di buio che ci sono state raccontate questa sera. Ha cambiato leggermente lo sguardo di qualcuno nel nostro quartiere: niente più. I comitati esistono da sempre, ma se noi, se io sto lì è perché ho visto persone prima di me che si impegnavano in questo. È ben poca cosa rispetto a tutte le testimonianze di disagio che abbiamo ascoltato. Però io dico questo: ognuno di noi è chiamato a fare ciò che la realtà gli mette di fronte. A fare ciò che può fare. Non possiamo inventarci nulla: le nostre idee, i nostri progetti, non hanno senso. Dobbiamo guardare semplicemente la realtà perché noi siamo chiamati a rispondere alle sue esigenze e non ai nostri desideri. E questa è la mentalità che bisognerebbe seguire sempre, anche nel comitato di quartiere: non inventiamoci nulla, ma rispondiamo alle esigenze della realtà. E facciamolo il meglio possibile. Non tutto dipende da noi, ma quello che dipende da noi dobbiamo farlo il meglio possibile. Siamo chiamati a questo.

È vero, non posso, ad esempio, risolvere il problema dell’inquinamento, ma posso fare la raccolta differenziata, posso ridurre l’uso dell’auto, posso scegliere di acquistare prodotti confezionati con materiali biodegradabili… Il resto non dipende da me.

 

Poi è vero, dicono che non elimineremo mai tutto il buio del mondo. È vero dicono che troveremo tante difficoltà, è vero dicono che nessuno ci dirà grazie, è vero dicono che spesso la luce che accendiamo verrà subito spenta da qualcun altro. È tutto vero! Ma io la penso come Jovanotti:

 

dicono che è vero sì ma anche fosse vero non sarebbe giustificazione

per non farlo più, per non farlo più.

 
 
 

Liberaci dal Nada

Da L'Ancora on line: http://www.ancoraonline.it/2012/12/21/liberaci-dal-nada/

C’è una possibilità, c’è una risorsa che restituisce speranza tra gli uomini. Si tratta di un desiderio. Un grido che parte dal cuore e attende. Attende una risposta.

Pochi giorni fa rileggevo (era stata una lettura giovanile e avevo ben altra consapevolezza) un racconto di Hemingway nel quale un personaggio si rivolgeva al nulla, nada lo chiamava, e questo nulla era Dio.

Si tratta di un cameriere anziano. Discute con il collega giovane perché vuole sbrigarsi a chiudere il locale. L’anziano invece vuole restare aperto ancora un po’: il loro compito è donare luce a chi vaga nella notte alla ricerca di un posto pulito e ordinato come il suo bar, spiega. Il cameriere giovane però non ci sta. Lui ha una moglie che lo attende a casa: ha fretta. Se l’attesa ci dona speranza, l’essere attesi ci dona amore, ci dona un senso a quello che facciamo. Niente più di una famiglia può esprimere al meglio la gioia di sentirsi l’atteso. Eppure non basta perché ciò che più conta per ogni uomo è la risposta a un intimo desiderio, un desiderio di infinito al quale da soli non siamo capaci di rispondere.percepisco una comune consapevolezza: ci siamo evoluti, abbiamo fatto mille scoperte

Mentre faccio questa lettura mi capita di ascoltare anche l’ultimo singolo di Jovanotti e , certo, eppure “ho questo vuoto tra lo stomaco e la gola, voragine incolmabile”. Nulla può colmare questo vuoto, soprattutto non posso riempirlo da me. Per dirla alla Jovanotti: “nessuno si disseta ingoiando la saliva”. C’è la consapevolezza che solo qualcosa fuori da me può dissetarmi. Solo un Tu.

Tornando al nostro cameriere anziano, alla fine si convince e chiude il bar. Però è ancora presto e se ne va gironzolando nella notte, alla ricerca di altri locali, nonostante sia convinto che solo il suo è un buon locale perché gli altri sì, saranno ben illuminati, ma non sono altrettanto puliti e ordinati. Non basta un locale ben illuminato, deve essere anche pulito e ordinato, dice. Con queste riflessioni si accorge di avere paura, paura di un vuoto, del nulla, di una promessa non esaudita. Così si rivolge al nada. “Nada nostro”, dice. C’è un controsenso in questa espressione che lo stesso autore ammette descrivendo un sorriso amaro sul volto del personaggio, perché in fondo rivolgersi a qualcuno è già un riconoscimento di esistenza: puoi anche chiamarlo nulla, ma così facendo stai già affermando che Egli è. Lo sfogo si conclude con “liberaci dal nada” e questa volta quel nada non sostituisce più la parola Dio, ma la parola “male”. Questa richiesta finale, uscita quasi per sbaglio dalla bocca del cameriere anziano non è altro che un grido: liberaci dal male, da questo nulla, da questo vuoto. Dai risposta a questa mancanza, a questa sete, perché la mia saliva non mi disseta!

Eppure, il cameriere, nonostante questo grido finale, non sa trovare la strada per uscire dal nada, non si accorge che c’è bisogno di un Tu. Certo, dice che occorre una luce che illumini bene, però dice anche che non gli basta. Non ha bisogno solo di luce, ma anche di pulizia e ordine. Anzi, questa luce non solo non gli basta, ma addirittura diventa un problema perché la luce ci mostra la realtà, ci mostra ciò di cui siamo fatti e inevitabilmente illumina anche lo sporco della realtà. Se non accettiamo questa conseguenza, se non accettiamo l’imperfezione della realtà, le nostre debolezze, i nostri difetti, la crisi, i disagi, le malattie, la solitudine, l’indifferenza, non possiamo accogliere la luce. Se la nostra pretesa è una realtà pulita e ordinata, non abbiamo scampo: l’unica certezza diventa il nada.

Non abbiamo scampo perché non possiamo soffocare questo desiderio di cui siamo fatti, perché non possiamo far finta di non avere questo vuoto tra lo stomaco e la gola, perché altrimenti la vita diventerebbe tormento, proprio come il cameriere anziano che cerca di ingannarsi liquidando il tutto e concludendo con un “forse è solo insonnia”.

E allora, qui, o si ascolta questo grido e ci si mette in attesa, o si cade nella disperazione. Qui e ora, occorre mettersi in attesa di qualcuno che ci salvi, che ci liberi dal nada, senza la pretesa che cancelli i problemi della vita, la fatica e la polvere della realtà. Qui e ora, occorre mettersi in attesa di qualcuno che ci salvi, che ci liberi dal nada, perché ogni giorno sperimentiamo che non possiamo dissetarci con la nostra saliva e questa esperienza dovrebbe donarci una speranza, la speranza di un Tu che ci salvi. L’attesa così diventa ragione di vita, diventa sostegno, diventa gusto. Ed è proprio questa attesa di cui siamo fatti a donarci speranza perché questo desiderio non è altro che una promessa che ci è stata donata, è la risposta a un grido: liberaci dal nada, da “questa voragine incolmabile”.

 
 
 

Laici in azione

Post n°86 pubblicato il 09 Dicembre 2012 da aribeca
 

Laici in azione

(L'Ancora n. 43 del 9 Dicembre 2012)

http://www.ancoraonline.it/2012/12/05/laici-in-azione/

 

Qualcosa sta cambiando. È da un po’ che lo penso. È vero, camminiamo su strade dissestate e poco illuminate, tra muri imbrattati, auto che viaggiano a folle velocità anche in vie abitate. Spesso camminiamo senza guardare avanti a noi, un po’ perché siamo talmente indaffarati che non possiamo distrarci e un po’ perché bisogna evitare di calpestare i ricordini lasciati dai padroni dei cani. È vero, i cassonetti dell’immondizia traboccano di rifiuti, i parchi sono poco curati e abbiamo paura di fare brutti incontri. Mancano parcheggi e il traffico è insostenibile. A sentirmi descrivere il mio quartiere all’assemblea pubblica, forse non si va lontano nel descrivere anche altri quartieri, penso. I cittadini si sentono abbandonati e traditi dalla politica. È vero, sì, ma qualcosa sta cambiando. Lo avverto ascoltando le persone, ascoltando il loro entusiasmo, il desiderio di fare, di rendersi protagonisti nel piccolo. Lo avverto osservando il loro impegno e questo non può che attrarre, non può che invogliare. Si tratta di contagio, perché la sfera del possibile contagia. A guardare il bene che viene fatto, ci si rende conto che il bene è possibile. E questa possibilità coinvolge, rende partecipi, entusiasma. Parlo di un impegno sociale, laico, civile. Non si tratta di inventarsi l’idea geniale che poi tra il pensarla e il realizzarla ci passa il mare e spesso si scopre essere inutile. Si tratta di guardare la realtà, quella che ci sta davanti agli occhi, sulla via di casa, o lì intorno, e rispondere alle sue esigenze. Nei nostri limiti, certo, perché non tutto dipende da noi, ma quello che dipende da noi tocca farlo con il massimo impegno. Tutti: laici cattolici e non cattolici, per il bene comune. Gratis, senza neanche un grazie o un applauso, perché sarebbe già troppo. Farlo come un dovere, un servizio; umilmente. Farlo con la gioia negli occhi, perché quella è contagiosa. Dentro la fatica e l’impegno la gioia dice chi sei! E questa gioia io la vedo solo in chi si impegna con amore.

Laici cattolici e non cattolici, dicevo, ma io credo che i cattolici, ancor di più, dovrebbero trovare il coraggio di distinguersi nell’impegno sociale, trovare il coraggio di impegnarsi dentro le associazioni, nei comitati, in politica. Dovremmo essere cattolici in azione. Tutti insieme dovremmo fare azione cattolica perché questo è chiamato a fare un laico cattolico, azione cattolica. E per fare azione cattolica occorre uscire delle aule parrocchiali, occorre spostare l’attenzione dalle regole e dai principi, verso l’esperienza dell’incontro e impastarsi con la realtà.

Facciamo azione cattolica, impastiamoci con la realtà, perché la fede ci chiama alla realtà. Il Figlio di Dio si è impastato con la realtà, perché è dentro la realtà che siamo chiamati a vivere. Come ci raccomanda il Papa, però, dobbiamo avere sempre chiara la ragione del nostro agire perchè “capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune.” (Benedetto XVI – Porta Fidei) Noi cattolici in azione, quindi, non dobbiamo preoccuparci delle conseguenze perché ciò che ci muove non deve essere l’esito, ma la ragione iniziale, l’incontro con una Notizia che è Gesù stesso.

Mi piace concludere questa riflessione con una frase di Giuseppe Toniolo, uno dei tanti candidati alla santità promossi dall’Azione Cattolica (l’associazione) perché vero uomo di “azione cattolica”, professore universitario, impegnato nella vita sociale, padre di sette figli, uomo comune, come tutti noi credenti, ed è proprio a noi che si rivolge: “Noi credenti sentiamo, nel fondo dell’anima, che chi definitivamente recherà a salvamento la società presente, non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo. Anzi una società di santi”.

È proprio osservando questa goccia di società fatta di santi, e osservando chi in questi anni, nel mio quartiere, ha creduto in una possibilità di cambiamento, pur camminando tra strade dissestate e poco illuminate, tra muri imbrattati, auto che viaggiano a folle velocità, tra cassonetti dell’immondizia che traboccano di rifiuti, che mi viene da pensare che qualcosa stia cambiando e mi fa nascere dentro il desiderio di fare sempre più azione cattolica.

 
 
 

E se la fede c’entrasse anche con i terremoti?

Post n°85 pubblicato il 04 Novembre 2012 da aribeca
 

E se la fede c’entrasse anche con i terremoti?
(L'Ancora n. 38 del 4 novembre 2012)

Silvia ha il giornale in mano, indica l’articolo della sentenza sui geologici che non hanno previsto il terremoto a L’Aquila, o che non hanno avvertito la popolazione del pericolo imminente, non mi è ben chiaro. Silvia ha il giornale in mano e mi parla di Matteo che non c’è più. Ha ancora un ricordo vivo di lui. Matteo studiava e non aveva paura di stare là, perché dicevano che non c’era nulla da temere, perché la situazione era tranquilla, perché era tutto normale: “una scossetta al giorno c’è sempre”. Lo leggeva sui giornali, al bar dell’Università. Magari, tra amici, ci si scherzava anche su… Ne parlava con Silvia, pure il giorno prima ne aveva parlato. Si fidavano dei geologi, della televisione, del buon senso. Forse se avessero dato un piccolo allarme, se avessero trasmesso un minimo dubbio, non sarebbe andata così. Certo, le case sarebbero crollate, ma molti si sarebbero salvati. Forse il suo amico si sarebbe salvato. Forse… già, forse… Provo a dirle qualcosa, con il dubbio di sbagliare, un dubbio umano. Parto da una domanda.

Cara Silvia, questa sentenza, oggi, cosa ci sta dicendo? A me sembra che sia una sentenza che rispecchia una mentalità ben precisa. A me sembra che ci sia un pensiero dominante ormai, un pensiero che si è diffuso negli ultimi decenni secondo il quale l'uomo può tutto: non c'è un Dio, non c'è un fato, non c'è un destino... ognuno lo chiami come vuole... A me sembra che ci sia sempre bisogno di trovare una colpa umana a tutto ciò che ci accade e un uomo colpevole, forse perchè ci aiuta ad affermare l'onnipotenza umana rendendoci più tranquilli.
Io questo modo di pensare lo trovo un inganno, un'illusione bella e buona.
In verità, a me capita il contrario: se tutto dipendesse da me, non mi sentirei molto tranquillo. Anzi, ho proprio bisogno di dipendere da qualcun altro. La mia è una logica diversa, strana direi per questi tempi. È la logica della fede. Solo la porta della fede (come la chiama Benedetto XVI nella sua ultima lettera) può darci una possibilità in più e cioè quella di aprirci all'ignoto, in quanto non riusciamo a spiegarci tutto, e affidarci a un Altro.
In una puntata del Dr. House, il Dr. House è sotto ispezione perché, a causa dei suoi metodi diagnostici poco ortodossi, un paziente è morto. Di fronte all'ispettore, il Dr. House dice che gli ispettori hanno sempre bisogno di trovare un colpevole, ma non è detto che ci sia sempre questo colpevole. Anzi! Egli è certo, invece, che i suoi metodi funzionano proprio perché molti si salvano e qualcuno muore. Pensare di salvare tutti sarebbe solo presunzione che porterebbe ad un delirio di onnipotenza. Qualche volta il fallimento ci ricorda la nostra umanità, la nostra fragilità con la quale dobbiamo purtroppo fare i conti. Ed è qui che la fede mi sostiene.

Purtroppo c'è anche un aspetto ironico in tutta questa storia, perchè è stata una parte della comunità scientifica ad aver sostenuto sempre di più, negli ultimi decenni, un diffuso positivismo, e cioè l'idea che tutto è sotto il controllo dell'uomo, che nulla ci sfugge, dalla genetica all'Universo, fidandosi ciecamente nella scienza stessa. Ed è proprio la scienza che oggi viene bastonata dalla sua mentalità.

Ora Matteo non c'è più e forse non ha bisogno delle sentenze umane per sentirsi in pace, non ha bisogno di trovare un colpevole. Queste cose sono necessarie a noi, giustamente, ma altrettanto giustamente va cercata la verità e non un colpevole. Tutti vogliamo giustizia, anche se sappiamo che nessuno mai ci ridarà l'affetto delle persone care, perchè la giustizia che trova la verità è sempre un bene, ma non è detto che la verità sia necessariamente quella dei tribunali che ragionano con le leggi (umane) e non con lo sguardo sulla realtà tutta.

Se poi, cara Silvia, vogliamo lasciar perdere tutti questi discorsi e restare intrappolati tra le colonne dei giornali e i commi delle leggi, forse qualche colpevole possiamo trovarlo veramente. Io magari lo cercherei tra chi avrebbe dovuto controllare gli edifici, e non tra chi avrebbe dovuto prevedere un terremoto e dare un profetico allarme su qualcosa che non è prevedibile...
Lo so, Silvia, che non riesco ad entrare nel tuo cuore, che le mie parole non sanno alleviare le tue sofferenze, non ricolmano un vuoto, ma non era questo il mio intento. Spero semplicemente che ti aiutino a guardare la realtà da una prospettiva nuova. Tutto qui.

24-10-2012

 
 
 

Il profumo della realtà

Post n°84 pubblicato il 01 Novembre 2012 da aribeca
 

Un mio articolo su L'Ancora on line

http://www.ancoraonline.it/2012/10/31/il-profumo-della-realta/

La realtà puzza! Puzza di sudore, di muffa, puzza dei prodotti chimici di una fabbrica, degli oli degli ingranaggi. Puzza, ma io questa puzza la chiamo profumo. Per sentire questo profumo occorre entrare dentro la realtà, occorre uscire dalle nostre case, dalle nostre stanze d’ufficio climatizzate d’estate e riscaldate d’inverno, dalle nostre abitudini. Occorre incontrare un vecchio amico conosciuto sui campi di calcio giovanili, con cui non parli da venti anni, non perché ci hai litigato, ma semplicemente perché aveva una carriera da calciatore, di quelle che se vuoi diventare un campione ti trasferisci al Nord.
 
Basta una chiacchierata e le distanze svaniscono in un attimo. Ricordo marinare la scuola con Luca: lui che si fumava una canna dietro una pensilina del bus davanti all’IPSIA, mentre aspettava me che arrivavo dalla ragioneria. Ricordo i suoi gol d’astuzia. Ricordo i suoi silenzi dopo un compito andato male, la sciarpetta rossoblu intorno al collo, la sua bocciatura. Ricordo le sue battute divertenti e la sua generosità. Ricordo le nostre crisi adolescenziali e i nostri pianti. Ricordo una messa di Natale e lui che ci aspettava fuori, sulle scalette della chiesa, perché lui a messa manco morto. Ricordo l’ultima birra insieme prima della sua partenza.
 
Possiamo andare a cena insieme una sera, magari con qualche altro vecchio amico, propongo. Sarebbe bello, ma posso venire solo a metà del mese quando prendo lo stipendio perché a fine mese non ho più i soldi, mi dice Luca. La realtà ha il volto della precarietà, di un volantino appeso in bacheca: “Questo mese ritardiamo il pagamento degli stipendi. Ci scusiamo per il disagio.” È la realtà di Luca, di sua moglie e dei suoi tre figli. Una realtà che capita di ascoltare distrattamente in Tv.
 
Ricordo Luca fermo al semaforo, avevamo vent’anni ed era un po’ che non ci vedevamo. Lo saluto dal finestrino. Lui lo apre. Lo imito e apro il mio. “La mia ragazza è incinta!” scatta il verde, clacson spietati dietro di noi, ci salutiamo. Non ho avuto neanche il tempo di chiedergli come mai era tornato “quaggiù”.
 
Da allora, oggi è la prima volta che lo rivedo. Riparto proprio da quella domanda. Menisco rotto: carriera finita e come si dice? Si torna a casa! Sembra una storia passata, ormai. Mi racconta, invece, aneddoti simpatici sul suo fidanzamento, mi fa ridere. È lo stesso Luca di allora. Poi cambia tono. Si sono sposati, ma non avevano un lavoro. Hanno cambiato casa diverse volte, ospitati da parenti, zii, amici. Un giorno la moglie lo lascia e se ne torna dai suoi. Quando mancano soldi e lavoro è facile arrendersi. Si sono ritrovati in tribunale. Deve ringraziare un suo amico che lo ha portato in pellegrinaggio a Lourdes e da lì le cose sono cambiate. Niente più divorzio, ma tanti sacrifici, solo per un motivo, tenersi stretta l’unica cosa che conta veramente: la famiglia.
 
La realtà è dover buttare nell’immondizia più di trecento euro di vecchi libri di scuola del primo figlio perché nel frattempo, nel giro di due anni,la Geografia,la Matematica, l’Italiano ela Scienzasembra che siano cambiate in modo così drastico che occorre ricomprare libri nuovi al secondo. Quando ricomincia la scuola non è proprio un bel giorno… Per fortuna i suoi figli non sono come lui che non studiava, che era uno scapestrato, che si faceva bocciare. Per fortuna loro sono studenti modello. Vorrebbe tornare indietro e dare ai suoi genitori le gioie che i suoi figli danno oggi a lui. Lo dice con l’orecchino al naso, mentre mette del tabacco su una cartina.
 
Anche la scuola puzza. Puzza di banchi vecchi, pareti sporche, di lavagne antiche e di gessetti bianchi. Io lo chiamo profumo di vita vera. Poi scopri che in tv e su internet gira uno spot promosso dal Ministero dell’Istruzione e dal suo ministro Profumo, appunto. Un video che parla di sogni, di desideri, che la scuola aiuta i giovani a realizzarli. Tutte frasi belle e condivisibili pronunciate da Roberto Vecchioni. Nel video le pareti sono bianche, le stanze luminose, i banchi nuovi e moderni, gli studenti hanno l’I-pad, la lavagna è digitale. La prima domanda che viene in mente a vederlo è: ma questa scuola esiste? Dov’è? Sì esiste: è una scuola privata tedesca in Italia, dicono dal Ministero. A questa risposta si sono indignati in molti: le belle parole diventano una presa in giro quando chi le promuove è fuori dalla realtà. Per essere credibili bisogna stare dentro la realtà e oggi Luca mi sta insegnando questo. Lo guardo e io che uso sempre belle parole, che mi faccio testimone di vita mostrando la parte migliore di me, mi accorgo di non essere mai vero fino in fondo, mi accorgo di non puzzare di realtà. Mi accorgo di essere come quello spot patinato: apparentemente bello, ma talmente lontano dalla vita che non può muovere nessun sentimento.
 
“La mattina, la prima cosa che faccio è il segno della croce e ringrazio il Signore di essere vivo, poi penso subito ai debiti e mi vengono le preoccupazioni. Quello che conta però è che siamo ancora qui” mi dice. Scopro una fede sincera, fatta di segni, di parole semplici che io ho perso da tempo. Quella fede di cui ci parla Benedetto XVI: “Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani.” (Udienza Generale del 24 ottobre 2012 – Che cosa è la fede?) Perché anche la fede per essere credibile deve stare dentro la realtà.
 
“Il fine settimana mi capita spesso di dire a casa che non possiamo uscire perché poi non ho la benzina per andare a lavoro. Devo fare questi conti qui”, mi dice Luca non perdendo mai il sorriso ed è questo sorriso che dà un profumo alla realtà. Per sentirlo occorre tornare sulle piazze, fermarsi dopo la messa davanti al sagrato della chiesa, recuperare luoghi di aggregazione, incontrarsi, confrontarsi e soprattutto ascoltare. Perché ascoltare è la prima azione che compie chi ama. Invece noi, io, desideriamo essere sempre protagonisti nel dire e nel fare. Ci piace più parlare per frasi belle che per frasi vere. Invece dovremmo semplicemente guardarci intorno e ascoltare. Solo dopo che abbiamo lasciato parlare la realtà, solo dopo che ci siamo fatti appuzzire dalla realtà, allora dobbiamo rispondere alle sue esigenze e sporcarci le mani di vita vera.
 
Adesso piove. Luca ed io restiamo a parlare ancora un po’, mi mostra le gomme usurate dell’auto che non può cambiare. La pioggia diventa insistente. Ci salutiamo.
 
“Ah per la cena con i vecchi amici chiamami. Ricordati però: mai a fine mese…”

 
 
 

Quelle magliette rosse tanto belle al punto che...

Post n°83 pubblicato il 28 Ottobre 2012 da aribeca
 

Quelle magliette rosse tanto belle al punto che…
(da L'Ancora n. 37 - 28 ottobre 2012)

Sono certo che i ragazzi, quando vedono qualcosa di bello e buono e quando incontrano adulti che sanno testimoniare con la vita ciò che dicono a parole, non hanno dubbi su chi vale la pena seguire e soprattutto fidarsi. Sono certo che i ragazzi sono pieni di voglia di fare cose belle e quando viene proposto loro di impegnarsi in ciò che riconoscono utile e interessante, anche se faticoso, non si tirano indietro.
Ho partecipato all’organizzazione della Festa del Patrono e vedere tante magliette rosse indossate dai ragazzi dell’Oratorio e dell’Azione Cattolica parrocchiale di San Benedetto Martire ha confermato questo mio pensiero.
Ho visto ragazzi che hanno fatto un'esperienza nuova, quella del servizio alla sagra. Servire persone che non conosci, e che spesso hanno pretese strane, è molto difficile, soprattutto quando si è giovani e si è poco “accomodanti” perché a quella età si guarda più ai principi e alle regole che alla comprensione dell’altro.
Ho visto ragazzi scoprire che possono affrontare le situazioni difficili perchè hanno le spalle coperte dagli adulti e sperimentare la necessità di rivolgersi a loro quando le situazioni scappavano di mano.
Ho visto la passione dei ragazzi, passione nel senso di sacrificio ed entusiasmo.
Ho visto ragazzi che hanno studiato durante le ore di pausa, perchè lo studio è un dovere che non doveva essere trascurato.
Ho visto ragazzi che si abbracciavano e gioivano.
Ho visto ragazzi che si richiamavano agli ordini impartiti.
Ho visto ragazzi che spostavano tavoli da una parte all’altra senza saperne il motivo, ma semplicemente perché così era stato loro detto di fare. Si chiama obbedienza.
Ho visto ragazzi che forse non sapevano neanche bene perchè stavano lì, ma non sapevano altrimenti dove meglio di lì andare, perchè lì, nonostante la fatica, è bello! E' bello per l'amicizia, soprattutto! Certo! E meno male!
E ho visto adulti stupirsi di questa presenza rossa, festosa ma responsabile. Eppure se i ragazzi hanno stupito tutti bisogna fare i complimenti proprio agli adulti che hanno saputo testimoniare la bellezza della condivisione a tal punto che i ragazzi se ne sono appassionati fino a fidarsi di loro e seguirli.
Di tutta la festa, il ricordo che terrò nel cuore saranno quelle magliette rosse tanto belle al punto che… ti viene da chiederti perché chi le indossa è così felice? E allora capisci che tutte quelle cose che si dicono sui giovani, che sono disimpegnati, distratti, disinteressati e che pensano solo a divertirsi e che si isolano su Facebook ecc. ecc. non è sempre vero. Capisci che ci sono ragazzi molto più intelligenti di noi adulti che sanno testimoniarci che c’è un modo diverso di divertirsi, che è possibile gioire anche dentro la fatica e che rende almeno cento volte più felici.
Adesso, ragazzi, vi siete tolti quelle magliette rosse, siete tornati anonimi in mezzo alla gente, siete tornati al vostro quotidiano, ma la vostra bellezza non nascondetela. È là, nella vita di tutti i giorni che dovete riportare questa esperienza. Superman è superman sempre anche quando non indossa il mantello rosso ma ha gli occhiali da sfigato e la riga tra i capelli.
E sapete perché vi chiedo questo? Perchè voi siete la bellezza di cui abbiamo bisogno!

16 ottobre 2012
(Alessandro Ribeca)

 
 
 

Il niente

Post n°82 pubblicato il 24 Agosto 2012 da aribeca

A guardar il niente si arriva a pensare che tutto sia niente

 
 
 

Due link all'Itc Capriotti di San Benedetto

Post n°81 pubblicato il 16 Giugno 2012 da aribeca
 

Il primo racconta l'incontro con i ragazzi della mia ex scuola:

http://lnx.itcsbt.it/index.php?option=com_content&task=view&id=667&Itemid=135

 

Il secondo mostra le foto della premiazione dei diplomati dell'anno scorso che incontrano ex studenti ta cui me...

 

http://fotoalbumnew.aruba.it/fotoalbum_itcsbt_it/0c34bc60291.html

 

Due esperienze bellissime. Incontrare i ragazzi è sempre motivo di confronto e di riflessione su se stessi.

Grazie alle professoresse e alla Dirigente Vitali.

Un abbraccio e un in bocca al lupo ai ragazzi!

 
 
 
 
 

Articolo su Rivieraoggi.it

Post n°79 pubblicato il 29 Marzo 2012 da aribeca
 

L’importanza della lettura e le problematiche adolescenziali i temi discussi dall’autore sambenedettese con gli studenti

http://www.rivieraoggi.it/2012/03/28/140742/alessandro-ribeca-incontra-le-classi-dellitc-capriotti/

 

 
 
 

Il lato positivo dei sogni

Post n°78 pubblicato il 24 Marzo 2012 da aribeca
 

Il lato positivo di un sogno infranto è che c'è sempre una nuova opportunità per chi non smette di sognare! 

 
 
 
 
 
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Angela è bella e affascinante, ma non sarà mai altro che un’amica. Questo dice la realtà! Aderire al proprio destino o rifiutarlo? La domanda racchiude il dramma che deve affrontare il giovane protagonista di questa storia.

Improvvisamente, proprio nei giorni più critici della sua adolescenza, una presenza nuova si impone nella vita del ragazzo: un uomo diverso da tutti gli altri con il suo sguardo luminoso cattura l’attenzione del protagonista, dei suoi compagni e della stessa Angela, donando loro un nuovo modo di affrontare la vita.


Quale segreto è racchiuso nei suoi occhi? Tutto diventerà chiaro quando il protagonista, ormai adulto e nuovamente in crisi di fronte ad una decisione da prendere, tornerà nei luoghi dell’adolescenza per raccontare la sua storia.

 

ALESSANDRO RIBECA

 

 

Foto: Cinzia Camela Alessandro Ribeca è nato nel 1974

 a San Benedetto del Tronto (AP)

dove attualmente risiede.

 Si è sposato nel 2007 e nel 2009

è diventato papà.

 Laureato in economia e commercio, è impiegato di banca e si impegna

da anni in attività educative per i ragazzi.

 

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