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POMERIGGI D' AUTUNNO 2

Post n°756 pubblicato il 03 Novembre 2011 da atapo
 
Tag: memoria

 

MAMMA E BAMBINA


Cassatt M.

In quei lontani pomeriggi d'autunno in cui io e i miei piccoli amici, come nostrani ragazzi della via Paal, avevamo il nostro regno sulle colline e nella campagna, arrivava sempre più presto il momento di rientrare a casa, prima che facesse buio.

C'era la merenda: pane burro e marmellata o pane burro e zucchero, poi aprivo la cartella per i compiti. Li facevo sul tavolo di cucina, velocemente gli esercizi scritti: ero molto brava a scuola, quasi mai trovavo difficoltà e se capitava mi ci rompevo il capo da sola, prima di chiedere alla mamma che immancabilmente mi avrebbe risposto: "Io ho fatto solo la terza elementare, secondo me devi fare...però non so se è giusto." Era il suo cruccio, quello di non aver potuto studiare perchè a nove anni aveva perso la madre, col padre e i sette fratelli da un paesino di campagna era scesa in città e poco dopo aveva cominciato a lavorare in fabbrica. Ed era la sua soddisfazione vedere che io a scuola riuscivo bene, che mi piaceva leggere, che ero interessata ad imparare...negli anni fece di tutto per garantirmi la possibilità di studiare. Diceva che io ero nata per quello, non per fare la casalinga...e come aveva ragione! Dunque io studiavo sul tavolo al centro della cucina, mio fratello piccolo giocava ai miei piedi. In un angolo della stanza, voltandomi le spalle, la mia mamma lavorava su un piccolo tavolo: riammagliava le calze velate rotte che le portavano le signore dal vicinato o da qualche negozio di merceria. Aveva un attrezzo adatto, una specie di mini-macchina da cucire (un pezzo lo conservo ancora) e degli aghi speciali. Era un mestiere umile che in poche facevano, ma molto ricercato perchè permetteva di non gettare via le calze velate (allora abbastanza costose) che si rompevano, lo ha fatto finchè la vista gliel'ha permesso...e anch'io ne ho goduto e lo rimpiango!

Quando avevo finito di studiare, mettevo una seggiola accanto a lei, mio fratello si spostava vicino a noi, per risparmiare spegnevamo la luce principale e restavamo nel cono di luce della sua lampada da lavoro. E' una scena che conservo dentro di me come se fosse ora: lei lavorava, io mi rannicchiavo sulla sedia , tiravo su le gambe per appoggiarle al piolo, sulle ginocchia aprivo il libro e le ripetevo la lezione per il giorno dopo: le tabelline, i re di Roma, gli affluenti del Po quelli di sinistra e quelli di destra, le poesie...tutto ciò che dovevo imparare a memoria l'ho appreso lì, sotto quella lampada, guardando il profilo della mia mamma. Mi diceva che così imparava anche lei.

Poi, finiti i compiti, veniva il momento più bello: a me piaceva leggere, alla mia mamma piaceva ascoltarmi. Così le leggevo a voce alta i libri per ragazzi: Piccole donne, Il giardino segreto, Tom Sawyer, I ragazzi della via Paal...Insieme ridevamo ed insieme eravamo commosse in quei lunghi pomeriggi di autunni e di inverni, sotto quella lampada mentre il resto della stanza diventava sempre più scuro...durante tutti gli anni della mia scuola elementare. L'inizio della mia adolescenza, del mio distacco dalla figura materna, credo di poterlo rappresentare proprio con l'abbandono di questa dolce abitudine...

...che in un certo modo è ripresa molti anni dopo: io adulta già a Firenze, lei anziana a Bologna, quando un giorno al telefono le parlai di un libro che avevo letto e che mi era piaciuto molto, lei mi chiese: "La prossima volta che vieni a trovarmi portamelo che lo voglio leggere anch'io" e da allora le ho passato tutti i libri interessanti che leggevo e lei era tanto contenta...finchè ha avuto un minimo di vista...e negli ultimi anni rimpiangeva tanto di non riuscire più a leggere, ora che ne avrebbe avuto tutto il tempo...

 
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