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suor carolina

Post n°39 pubblicato il 23 Novembre 2012 da dolente2005

di - IDA NUCERA “Oltre il cielo il mio sguardo” è la raccolta di poesie di Carolina Iavazzo, edito dalla Città del Sole.

La combattiva suora, collaboratrice diretta di P. Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, cimentandosi con i versi, svela al lettore un tratto inedito come autrice, senza mai cedere all’intimismo. Suor Carolina Iavazzo è nata ad Aversa, ma ha trascorsi molti anni ancora più a Sud, tra Calabria e Sicilia. Questi luoghi geografici, vissuti con intensa passione per l’uomo, in particolare per gli ultimi, abbracciano un tempo che va dal lontano 1985 al recente 2006, diventano luoghi dell’anima ben presenti e rappresentati nel libro. Il suo percorso in alcuni tratti sembra impresso col sigillo del fuoco. Tre luoghi cardine: Crotone, Brancaccio di Palermo e Bosco di Bovalino.

La sua storia ha inizio tra i vicoli di una città vecchia, dove la povertà e il pianto dei bimbi, richiamano ad una autentica vocazione apostolica, priva di orpelli, ma ricca di servizio e ascolto. A Crotone si incontrano il cammino della suora di Aversa e del prete di Denno, poi diventato vescovo di Locri Gerace, mons. Bregantini, che, molti anni dopo, dopo il dramma di Brancaccio, con discernimento provvidenziale, la chiama in Calabria. Cogliamo tra le pagine del suo libro tutta la fatica di un cammino lungo “La strada”, compiuto in fedeltà. Sono luci e ombre, come in una “Danza alla gioia”, che si schiudono a questo sentimento profondo, che non è di questa terra, quasi danza, quasi vittoria sulla tristezza di essere orfani, “la gioia, dice suor Carolina, ha il ruolo di madre, non siamo destinati ad essere orfani, abbandonati!”. Di quanti figli si farà carico non ce lo dice, ma lo immaginiamo bene. La bellezza di una vita al servizio degli altri sta anche nella fragilità svelata e non nascosta, “nell’ansia di credere nella luce”, espressa nei versi di “Coraggio”, in cui l’inquietudine emerge nella “paura del buio della notte… e nella paura del giorno che verrà”.. Le strada e le piazze si fanno luogo dell’anima, in cui oltre il deserto, c’è sempre la mano dell’Amico che attende. L’amicizia è anche separarsi dall’altro, ancor di più per chi sceglie o meglio è preso dalla “passione di un Amore al di là del muro del mio pianto”.

Ed è già Sicilia, in “Tenerezza lontana” del novembre 1991, Brancaccio di Palermo. “Prigioniera di un’isola”, in cui “uomini non liberi” sono trasformati in bestie. Persiste, nonostante tutto, il sogno di libertà, in “un’aquila in cerca di vette lontane”. Molti sono i simboli che rimandano ai segreti nascondigli dell’anima, dove è possibile ascoltare “una favola al camino della vita, avvolta nello scialle del tempo”, ritrovando “l’altra parte di me perduta chissà dove… inseguo il vento, la vita". Il vento lo ritroviamo nelle poesie di Palermo, parola cara all’autrice, che ha parlato dei suoi tanti ragazzi, definendoli con la struggente espressione, di “figli del vento”. Strappati alla strada e alla violenza mafiosa, con una tenacia, mai vinta, mai sopita, nonostante i tanti perduti. Ma il tempo delle lacrime è vicino, percepito come presagio: “sei lì, sullo scoglio remoto di un tempo non previsto, gabbiano dall’ala ferita”. Si fa dolore, pur “restando qui, al mio posto….porto nell’anima ferite come epitaffi su lapidi, eroi del passato e del presente. Come un solco accolgo i semi di una vita nell’attimo che va”. E’ datata Palermo, 10 gennaio 1993.

La pagina successiva è del 15 settembre 1993. Si apre con un annuncio di morte con l’oscurarsi del sole. “Muore un uomo solo, in un angolo buio della storia. Si spegne una vita nel tragico destino di chi non sa da quale parte palpita la vita, di chi non sa riconoscersi uomo. Muore un mite, un uomo consegnato a Dio e ai poveri”.Tre anni dopo ancora un grido si leva: “Muori così, senza far rumore… nel silenzio te ne vai, lasci a noi solo le impronte di una nuova libertà”, poche scarne parole a margine: per la morte di Padre Puglisi.

Poi sarà il tempo del silenzio per suor Carolina, colmato nel libro da liriche che risalgono ad un tempo precedente, ispirate dalla natura e dalla ricerca della “della carezza di Dio”. “Dio non parla, è nostro prigioniero: ha le mani legate dalla nostra libertà”, dice suor Carolina, esprimendo una fede non miracolistica, ma adulta conquista quotidiana. Ma quel tempo vuoto, quel grande silenzio personale, fino al 2000, ci tocca e ci inquieta. Le abbiamo chiesto come fosse stato possibile mentre tutti parlavano e scrivevano di p. Puglisi, proprio lei che gli era stata così vicina, taceva. Perché aveva atteso tanto tempo? “ho atteso la maturità del tempo, perché l’esperienza vissuta sedimentasse, la sua risposta è un insegnamento di vita che difficilmente si dimentica: Ho aspettato perché così potessero emergere le cose che ancora andavano dette… tutti siamo chiamati a lasciare qualcosa che resti nella storia e nella vita degli uomini, come un testimone che passa da una mano all’altra, di generazione in generazione perché la vita è un compito che Qualcuno ci affida perché altri dopo di noi, possa ritrovare la strada che porta alla meta”. Padre Puglisi “quando aveva detto: non lasciate il mio corpo troppo solo, voleva dire: continuate voi la mi attività, la mia speranza, realizzate voi il mio sogno”.

Così quel sogno che sembrava spezzarsi, passa attraverso un lungo travaglio, un “passaggio” di morte e resurrezione, un’ecclissi nel tempo del silenzio, dove la parola muta e spezzata, si ricompone proprio nella poesia “Il silenzio”del luglio 2002: “Ti regalerò i miei silenzi… il mio passato. Ti regalerò la mia isola felice ma qualcosa avrà il sapore della morte …le mie lacrime saranno perle di rugiada tra i fili d’erba”. Nel “Le nostre speranze”, “muore un uomo, solo, in un angolo buio della storia….nel suo sangue si bagnano le nostre speranze perché ritorni a vivere nella civiltà dell’Amore un domani più umano”. Una finestra, finalmente, si apre per Carolina, su un nuovo giorno, un sogno di speranza seminato dall’ “uomo dello stupore, figlio delle stelle generato dalle cime dei monti,… uomo di Dio che semina a piene mani, raccogliendo sassi che trasforma in zolle profonde”.

Strade che molti anni prima si erano intrecciate, sempre in terra calabra, si incontrano nuovamente. Padre GianCarlo, non più giovane religioso, ma vescovo di una terra amata come sposa, si fa strumento di una nuova chiamata al servizio, di una nuova chiamata alla vita feconda. Suor Carolina, adesso quel sogno infranto l’ha ricostruito a Bosco di Bovalino, tra mille fatiche e difficoltà, ma non da sola. Una piccola comunità, quella del Buon Samaritano, è con lei nell’esperienza della condivisione con i più poveri e feriti, proponendosi di offrire consolazione e speranza lottando contro le ingiustizie e i soprusi. Ed e’ proprio alle sue compagne di viaggio e di avventura, che Carolina dedica la raccolta, a Francesca e Silvia, insieme, in un cammino che attraverso il messaggio evangelico restituisce alla Calabria il suo volto più bello.

 

 
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