Creato da rivistagiuridicaita il 28/03/2009
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RIVISTA GIURIDICA - DIRITTO EUROPEO - DOTTORE RAPHAEL MOSCHEN

Post n°65 pubblicato il 01 Agosto 2009 da rivistagiuridicaita
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nazionali (v., tra le più recenti, la sent. 29.4.2004, causa C. 202/03, sulla tutela cautelare ante causam davanti al giudice amministrativo, la sent. 13.1.2004, causa C. 453/00 sul dovere dell’amministrazione di riesaminare le proprie decisioni definitive ed inoppugnabili in relazione a sopravvenute decisioni interpretative della Corte, le sentenze 25.7.1991, causa 208/90 (Emmot); 3.12.1992, causa 97/91 (Oleificio Borrelli)).

Si è assistito così ad un flusso ascendente nell’elaborazione dei principi (dalle costituzioni nazionali al diritto comunitario) e poi discendente nella loro concretizzazione (dall’elaborazione comunitaria all’applicazione giudiziaria nazionale), che finisce col provocare negli ordinamenti interni rilevanti conseguenze.

 

10 – Ora l’acquisito ruolo costituzionale del giudice comunitario, che non si sottrae nella sua giurisprudenza dell’effettuare propri bilanciamenti tra gli interessi costituzionali in gioco (come ad es. nelle sentt. 12 giugno 2003, causa C. 112/00, relativamente alla libertà di riunione e di manifestazione e quella di circolazione delle merci; 3 gennaio 2003, causa C-101/01 tra la libertà di espressione e la tutela dei dati personali; 2 ottobre 2003, causa C-148/02, tra il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, il diritto di circolazione e di soggiorno in ambito europeo e il diritto al nome; 7 gennaio 2004, causa C-117/01, tra il principio della parità di retribuzioni tra lavoratori di sesso diverso e il diritto al mutamento del sesso e a contrarre matrimonio con persona del sesso di appartenenza prima del cambiamento, ecc.), mette ancora una volta in discussione il rapporto della sua giurisprudenza con quella dei giudici costituzionali nazionali, soprattutto se si tiene conto del carattere vincolante riconosciuto alle sentenze della Corte di giustizia unito all’obbligo d’interpretazione conforme delle norme comunitarie.

In particolare, per quanto riguarda la nostra Corte e la sua giurisprudenza, la sua riluttanza ad avvalersi del rinvio pregiudiziale,

 
 
 

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Post n°64 pubblicato il 01 Agosto 2009 da rivistagiuridicaita
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di prevenire insanabili contrasti con le istanze nazionali in relazione a quei valori costituzionali.

Ma quella giurisprudenza ha anche un altro e più importante obiettivo: quello di colmare il vuoto di valori costituzionali dei trattati, in modo da poter edificare intorno e sopra quei principi – prima ancora che essi venissero codificati nella Carta di Nizza - l’ordinamento europeo.

Questo spiega, in fondo, perché l’elaborazione dei principi comuni alle costituzioni degli Stati membri sia avvenuta da parte della Corte di giustizia con grande libertà rispetto ai documenti costituzionali nazionali (è, infatti, rarissimo riscontrare nelle sentenze della Corte di giustizia che si sono occupate di questi problemi richiami specifici e citazioni delle costituzioni degli Stati membri), mentre più generosa è stata la citazione di articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, utilizzata, peraltro, anch’essa con una certa libertà.

Il modo in cui la Corte ha proceduto alla ricostruzione dei principi fondamentali manifesta, a ben vedere, un’ulteriore caratteristica del processo d’integrazione europea. Essa, invero, pur affermando di ricavare quei principi dalle esperienze costituzionali nazionali, li ha rielaborati in modo autonomo, per applicarli ai rapporti e alle situazioni rilevanti per l’ordinamento comunitario. Ma, poiché quest’ultimo è in continua espansione (a scapito degli ordinamenti nazionali) e tende sempre di più ad influenzare situazioni appartenenti all’ordinamento interno, avviene frequentemente che quei principi vengano dalla Corte stessa riferiti agli ordinamenti degli Stati membri ed imposti all’applicazione dei giudici nazionali.

In particolare nel settore processuale, pur riservato alla competenza esclusiva degli Stati, data la sua strumentalità alla garanzia delle situazioni protette dal diritto comunitario, è avvenuto di frequente che la Corte di giustizia abbia richiamato ai giudici nazionali i principi del diritto di difesa, del contraddittorio, della tutela giurisdizionale dei diritti  (naturalmente nell’elaborazione dalla stessa effettuata) quali principi generali vincolanti, oltre alle istituzioni comunitarie, gli stessi organi

 
 
 

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Post n°63 pubblicato il 01 Agosto 2009 da rivistagiuridicaita
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Parlando direttamente ai giudici nazionali e chiarendo loro tanto il significato delle norme comunitarie quanto le modalità della loro applicazione nell’eventualità del contrasto con norme interne, la Corte di giustizia è potuta così intervenire nel processo di concretizzazione del diritto con efficacia ben più incisiva di qualsiasi altro giudice internazionale.

La sua autorità è stata prevalentemente spesa allo scopo  di edificare e di legittimare l’ordinamento europeo, del quale la Corte  stessa si è posta come supremo garante, sia nei rapporti dei cittadini con gli Stati membri, sia in quelli degli Stati con le istituzioni comunitarie, finendo col rappresentarsi come una sorta di giudice costituzionale.

I passaggi di quest’ evoluzione sono quelli noti: dall’affermazione del primato del diritto comunitario all’elaborazione della diretta applicabilità, non solo come garanzia delle situazioni soggettive di diritto comunitario, ma anche come dovere degli operatori interni di negare applicazione alle norme nazionali contrastanti, sino alla definizione sempre più precisa degli strumenti a disposizione degli individui per far valere quelle situazioni (penso soprattutto alla copiosa giurisprudenza sulla tutela cautelare, da Factortame, 19 giugno 1990, causa 213/89 a Zuckerfabrik, 21 febbraio 1991, cause 143/88 e 92/89, sino ad Atlanta, 9 novembre 1995, causa C-465/93).

Il punto d’arrivo è però significativo e merita una specifica riflessione anche per il collegamento con i problemi affiorati nella giurisprudenza costituzionale dei Paesi membri (Italia e Germania, in particolare) relativi al rispetto da parte degli atti delle istituzioni comunitarie dei diritti fondamentali e dei principi supremi delle costituzioni nazionali.

A questi problemi la Corte di giustizia dà la risposta ben nota, del recupero a livello comunitario, quali suoi principi generali, delle tradizioni costituzionali comuni, con l’intento – in gran parte realizzato –

 
 
 

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Post n°62 pubblicato il 01 Agosto 2009 da rivistagiuridicaita
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Non mi sembra invero che con tale disposizione il legislatore costituzionale abbia voluto contrastare il sistema, ormai consolidato, della diretta applicabilità, così come risulta dalla sentenza Simmenthal della Corte di giustizia e dalla sentenza 170/1984 della Corte costituzionale, recuperando al giudice costituzionale italiano un ruolo che esso sembra aver definitivamente dismesso, né che la novella abbia inciso sulla pregressa giurisprudenza costituzionale, che già considerava la norma comunitaria parametro interposto ai fini del giudizio di costituzionalità in via diretta, poco interessando che nei relativi ricorsi introduttivi venga oggi richiamato, oltre all’art. 11, anche l’art. 117 della Costituzione. La più recente giurisprudenza costituzionale sembra sul punto assolutamente chiara (v. da ultimo le sentt. 404/2005 e 129/2006).

 

9 – Come accennavo all’inizio, a fianco del cammino comunitario della Corte si snoda il cammino costituzionale del giudice comunitario, consapevole sin dall’inizio del suo ruolo di guida del processo d’integrazione europea.

Invero già le prime sentenze, dell’inizio degli anni sessanta del secolo passato, che elaborarono la nozione della diretta applicabilità delle disposizioni dei trattati, sottolineando (nella sentenza Costa/Enel del 1964) l’originalità dell’ordinamento comunitario e la sua superiorità su quello nazionale (ritenuto privo di effetto se contrastante con quello), mettono in rilievo l’accentuato dinamismo della Corte di giustizia e la sua vocazione a porsi come interlocutore diretto dei giudici nazionali e garante delle situazioni soggettive assicurate dalle norme comunitarie.

Lo stretto collegamento, sino all’identificazione, tra la norma comunitaria direttamente applicabile e la garanzia delle situazioni soggettive da questa protette, che “i giudici nazionali devono salvaguardare” rappresenta il vero Leitmotiv  della sua giurisprudenza e la ragione profonda del suo successo.

 
 
 

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Post n°61 pubblicato il 01 Agosto 2009 da rivistagiuridicaita
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in nome del nucleo essenziale dei diritti fondamentali, gli stessi regolamenti comunitari, ma dal suo canto la nostra Corte ha negato che essi – pur qualificati come atti con forza e con valore di legge – potessero essere oggetto del proprio giudizio di costituzionalità (sentt. 183/1973 e 170/1984; sent. 509/1995).

L’unica via percorribile sembra, invero, quella, un po’ tortuosa, tracciata dalla sentenza Fragd: sottoporre a giudizio di costituzionalità la norma regolamentare attraverso la disposizione del trattato che ne prevede l’obbligatorietà, allo scopo di pervenire ad una decisione di accoglimento che colpisca la disposizione rinviante “in quanto” abbia consentito l’emanazione di un regolamento lesivo dei controlimiti

In quest’ottica, tenendo conto di quanto risulta dalla giurisprudenza comunitaria in tema di diritti fondamentali (infra), dovrebbe ancora auspicarsi che l’intervento della Corte italiana, volto a sindacare una norma comunitaria per lamentato eccesso dai controlimiti, fosse preceduto dal rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, affinché essa verifichi se la norma comunitaria contrasti con i principi fondamentali di quell’ordinamento.

 

8 – L’impostazione sin qui descritta della giurisprudenza costituzionale nei rapporti con l’ordinamento comunitario non muta con la modifica del Titolo V, recante nel primo comma dell’art.117, l’esplicita previsione del limite alla potestà legislativa statale e regionale rappresentato dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

A differenza di quanto dirò a proposito del limite degli obblighi internazionali, che introduce per le leggi statali una nuova fonte interposta, per quanto riguarda l’ordinamento comunitario la nuova disposizione costituzionale conferma i risultati dell’evoluzione giurisprudenziale, sia per quanto riguarda l’impugnazione in via principale delle leggi statali e di quelle regionali, sia per quanto riguarda le conseguenza della diretta applicabilità nei giudizi incidentali.

 
 
 

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