Creato da Raf_ADMOpiemonte il 13/06/2007

Non siamo isole

Storia di un seme che morendo fa nascere un grande albero

 

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Michela, il nostro caffè

Post n°24 pubblicato il 22 Aprile 2010 da Raf_ADMOpiemonte
 

E' vero, il post precedente era un poco banalotto... ma in realtà dovevo iniziare un discorso "appena appena" più serio, e non sapevo proprio come partire.

Ho conosciuto Michela e suo marito Marcello nel 2007, quando nella posta elettronica dell'ADMO arrivò una mail con un appello: una donna di 35 anni cercava un donatore compatibile di midollo osseo tra i suoi colleghi della Cassa di Risparmio di Asti.

In questi casi ci mettiamo sempre in contatto con gli interessati, sia per dare qualche suggerimento sull'uso di questo potente mezzo, al fine più che altro di evitare ingestibili intasamenti presso gli Ospedali, ma soprattutto per offrire la nostra presenza. Un supporto morale, un ascolto da parte di chi ci è già passato, ma anche una disponibilità reale per fornire attraverso serate a tema tutte le informazioni necessarie a chi vorrebbe diventare donatore di midollo osseo.

Michela, sostenuta e accompagnata in modo ammirevole ed esemplare da Marcello, seppe raccogliere con grande serietà la nostra offerta di aiuto. Ebbe poi a spiegare, nel corso di un'intervista al quotidiano La Stampa a firma di Maurizio Tropeano, che aveva deciso di mettersi in gioco per se stessa e per gli altri, dopo una decina di mesi vissuti nell'incubo della malattia. La lorò vita cambiò il 17 febbraio del 2006, quando invece di partire per una settimana bianca, fu ricoverata d'urgenza con una diagnosi di mieloma multiplo micromolecolare di terzo stadio, cioè un tumore del midollo osseo. Varie chemioterapie e due autotrapianti di cellule staminali tennero la malattia sotto controllo, ma la soluzione definitiva era il trapianto. E Michela e Marcello avevano di fronte due possibilità: aspettare il donatore a casa, o andare a cercarlo.

Così fecero quello che in verità pochi hanno il coraggio di fare, perché se subire una malattia è già molto pesante, sottoporla all'interesse e alla curiosità degli estranei, "metterla in piazza", può diventare insopportabile: sentirsi oggetto di pietà, dover ammettere di aver bisogno di aiuto, può rendere ancora più fragili.

Ma Michela e Marcello fanno un altro ragionamento: "Ha presente la  lotteria? - dice lei nell'intervista - Se non compri il biglietto non puoi sperare di vincere. Io ho scelto di non restare chiusa in casa ad aspettare che la fortuna bussi alla mia porta". Ed escono così allo scoperto, prima con i colleghi della banca, poi attraverso appelli di personaggi pubblici come lo scrittore Giorgio Faletti e lo sciatore Giorgio Rocca. Arrivano anche a far tipizzare l'intera Giunta del Consiglio Regionale piemontese e organizzano decine e decine di serate in tutto l'astigiano.

Era dai tempi in cui si ammalò il giocatore della Juventus Andrea Fortunato che ADMO Piemonte non aveva picchi nelle nuove iscrizioni. Michela e Marcello hanno contribuito a sensibilizzare oltre 2000 persone in meno di due anni. Tra di esse, sei hanno donato il loro midollo nel giro di breve tempo. Il primo addirittura fu chiamato poche settimane dopo essersi iscritto al Registro, segno che il "suo" malato lo stava già aspettando: era un bambino irlandese, che forse oggi ha ricominciato una vita normale anche grazie a Michela, e senza nemmeno saperlo. Tra gli iscritti, com'era prevedibile, non c'è un donatore per lei, che troverà comunque una parziale compatibilità con un giovane tedesco.

Ma la malattia à malvagia e la vita a volte segue strade tortuose e incomprensibili ai nostri occhi: Michela si è spenta il 3 settembre 2009 nella camera sterile dell'Ospedale di Alessandria.

La cosa che mi ha colpito di più è stata la voce di Marcello che ho sentito qualche mese fa. Credevo di trovare una persona con una sofferenza atroce, per quanto aveva dimostrato di amare sua moglie; credevo che avrei ritrovato la mia sofferenza e penavo per lui. Invece ho ascoltato una voce serena, piena di una sana rassegnazione. Ciò mi ha fatto molto riflettere e alla fine ho capito che loro due insieme avevano davvero fatto tutto quello che potevano, senza risparmiarsi e senza potersi rimproverare nulla, e avevano addirittura fatto qualcosa di più: dato una mano per tutti gli altri.

E questo resterà per me un esempio di grande cività, che mi dà una grande speranza per il futuro.

 

 
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