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introduzione caso sandro marcucci

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conferenza stampa a Pisa presentazione esposto ASS. Rita Atria caso Marcucci e Lorenzini:Tirreno di Pisa e Massa‏

Post n°934 pubblicato il 23 Settembre 2012 da laura561

«Quel pilota sapeva troppo su Ustica»



di Candida Virgone wPISA Non è stato un incidente. È stato un omicidio, un’esecuzione su cui si staglia ancora l’ombra terribile e vergognosa di quella che è stata definita la strage di Ustica, un segreto che ha conosciuto mille facce, ma che, come tanti misteri di questo Paese, dopo più di trent’anni è ancora a caccia di una verità credibile. E ad Ustica - che avrebbe nell’armadio 21 cadaveri sospetti oltre agli 85 morti ufficiali, una strage per cui sarebbe stato coniato il termine ormai in voga «muro di gomma» - secondo molti potrebbe essere legata anche la tragica e misteriosa scomparsa di Alessandro Marcucci. Marcucci era un colonnello dell’aeronautica passato, per alterne vicende, da una promettente carriera nella 46ª Brigata aerea, come esperto di G 222, a fare il pilota per la Transavio nel controllo degli incendi boschivi per conto della Regione: morì in uno strano incidente aereo vicino Carrara, a Campo Cecina, il 2 febbraio di vent’anni fa. Per molti, ora come allora, non sarebbe stato un incidente. A parlare di attentato e a chiedere la riapertura di un’inchiesta che si ritiene chiusa troppo in fretta e con tante lacune, sono gli esponenti dell’Associazione antimafie intitolata a Rita Atria, la ragazzina che aiutò Borsellino a decapitare parte dei poteri mafiosi e che dopo la morte del magistrato si uccise. Dopo un esposto presentato in parlamento a febbraio scorso, proprio in occasione dei vent’anni dalla morte del colonnello Marcucci, ma vittima di un disinteresse inquietante, l’associazione ne ha presentato un altro due giorni fa, ma in procura, a Massa, portando certificazioni, filmati televisivi, fotografie e documentazioni che, a detta dei suoi esponenti, smantellano pezzo per pezzo le conclusioni degli inquirenti di allora e della commissione tecnica chiamata a far luce sull’incidente e che è stata sul posto solo il giorno dopo, quando tutto era stato rimosso. Ne hanno parlato ieri, al circolo Arci di via Fermi, il presidente dell’associazione, Santo Laganà, e uno dei fondatori, Nadia Furnari; con loro c’erano la responsabile locale, laura Pitthi, ed altri rappresentanti. C’era in particolare l’amico di sempre di Sandro Marcucci, Mario Ciancarella, un ex militare al centro da trent’anni di denunce e polemiche e che fece dichiarazioni eclatanti anche nel caso Scieri, un parà morto alla Smipar a Pisa in circostanze misteriose, forse precipitato durante una prova di coraggio imposta da un gruppo di cosiddetti «nonni» e abbandonato agonizzante a terra. «Abbiamo fiducia nella giustizia e nella magistratura - dicono Laganà, Furnari e Ciancarella - e pensiamo che oggi, a Massa, cambiate le persone e in un nuovo ambiente, sia possibile ricostruire questa vicenda. È stato detto che a tradire un pilota esperto come Sandro - ha aggiunto Ciancarella - possa essere stato il vento o una manovra errata. Ma dai documenti dell’epoca emerge chiaramente che vento non ce n’era e che quel tipo di Piper è un semiacrobatico manovrabilissino. A terra è stato trovato il corpo carbonizzato del pilota, mentre Lorenzini, gravemente ustionato, viene soccorso fuori dall’abitacolo e muore un mese dopo. Le ipotesi più volte espresse in questi anni parlano di un attentato, un ordigno posto nel cruscotto e al fosforo, sostanza che brucia solo le superfici toccate: di fatto, mentre del pilota resta poco, sia l’aereo che gli alberi su cui è caduto, che un serbatoio colmo di carburante recuperato vicino al relitto sono intatti. Secondo l’esposto l’aereo, dopo un’esplosione a bordo, si schiantò al suolo sul carrello anteriore destro rimbalzando e capovolgendosi contro un tronco d’albero a tre metri d’altezza, scivolando poi e scortecciandone la superficie. Su Marcucci niente autopsia, solo un esame esterno dei resti senza rilevare le ferite alla testa e l’amputazione dei piedi. Solo per caso nella bara non finisce proprio un pezzo di cruscotto che viene consegnato agli inquirenti, ma l’intero relitto verrà dissequestrato e distrutto due giorni prima della chiusura delle indagini, senza dare a nessuno la possibilità di chiedere ulteriori perizie. Al fratello di Lorenzini, che si dice si sia trascinato fuori dall’abitacolo da solo e che muore un mese dopo, viene negata la possibilità di dare il sangue per una trasfusione. Su questi e molti altri particolari si basano i dubbi da chiarire formulati nell’esposto. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
 


 
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