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introduzione caso sandro marcucci

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« Trattativa Stato Mafia: ...Comunicato Stampa Associ... »

Seconda Pillola di Memoria: omicidio Mino Pecorelli- Sintesi sentenza primo grado dispositivo appello e cassazione

Post n°898 pubblicato il 24 Luglio 2012 da laura561

Primo Grado

http://www.scribd.com/doc/100959872/Pecorelli-I-Grado-24-9-1999

Appello

http://www.scribd.com/doc/100960733/Pecorelli-II-Grado-17-11-2002

Cassazione

http://www.scribd.com/doc/100961065/Pecorelli-III-Grado-24-11-2003

sentenza primo grado:

pg 54 "Orbene non vi è dubbio che Pecorelli aveva rapporti con
gli ambienti più disparati come quello dei servizi
segreti, quello della politica, della magistratura, delle
forze armate, dei carabinieri e della polizia.
Sul punto è sufficiente indicare, a modo di esempio, i
generali Miceli, Falde e Maletti del servizio segreto
(SID), i politici Evangelisti, Bisaglia, Piccoli,
Colombo, Danesi, Carenini, De Cataldo, il comandante dei
carabinieri generale Mino, Federico Umberto D’Amato
“dell’ufficio D affari riservati del ministero degli
interni”, i magistrati D’Anna, Alibrandi, Infelisi (vedi
su questo ultimo nome Nosella e Patrizi -malgrado la
smentita dell’interessato-), Testi, gli industriali e/o
affaristi Walter Bonino e Flavio Carboni, e inoltre
Tommaso Addario dell’Italcasse, Ezio Radaelli impresario
degli spettacoli, l’avv. Gregori, gli alti ufficiali dei
carabinieri Antonio Varisco e Carlo Alberto Dalla Chiesa"

pg 55 "Basta controllare, al
riguardo, gli articoli di OP sul contenuto del dossier
Mi.fo.biali, quelli sull’Italcasse, sui fratelli
Caltagirone e su Nino Rovelli della Sir estratti dalla
relazione della Banca d’Italia sulla ispezione a detto
istituto bancario, la pubblicazione delle lettere, con
autentica in copia conforme, spedite dall’onorevole Aldo
Moro durante il suo sequestro nonché di altri documenti
con apposta la sigla “Riservato” o “segreto”.

pgg. 73-74 "Nei suoi articoli Carmine Pecorelli aveva sempre sostenuto che il coinvolgimento del generale Vito Miceli
nel c.d. Golpe Borghese era stato frutto di un piano di
Giulio Andreotti per continuare ad esercitare il potere e
che per attuare tale piano aveva scientemente omesso di
mandare alla autorità giudiziaria tutte le informative
del generale Vito Miceli sul golpe (tra i documenti
pubblicati vi sono due lettere di Giulio Andreotti e
nella seconda questi dava atto dell'omesso invio di altro
materiale facente parte della originaria informativa) e
si era servito di Claudio Vitalone per colpire Vito
Miceli.
Carmine Pecorelli aveva affermato in particolare che
l'inchiesta sul golpe Borghese era in realtà un golpe
bianco di un gruppo di politici che strumentalizzando una
parte della magistratura politicizzata voleva continuare
a mantenere il potere e indicava nello stretto rapporto
tra Giulio Andreotti e Claudio Vitalone lo strumento
attraverso il quale cui primo otteneva il suo scopo33 e
aveva inquadrato tutta la vicenda del coinvolgimento di
Vito Miceli nel golpe Borghese nella più ampia vicenda
Giannettini/SID/Miceli/Maletti relativo al ruolo
ricoperto dal primo nella c.d. strage di Piazza Fontana
attribuendo a Giulio Andreotti e non a Rumor la decisione
di opporre il segreto di stato sull’appartenenza di Guido
Giannettini al Sid; egli, poi, aveva richiamato
l’attenzione su uno strano furto subito da Aldo Moro nel
1975 relativo a documenti che si dicevano inerenti al
c.d. golpe Borghese; documenti che avrebbero dimostrato
come il golpe borghese fosse stata una farsa montata da
Giulio Andreotti"

pgg.74-75 "Quanto detto a proposito del c.d. Golpe Borghese viene da
Pecorelli messo in relazione alla organizzazione dei servizi segreti che in quel periodo il governo presieduto
da Giulio Andreotti aveva approvato sino a mettere in
luce come lo smantellamento dei vecchi servizi segreti
(SID) era a tutto vantaggio dello stesso Giulio
Andreotti, capo del governo e in secondo luogo di
Francesco Cossiga, ministro dell’interno all’epoca, i
quali avevano messo a capo dei servizi personaggi
politici abituati al compromesso mentre i servizi segreti
dovevano essere un fatto tecnico. In particolare faceva
riferimento ad una vecchia storia del Sifar e al golpe di
De Lorenzo che era scoppiato, secondo Carmine Pecorelli,
perché Aldo Moro aveva allontanato nel 1966 Giulio
Andreotti dal ministero della difesa per assegnargli
quello dell'industria e riteneva che lo scandalo Sifar
era stato il primo scandalo studiato a tavolino dall'alto
sotto la regia degli Stati Uniti d’America, che puntavano
sul partito socialista, e di Giulio Andreotti che voleva
vendicarsi di De Lorenzo (capo del Sifar) che si era
rivelato uomo di Moro.
Carmine Pecorelli tornava una l'ultima volta sul ruolo
dei servizi segreti e commentando la condanna al processo
per la strage di Piazza Fontana di Gianadelio Maletti e
Antonio La Bruna per falsa testimonianza non comprendeva
l’assoluzione di Viezzer al contrario di Antonio La Bruna
e Gianadelio Maletti e il motivo per cui i due condannati
avrebbero dovuto coprire Giannettini che era una fonte
importante nel processo per il golpe borghese (in
relazione al caso Giannettini/SID/Maletti/ Miceli/
Andreotti).
Come si vede il “c.d. Golpe Borghese”, oggettivamente,
porta a Giulio Andreotti e a Claudio Vitalone.
Al primo perché è indicato come l’artefice delle
disavventure del generale Vito Miceli avendo trasmesso
alla magistratura il dossier sul c.d. Golpe Borghese e al
secondo perché di quel processo ne era stato il PM."

pgg-78 e ss: Italcasse

"In essa sono poi interessati sia Claudio Vitalone che
Giulio Andreotti e gli elementi che indicano un ruolo di
costoro nella vicenda Italcasse, complessivamente
valutata, sono i seguenti:
1. La vicenda degli assegni emessi dalla Sir nel 1976.
2. Il tentativo di soluzione della posizione debitoria
del gruppo Caltagirone che in quel momento era critica
e si prospettava il fallimento delle loro società.
3. La nomina di Giampaolo Finardi a successore di
Giuseppe Arcaini nella carica di direttore generale
dell’Italcasse.
4. La cena al circolo privato La Famiglia Piemontese in
cui si era parlato della copertina di OP relativa a
tali assegni."

pg.110 e ss: La vicenda Mi.fo.biali

"Preliminarmente occorre precisare che con il termine
Mi.Fo.Biali si intende un dossier formato dal SID negli
anni 1974/75 su Mario Foligni fondatore del Nuovo Partito
Popolare con cui questi voleva contrastare la Democrazia
Cristiana, che, secondo quello che egli riteneva, era
degenerata perdendo i suoi originari valori.
L’indagine su Mario Foligni era stata ampliata alla
Guardia di Finanza durante la quale erano state fatte
anche intercettazioni telefoniche ed ambientali illegali,
perché non autorizzate dalla magistratura, anche se erano
state utilizzate strutture esistenti presso organi
pubblici. L’autorizzazione a indagare su Mario Foligni e
sul Nuovo Partito Popolare era stata data dal ministro
della difesa che, all’epoca, era Giulio Andreotti.
Tale circostanza è affermata da Gianadelio Maletti ed
appare credibile, malgrado la smentita di Giulio
Andreotti e l’astio che può avere spinto Maletti a fare
dichiarazioni contrarie all’imputato, perché Gianadelio
Maletti riferisce di avere appreso la circostanza dal
capo del servizio segreto ammiraglio Casardi e ha
annotato l’ordine di continuare a indagare su Mario
Foligni e sul Nuovo partito Italiano e di riferire
direttamente o all’ammiraglio Casardi o a Giulio
Andreotti; la circostanza peraltro è stata pubblicamente
ammessa dal governo della repubblica italiana che
rispondendo al senato e alla camera dei deputati, ha dato
notizia della conoscenza del dossier da parte del
ministro e della sua autorizzazione all’indagine
Il dossier era pervenuto nella mani di Carmine Pecorelli"

pg 117 e ss. la vicenda di Michele Sindona

pg.147 e ss. la vicenda di Aldo Moro

Conclusioni:

"Quelli finora esposti sono gli elementi di fatto e le
conclusioni a cui è giunta la corte nell’esaminare le
risultanze processuali che ha ritenuto rilevanti per la
decisione.
Alla luce delle considerazioni fatte, poiché è venuto
meno per mancanza di prove il collegamento, all’epoca dei
fatti, tra Giuseppe Calò e Danilo Abbruciati, e di
conseguenza è venuta meno la prova del ruolo di
collegamento a lui attribuito, secondo la tesi
accusatoria, tra Cosa Nostra e la banda della Magliana o
quantomeno il gruppo dei “Testaccini”, e non vi è altro
elemento probatorio che lo indichi come partecipe in
qualunque modo all’omicidio Giuseppe Calò va assolto dal
delitto a lui ascritto per non avere commesso il fatto.
Sempre per mancanza di idonea prova, non essendo emerso
alcun coinvolgimento di Cosa Nostra nell’organizzazione
dell’omicidio, né alcun elemento probatorio, al di là
della sussistenza di un valido movente, che colleghi
Giulio Andreotti alla banda della Magliana e all’omicidio
di Carmine Pecorelli,
Giulio Andreotti va assolto per non
aver commesso il fatto.
Pur sussistendo un valido motivo e la prova di rapporti
tra Claudio Vitalone e la banda della Magliana in persona
di Enrico de Pedis, i predetti elementi probatori non
sono univoci e non permettono di ritenere riscontrata la
chiamata in correità fatta nei suoi confronti.

Claudio Vitalone va, pertanto, assolto dal delitto a lui
ascritto per non avere commesso il fatto.
Pur sussistendo elementi probatori che riconducono
l’omicidio di Carmine Pecorelli nell’ambito della banda
della Magliana, quantomeno del gruppo del Testaccio, e
che sono indicativi di rapporti all’epoca dei fatti tra
Massimo Carminati e tale gruppo criminale, essi non sono
indicativi della sussistenza di un suo collegamento, a
quel tempo, con Danilo Abbruciati e la mancanza di idonei
e concreti elementi probatori che comprovino l’esistenza
di intermediari tra i due, impedisce di ritenere
riscontrata la chiamata in correità nei suoi confronti.
Massimo Carminati va, di conseguenza, assolto dal reato a
lui ascritto per non aver commesso il fatto.
Le confidenze fatte da Gaetano Badalamenti e Stefano
Bontade a Tommaso Buscetta di un loro ruolo di mandanti
nell’omicidio di Carmine Pecorelli sono da considerarsi
inattendibile in assenza di elementi che comprovino un
collegamento con la banda della Magliana, coinvolta
nell’omicidio.
Gaetano Badalamenti va, di conseguenza, assolto dal reato
a lui ascritto per non aver commesso il fatto.
La mancanza di elementi probatori che indichino una
presenza di Michelangelo La Barbera a Roma all’epoca dei
fatti, la mancanza di elementi che lo colleghino alla
banda della Magliana all’epoca dell’omicidio, l’assenza
di altri elementi probatori a suo carico, comporta che la
chiamata in correità fatta nei suoi confronti è priva di
riscontri.
Michelangelo La Barbera va, di conseguenza, assolto dal
reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto.
Restano alla corte alcune perplessità derivanti dalla
strana coincidenza che i due tronconi probatori
presentano:
 l’identità del movente, indicato sia per la parte
facente capo a Cosa Nostra che in quella facente capo
alla banda della Magliana al pericolo che la
pubblicazione di notizie poteva comportare per lo
stesso gruppo di persone.
 L’identità del gruppo di potere che avrebbe
commissionato l’omicidio di Carmine Pecorelli.

La fitta rete di rapporti, politici, sociali ed
economici, palesi od occulti (loggia P2, massoneria
segreta) che legano i vari personaggi coinvolti nella
vicenda.

Perplessità che non consentono di colmare, neppure con
criteri logici, le lacune probatorie sopra indicate.
P.Q.M.
Visto l’art. 530 cpp
ASSOLVE
BADALAMENTI GAETANO, CALO’ GIUSEPPE, ANDREOTTI GIULIO,
VITALONE CLAUDIO, LA BARBERA MICHELANGELO e CARMINATI
MASSIMO dal reato loro ascritto in rubrica per non aver
commesso il fatto.
ORDINA
La trasmissione degli atti relativi alla deposizione di
Moretti Fabiola in dibattimento e quelli resi nella fase
delle indagini preliminari in ordine al reato di cui
all’art. 372 cp.
ASSEGNA
Giorni 90 per la redazione della sentenza.
Perugia 24.9.1999
Il Giudice Est. Il Presidente

Sentenza appello

dispositivo

P.Q.M.
visti gli articoli 591, 592 codice di procedura penale,
D I C H I A R A
inammissibile l’impugnazione proposta dall’imputato Claudio Vitalone e
lo condanna al pagamento delle spese cui ha dato causa.
Visti gli articoli 539,542,592,605 codice di procedura penale, 28 codice
penale,
in parziale riforma della sentenza in data 24.9.1999 dalla corte di assise
di Perugia nei confronti di Calò Giuseppe, Andreotti Giulio, Vitalone
Claudio, Carminati Massimo, Badalamenti Gaetano e La Barbera
Michelangelo, appellata dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale
di Perugia, dalle parti civili Pecorelli Andrea, Pecorelli Rosina e, in via
incidentale, da Pecorelli Stefano,
D I C H I A R A
Badalamenti Gaetano e Andreotti Giulio colpevoli del
delitto di cui agli articoli 110, 575, 573, n. 3 codice penale e,
concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenute
equivalenti alla circostanza aggravante della premeditazione,
esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 112, n.1.c.p,
CONDANNA
ciascuno dei predetti imputati alla pena di anni ventiquattro
di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici,
nonché al pagamento in solido delle spese processuali di
entrambi i gradi di giudizio e di quelle sostenute dalle parti
civili che liquida, quanto a Pecorelli Stefano, in euro 24.200,
di cui euro 2.200 per spese determinate forfettariamente, oltre
iva e cap come per legge, nonché al risarcimento dei danni da
liquidarsi in separato giudizio civile, assegnando al predetto, a
titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva inter partes,
euro 100.000, quanto a Pecorelli Rosina, per entrambi i gradi
di giudizio, in euro 42.900, di cui euro 3.900 per spese
determinate forfettariamente, oltre iva e cap come per legge,
nonché al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato
giudizio civile, assegnando a titolo di provvisionale,
immediatamente esecutiva inter partes, euro 50.000, e quanto
a Pecorelli Andrea in euro 24.200, di cui euro 2.200 per spese
determinate forfettariamente, oltre iva e cap come per legge,
nonché al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato
giudizio civile, assegnando a titolo di provvisionale,
immediatamente esecutiva inter partes, euro 100.000.
CONFERMA
nel resto l’appellata sentenza nei confronti di Calò Giuseppe, Vitalone
Claudio, Carminati Massimo e La Barbera Michelangelo.
Visto l’articolo 544, comma 3°, codice di procedura penale,
considerata la particolare complessità del caso e, conseguentemente,
della motivazione
A S S E G N A
il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione della
sentenza.
Perugia, 17 novembre 2002
IL PRESIDENTE ESTENSORE
GABRIELE LINO
VERRINA
IL CONSIGLIERE ESTENSORE
MAURIZIO MUSCATO

Sentenza Cassazione

pgg-18-22 "Orbene, passando
all’esame dell’episodio omicidiario de quo, osserva il Collegio che, pur essendo precluso in questa sede il sindacato sull’interpretazione dei dati probatori concernenti il controverso intreccio tra i rapporti del generale Dalla Chiesa con
il giornalista Pecorelli e i presunti segreti del “caso Moro”, con riferimento agli articoli sull’argomento apparsi sulla rivista OP, all’incontro notturno di Pantalera fra Dalla Chiesa, Pecorelli e Incandela, al successivo rinvenimento da
parte di quest’ultimo di taluni documenti nel carcere di Cuneo ed alla consegna di essi a Dalla Chiesa, resta tuttavia aperto l’interrogativo circa il legame inferenziale che si è inteso attribuire all’intera vicenda rispetto alla prova del
mandato omicidiario da parte di Andreotti. Erano infatti da provare, mentre sono rimasti non dimostrati all’esito dell’istruzione dibattimentale, i dati, assolutamente rilevanti secondo la prospettazione accusatoria, che riguardavano
le seguenti circostanze di fatto:

a) quale fosse il reale contenuto della busta chiusa contenente i documenti
asseritamente rinvenuti da Incandela nel carcere di Cuneo su indicazione di Pecorelli e consegnati a Dalla Chiesa;

b) se i documenti si riferissero effettivamente alle “carte di Moro”;

c) se Pecorelli, tramite Dalla Chiesa, ne fosse poi venuto in possesso per l’eventuale pubblicazione sulla rivista OP;

d) se Pecorelli avesse manifestato a terzi l’intenzione di fame oggetto di pubblicazione sulla rivista;

e) se Andreotti ne fosse aliunde venuto a conoscenza;

f) se Andreotti avesse, di conseguenza, esternato ad altri timore o preoccupazione per le conseguenze che la pubblicazione di essi avrebbe potuto avere sulla sua carriera politica. Ebbene, pur essendo rimasti senza alcuna risposta tali quesiti, cruciali per l’identificazione di un “movente” certo, significativo e coerente con l’indiretta chiamata in reità di Buscetta, la Corte di assise d’appello ha apoditticamente qualificato come “indizio”, secondo la tradizionale ed ormai ripudiata teoria del “cui prodest”, la generica ed equivoca individuazione di un’area di
“interesse” all’eliminazione del giornalista, facente capo ad Andreotti. Situazione, questa, che, ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato quale mandante dell’omicidio, potrebbe al più definirsi una mera ragione di sospetto, una supposizione o un argomento congetturale, tenuto conto altresì dell’incerta prova circa
l’esclusività o la molteplicità dei moventi e dell’impossibilità di risalire al mandante attraverso l’identificazione delle persone degli esecutori materiali e dei legami di costoro con il mandante o con gli intermediari dello stesso.

Conclusioni e Dispositivo

Le statuizioni conclusive
 Il momento genetico di quello che il Pg, nella sua requisitoria, ha definito “un caso di infedeltà del testo al processo” va individuato nelle premesse logico-giuridiche della motivazione della sentenza impugnata, laddove la Corte di assise di appello, disancorandosi consapevolmente dalle ipotesi antagoniste prospettate dall’accusa e dalla difesa ed esimendosi dall’obbligo istituzionale di sciogliere i nodi del confronto dialettico sviluppatosi, sia sulle ipotesi che sulle prove, nel corso del giudizio di merito, ha deciso di sottoporre a verifica giudiziale un proprio “teorema” accusatorio, da essa formulato in via autonoma e alternativa, in violazione sia delle corrette regole di
valutazione della prova che del basilare principio di terzietà della giurisdizione, anche rispetto ai problemi implicati nel caso giudiziario. L’originaria ipotesi accusatoria, benché fosse notevolmente complicata e controvertibile per l’intersecarsi e il sovrapporsi di più piani tra la fase dell’ideazione e quella dell’esecuzione dell’omicidio, si da essere efficacemente messa in crisi dalle difese degli imputati nel contraddittorio dibattimentale, poteva, tuttavia, ritenersi legittimamente prospettata dal Pm alla luce dei dati investigativi raccolti nelle indagini preliminari, letti nell’ottica dell’astratta postulazione di un possibile interesse o movente di Andreotti all’uccisione del giornalista.
Assumevano rilievo a tal fine, innanzi tutto, gli elementi di natura dichiarativa e documentale relativi alla figura e al ruolo di Chichiarello e la scoperta del deposito di armi e munizioni nei sotterranei del Ministero della Sanità,
conducenti alla causale della banda della Magliana e della destra eversiva romana; poi, la chiamata in reità di Buscetta, conducente invece alla causale mafiosa, legata all’asserito intreccio dei rapporti Dalla Chiesa - Pecorelli con il caso Moro e con l’interesse di Andreotti ad eliminare lo scomodo giornalista; infine, le propalazioni dei
collaboratori Carnovale, Moretti, Mancini e Abbatino, che segnalavano l’esistenza di collegamenti fra taluni membri della banda della Magliana, esponenti della destra eversiva e personaggi mafiosi nell’esecuzione del delitto. E però,
a fronte delle motivate statuizioni della sentenza di primo grado che, nel rispetto dei limiti del principio del libero convincimento, aveva fatto corretta applicazione della garanzia estrema dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, i
giudici di appello non hanno tratto la lineare conclusione che l’ipotesi dell’apporto sinergico dei due sodalizi nella realizzazione del crimine, seppure legittimamente formulata dal Pm, non aveva retto all’urto del contraddittorio
dibattimentale e che analoga sorte era stata riservata alla teoria della divisione delle causali omicidiarie. Gli stessi giudici, per contro, svincolandosi sia dall’originaria imputazione contestata sull’assunto di un intreccio operativo tra
le due organizzazioni criminali, sia dalla struttura motivazionale della sentenza di primo grado, che aveva postulato in subordine la tesi della divisione delle causali ma ne aveva escluso la concreta efficacia dimostrativa, hanno prima
(ri)formulato autonomamente l’ipotesi accusatoria nel senso che «... le risultanze processuali consentono di affermare che parteciparono alla perpetrazione del delitto sicuramente tre persone, Andreotti, Badalamenti e Bontade ed almeno una quarta persona quale esecutrice, mentre non consentono di ritenere che altre persone abbiano partecipato al delitto». E poi, tradendo il modello argomentativo del giudizio di fatto, secondo lo schema epistemologico racchiuso nelle proposizioni normative degli articoli 192.1 e 546.1 lettera e) Cpp sulla valutazione della prova (Sezioni unite, 10 luglio 2002, Franzese), hanno verificato la tenuta della – nuova ipotesi all’interno di un ragionamento probatorio condotto mediante cadenze procedurali giuridicamente errate, le cui conclusioni, quanto alla conferma dell’ipotesi ricostruttiva sullo specifico fatto da provare, si sono rivelate prive di logiche inferenze e
sorrette da argomentazioni giustificative congetturali e apodittiche.
L’annullamento della sentenza impugnata va pronunziato senza rinvio nei confronti di Andreotti e Badalamenti, perché le lacune e la manifesta illogicità del ragionamento probatorio, risultanti dal solo esame del testo, dimostrano di per sé la mancanza di prove del mandato omicidiario e, perciò, l’insormontabile difficoltà e
impossibilità di pervenire altrimenti a una conclusione diversa dall’assoluzione con l’ampia formula liberatoria “per non aver commesso il fatto”. Ed invero, considerate le esigenze di economia processuale sottese alla previsione di cui alla lettera l) dell’articolo 620 Cpp, l’annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di
vuoto probatorio storicamente accertata. Principio giurisprudenziale, questo, già affermato dalle Sezioni unite in altre occasioni (Sezioni unite, 22327/02, Carnevale), che merita di essere condiviso ed applicato soprattutto quando
la sentenza di condanna, come nel caso in esame, sia fondata su dichiarazioni accusatorie di un collaboratore rimaste prive di elementi esterni idonei a corroborarle, essendo esse l’unica fonte di prova e non delineandosi, neppure sulla
base di una rinnovata valutazione dei fatti da parte del giudice di rinvio, la possibilità di rinvenire ed utilizzare ulteriori emergenze processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni unite,
annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti per non avere commesso il fatto.
Rigetta il ricorso del Pg della Repubblica presso la Corte d’appello di Perugia.
Così deliberato in Roma il 30 ottobre 2003.
Il consigliere estensore Il Presidente
(Giovanni Canzio) (Nicola Marvulli)
Depositata in Cancelleria
in data 24 novembre 2003
Il Cancelliere

 
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