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I CITTADINI MERCENARI PER LEGGE

Post n°719 pubblicato il 21 Ottobre 2014 da rteo1

I CITTADINI MERCENARI PER LEGGE

Chi è un cittadino ? La domanda è semplice e complessa al tempo stesso. Come al solito ! La soluzione dipende sempre dalla sincerità di colui che risponde o dalle sue riserve mentali, che si hanno quando si gioca sporco, perché si vogliono proteggere i propri interessi (e della propria corporazione). La risposta semplice: chiunque sia considerato tale  dalla sua comunità, che mediante la civitas, l’odierno Stato-democratico, gli riconosce dei diritti e dei doveri nei confronti della stessa collettività e delle istituzioni. La risposta, furbesca, che tuttavia ha avuto il sopravvento negli ordinamenti giuridici, è invece: chiunque è riconosciuto da questi titolare di diritti e doveri. All’apparenza non si rilevano differenze, nella sostanza, però, le cose non stanno così. Nel primo caso è la comunità degli uomini che riconosce a tutti coloro che la compongono la condivisione di diritti e di doveri, che vengono tradotti in norme dalle istituzioni politiche. Nel secondo caso, invece, sono queste ultime che in un regime di autarchia e di sovranità stabiliscono a chi riconoscere i diritti e gravare dei doveri, e la comunità stessa non è ritenuta un soggetto reale ma soltanto potenziale, che può anche non essere ritenuto esistente e meritevole di tutela da parte del diritto. Finché la situazione continuerà ad essere questa; finché la finzione continuerà ad avere il dominio sulla realtà, gli uomini, in carne ed ossa, continueranno ad essere schiavi dei sistemi politici, e di coloro che in questi occuperanno le leve del potere. Occorre, perciò, che la realtà si riappropri dei suoi poteri, e che gli uomini decidano da sé la propria sorte. In un sistema siffatto la comunità chiederà ad ogni suo componente (anche detto “cittadino”) di dare il suo contributo intellettuale o manuale (di medico, avvocato, professore, presidente della camera, consigliere regionale, contadino, allevatore, operaio, ecc.) secondo le sue capacità e vocazione, e lo ricambierà con una quota delle risorse necessarie per garantirgli una vita decorosa e dignitosa (così come avverrà per tutti gli altri “cittadini”). E questo rapporto biunivoco di dare e avere, fondato sul vincolo comunitario e solidale, continuerà per tutta la vita del “cittadino”, il quale, anche da “pensionato”, se richiesto, non si sottrarrà ai suoi doveri nei confronti della propria comunità. Nel regime, invece, in cui sono le istituzioni politiche a decidere “dall’alto” come differenziare i suoi cittadini per legge, questi potranno avere più diritti degli altri, e ci potranno essere perfino alcuni che ne saranno privati. E anche quando cesseranno dal servizio attivo (ossia saranno “pensionati”) potranno, ad es., essere chiamati ad assumere funzioni pubbliche cumulando la propria quota di ricchezza già percepita con altre quote aggiunte, allargando ulteriormente il divario con gli altri cittadini. E questo meccanismo colpirà anche coloro (seppur pochi) che sarebbero ben lieti di assumere incarichi pubblici “onorifici” quando si trovano già in pensione (magari di alto dirigente, o di ex parlamentare, di professore ordinario, ecc..) per il bene della propria comunità, perché “la legge non lo prevede”. E’ evidente, così, che quando la legge nasce dalle istituzioni e non dalla comunità, oppure quando questa è privata di ogni potere di approvare o meno i provvedimenti delle istituzioni prima che diventino efficaci, i “cittadini” diventano dei mercenari e non si sentono parte della propria comunità. Tutto si fa solo in cambio di compensi (stipendi, indennità, ecc.), e così succede che un qualunque “cittadino” cumuli tante e tali ricchezze che altri inevitabilmente ne saranno privati, o stenteranno per sopravvivere. Si dirà “dura lex sed lex”, ma forse sarà meglio essere soprattutto uomini che cittadini mercenari.

 
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