Filosofia&Esistenza

La filosofia è l'esser coscienti d'essere, d'esserci; è il continuo progettarsi per essere ciò che si è il più autenticamente possibile, scegliendosi sempre nella propria libertà, facendosi liberi, senza attendere di diventarlo.

 

LIBRO PARADE



MARX è morto?
Leggete questo libro e poi ne riparliamo!!!
 
 

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CHI SARÀ IL PROSSIMO?

Ogni sistema ha cercato di mettere
a tacere chiunque abbia tentato
- in qualche modo - di cambiare
le cose. Da una croce o da dietro
le sbarre di una cella però,
la sua voce ci è giunta lo stesso.

... Chi sarà il prossimo?


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Giornata della Memoria

 

GABER ... IO SE FOSSI DIO

 

Una rosa blu (... a S.)

Post n°79 pubblicato il 24 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 
Tag: Musica



A volte le parole sembrano insufficienti a descrivere un sentimento, una passione smisuratamente straboccante di pathos e allora si cerca di sublimare a questa carenza con la musica, che con il suo arrivare direttamente al cuore, forse, riesce meglio ad esprimere un sentimento, uno stato d'animo che passando per vibrazioni reali e fisiche, percuotano l'aria fino a giungere al centro di quel senso d'assurdo che persino a se stessi non si riesce a spiegare.

Ed io, le parole - che difficilmente sono in me una carenza - le ho come smarrite, dissolte, rese fuggitive e inafferrabili. Per questo lascio ke per me, parli la musica, una musica che - come ogni opera d'arte - rappresenta qualcosa che la ragione, con la sua riduzione concettuale - non riesce a rinchiudere in un giudizio.
Una musica che delle parole fa uso quasi magico, proiettandole come frecce intrise di fragile e timido assenzio, in un messaggio che come un'ondata, investa chi l' ascolta di me.

                                                        M.P.

 
 
 

Naufraghi

Post n°78 pubblicato il 23 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

immagineLa vita non è mai semplice, non almeno quando l'essere suo più profondo, sostanziale è un intreccio intrigante, un coacerbo di modi di esistere, di provare emozioni smisurate al confine del possibile umano, oltre il banale del quotidiano sentire, patire, così, tanto per esser presenti come assenze orfane d'ego, assorbiti dal "Si" della massa.
Capita spesso, che le strade che portano al fondo, gli sconnessi sentieri che conducono nelle lagunari langhe nebbiose - ove mobili sabbie in agguato aspettano di inghiottire qualcuno - poi dopo, d'improvviso risalgano, a volte ripide ed irte, altre invece, più lente e graduali, che quasi sembra di procedere in piano, verso vette di monti e cime innevate. C'è chi esiste una vita asfaltata in un blocco armato di pace che col tempo diventa abitudine e rassegnazione, che non è mai caduto e non sa che vuol dire rialzarsi da terra e riprendere a correre, per sentire la forza dentro sè farsi volontà di potenza smisurata e coraggio di combattere ancora, di lottare per un sogno che si è avuto e a cui non si vuol rinunciare senza almeno provare a costruirlo nel reale, nel futuro che si fa già nel presente, nell'impegno ad agire rischiando se stessi per un attimo di Amore sincero.
C'è chi, al contrario, esiste in balia delle onde, come naufrago di una zattera fatta di legni annodati l'un l'altro alla meglio e ogni giorno si domanda: "Perchè sono qui ?"
E si getta da sempre fra le acque profonde per cercare del cibo, un nutrimento e disseta se stesso con la pioggia che raccoglie fra le mani, se le nubi son così generose da stillare il pianto dell'universo. E dorme e si sveglia e non comprende qual è il sonno e quando è desto: confonde il reale con la fantasia.
Noi siamo naufraghi nella terra asciugata da un sole di catrame che ribolle cristallizzando ogni sogno in realtà senza onde, nè zattere per poter navigare verso il nulla, verso l'assurdo centro di un esistere che centripeto, ci dissemina tutti, l'un l'altro, nell'esistenza il cui essere è fatto di un mutevole e continuo non-essere di possibilità da colmare di vita.
                                                                                                    M.P.

 
 
 

Se non esisti ... tu svegliami

Post n°77 pubblicato il 22 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

Impeto sei, carneimmagine
viva di sensi invadenti
che mi avvolge di paure
e di angoscie confuse

Ho timore di vederti
svanire come fumo
nel buio antracite
d'una nebbia sottile

E se fossi allucinazione?
E il tuo essere solo
creazione d'un folle?
Il terrore pervade

questa vita stracciata
alla noia, riaccesa
dal sorriso fantasma
che esplode radioso

sul tuo volto. Ti prego
se sei sogno dammi
un pizzico forte
prima che io ti creda

reale che esiste;
prima che io m'illuda
d'un Amore possibile;
se non esisti, ti scongiuro

rendimi desto, prima
che sia troppo tardi,
prima che io sprofondi
nei meandri distrutto

Se sei gioco crudele,
del pensiero diletto
che bizzarro m'inganna

Se non esisti ...
                ti scongiuro
                  ...tu svegliami.

M.P.

 
 
 

PROIEZIONI DI TE

Post n°76 pubblicato il 21 Marzo 2007 da brokenheart74dgl

Colto improvvisoimmagine
mi spremo l'anima
in succhi di dolce
meravigliosa dolcezza.

Compari tu, ombra
che si fa luce nel buio
Sconosciuto essere
misterioso e fragile

impigli i miei sensi
in un maremoto d'onde
irrequiete ed ore liete
ad immaginarti mia

"Il cuore ha le sue
ragioni, che la ragione
non conosce".
Mai ti incontrai

ma ti riconobbi
senza impormi dubbi:
la sincerità tua fu
dell'Eros definitivo

lo scoccare in me.
Trascorro secondi
d'interminabile presente
a proiettarti eterea

in un futuro di cera,
sciogliendomi lento
man mano che la fiamma
vibrando l'aria brucia.

M.P.

 
 
 

Il coraggio d'andar oltre

Post n°75 pubblicato il 19 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 


Lungo cammino immagine
irto d'impossibilità
apparenti utopie.

Madre - un uomo
disse - m'imbarco
con Nina Pinta e Maria
Santa: circumnavigherò
questa nostra terra
alle Indie approdando.
Pazzo figliuolo
folle sciagurato! Piatto
è questo luogo di mari,
montagne e pianure
che ci accoglie in sè -
rispose lei incredula -
tutti lo sanno
la scienza lo afferma
cadrai nel vuoto Nulla.
Partì imperterrito lo stesso
testardo il veneziano
e scoprì le Americhe.
Del folle pazzo capitano
il senno messo in dubbio
impavido
osò credendoci,
salpò su spiagge
vergini e illibate ancora
e regalò all'esistente
la speranza, allora
Eretico sognare
oggi realtà concreta,
d'un Nuovo Mondo.
E se no fosse mai
partito, rinunciando
per conformarsi muto
ed in silenzio al tempo
ed al suo Spirito
Cristoforo Colombo?

M.P.


 
 
 

Amnesia sei(dedicato a una persona speciale)

Post n°74 pubblicato il 18 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

Fra gli anonimi nickimmagine
virtuali presenti assenze
materiali, una luce brilla
nell'oscuro mondo
fatto di visi fantasmi:
sei tu, volto orientale.
Hai raccolto il respiro
ansimante di ricovero
e lo hai respirato in te,
donandomi nuove lenti
per vedere oltre il confine
di un me stesso opaco.
Mi hai aperto, leggendomi
dentro come un libro
hai sfogliato con tatto
le pagine sottili, antiche
dal tempo ingiallite,
restaurando la vita
che in esse s'era onnubilata:
sbiadita e sbricciolata.
Sei un timbro indelebile
un'appendice impressa
in superfice che sensifica
ogni parola, ogni frase
rendendola pregna
d'una nuova espressività.
Grazie per aver spolverato
questo vecchio volume
dalla polvere del tempo
e per averlo letto
con gli occhi del cuore,
riempiendo i bianchi spazi
incompleti, del tuo essere.
Sei "Amnesia" che riaccende
in me, la memoria d'essere
per qualcuno, ancora, qualcosa.

M.P.

 
 
 

EUROPA 7: LA TRUFFA DI GASPARRI E L'IMPUNITà DEI POTENTI

Post n°73 pubblicato il 17 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

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clicca qui per il video

Non è possibile rimanere fermi, immobili, zittiti come bestie con la museruola a guardare il procedere di una giustizia garante d'ingiustizia, a un parlamento che difenda interessi particolari di pochi. Un permissivismo antidemocratico e anticostituzionale che vede la modifica di una legge tramite un decreto che ne procastini ulteriolmente l'attuazione. Se un cittadino comune passa col semaforo rosso, al mattino, in una strada isolata, la multa arriva e deve essere pagata: nessuna scusante o attenuante, perchè la legge non ammette ignoranza. Se un imprenditore viola la legge per anni e trae profitti illegittimi andando contro la libertà di informazione e la par-conditio, si formula una nuova postilla che lo esonera dal reato, perchè, a quanto pare, paradossalmente,  la legge ammette la sua violazione stessa da parte di chi la ha formulata. Le contraddizioni del sistema sono queste, il reale che siantitteticizza al suo interno: ecco il materialismo dialettico-storico, eccolo dove risiede nlla concretezza dell'esistente capitalistico. Il capitale è oggi più attuale di quanto lnon lo si voglia far apparire.

Questa pseudosinistra revisionista, opportunista non è diversa - quanto mi duole ammetterlo - dalla destra che la ha preceduta: un potere sovrano che rappresenta solo se stesso: un dispotismo oscurato e che oscura ( Europa 7).
Nessuna democrazia è qui presente, nè rappresentativa, nè partecipativa, nè economica, tantomeno deliberativa.
Di chi è la responsabilità?

Nostra, di un popolo che non insorge, che non si ribella, che si ammazza e conosce il numero dei tacchetti di ogni singolo giocatore di quello pseudosport che è il calcio e che non sa nemmeno chi sia a manipolarlo, ingannarlo, sotto le vestigia del parlamentarismo ipocrita e borghese.

Nostra è la colpa, perchè chi tace acconsente: ci meritiamo i parlamentari che abbiamo: essi sono il rispecchiamento di un popolo che ha paura di diventare libero !!!

M.P.

 
 
 

Cloroformio coscienziale

Post n°72 pubblicato il 16 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

Scissa la massaimmagine
affossa se stessa
nella spessa melassa
cassa di fili intricata
matassa densa
Rossa sbiadita
s'adagia rassegnata
e scossa la bandiera
pregna e impressa
di cloroformio
nella dismessa sopita
coscienza spenta

M.P.

 
 
 

ESAGERATO !!!

Post n°71 pubblicato il 15 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

immagine Sento il peso di questo sistema come un opprimente masso sul petto. Il fiato, spasmodico alternarsi in un diacronico, ansimante annaspare. Non faccio altro che leggere, testi e saggi che contraddicono ai miei ideali, alle mie soluzioni drastiche per dare una svolta a questo suicidio apocalittico al quale il neoliberismo - come già Marx scientificamente pronosticò, lo si voglia ammettere o no - ci sta lentamente conducendo. Leggo, mi pongo come oppositore di me stesso, come mio avversario primario, interno contraddittore mi metto alle corde, perchè infondo - umano e quindi fallibile - potrei anche sbagliarmi, ricadere io stesso in quel dogmatismo ideologico che tanto aborro e che senza scrupoli critico, tacciandolo di malafede o di opportunismo, modo d'essere inautentico. Continuo imperterrito nel dialogo intentando ogni strada dialettica, teoretica, epistemica, sillogistica, a volte sofistica, ma nulla ancora è riuscito a smontare le argomentazioni che fondano il mio pensiero, la base teorica dell'azione, della praxis che la porta, nel reale empirico, storico-temporale, a concretizzarsi. Fra i testi antimarxisti per eccellenza, persino "Socialismo" di Ludwin Von Mises mostra le sue tesi di attacco al comunismo, come fondate, macchiate, pervase, contaminate da una errata comprensione del marxismo stesso, incentrata costruttivamente e forzosamente sull'inadeguatezza e l'impossibilità di un sistema comunista - così come di una economia pianificata - all'interno del sistema capitalistico medesimo.
Questo, pare, molti non riescano ad intendere: il comunismo non è un sistema pensabile come riforma di quello capitalistico, ma nè è il superamento delle contraddizioni interne, avente come fine, non la sua trasformazione, bensì l'abbattimento come scoria, come prodotto storico giunto oramai a maturazione. L'instaurazione di un sistema comunista - dove comunista è sinonimo e porta seco analiticamente il concetto di umanitario - necessita e non può esimersi da una svolta rivoluzionaria, in primo luogo perchè le classi al potere, che tramite l'economia tirano i fili della politica, non accetteranno mai un riformismo talmente radicale come quello di una estinzione della divisione della società in caste/classi, in quanto ciò verrebbe a significare la perdita dei loro privilegi; in secondo luogo, perchè, se anche tale movimento riformista dovesse ipoteticamente aver successo, ciò richiederebbe un tempo troppo lungo in rapporto al livello attuale di benessere della popolazione occidentale e di sfruttamento delle risorse planetarie, un percorso storicamente abbisognante di un lungo periodo che, proprio per causa della elevata produttività sempre richiesta in modo più intensivo per una maggire accumulazione di capitale e dunque per una continua crescita del saggio di profitto, vedrebbe il pianeta distruggersi o/e la specia e umana estinguersi ancor prima di un suddetto, seppur improvabile, mutamento su base non rivoluzionaria.
Mi sgolo, strappo ai miei polmoni ogni residuo di fiato per gridare ciò che dovrebbe apparire con evidenza immediata, che questo sistema è progressivamente regressivo e autodistruttivo, che non si tratta di aumentare i metodi di smaltimento delle scorie, o di produrre più energia, ma di limitare i nostri consumi, di scegliere coscienziosamente un modello di esistenza più sostenibile e meno opulento.
O consumiamo, divoriamo il nostro pianeta, o consumiamo di meno noi, soddisfacendo i bisogni invece di crearne di nuovi e di divorare tutto con ingordigia.
Urlo, ma sento solo una eco di muti, silenziosi: esagerato!!!
Hegel, nel suo idealismo estremo, delineava il suo sistema come fine della filosofia e parallelamente , essendo per lui la filosofia "l'espressione del nostro tempo in concetti", la fine della storia.
E se nel suo idealismo, in quel movimento dialettico-speculativo, avesse ravvisato la tutt'altra che idealistica escatologia distruttiva dell'egoistica, o come citava Hobbes "insocievole" natura umana?
Rivoluzione, prima di tutto delle coscienze, poi, e solo poi, del sistema. Non è ancora troppo tardi ... forse!!!

M.P.

 
 
 

Andreotti, Mastella ... Senza parole !!!

Post n°70 pubblicato il 13 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

clicca qui per il video

immagineNon ho la Tv, ma tramite canali informali sto seguendo con molta affezione la vicenda DICO-PACS e in particolar modo il comportamento del "nostro dipendente" On. C. Mastella sull'argomento.
Ho sentito e visto - tramite il web - alcune interviste alla sua persona, ove, oltre alla famosa "scappatella" di fronte alle telecamere di Santoro - vistosi chiuso ed incapace di difendersi -, in altra intervista, enunciava il suo parere sugli intellettuali o, come diceva letteralmente " su alcuni presunti tali" (in riferimento a Marco Travaglio, nella lettera da egli rivolta all'On. Andreotti sulle sue dichiarazioni da cattolico non fedele, nei confronti deli omosessuali e della pedofilia).
Evidentemente gli intellettuali non gli stanno a genio per la loro preparazione culturale e per l'uso della ragione che sanno fare, ma che diviene "saccenza" quando quest'uso diviene per lui stesso sconveniente.

D'altronde che si può dire di un politico che ci tiene a ribadire il suo rispetto per Andreotti, sapendo della sua non assoluzione, ma solo prescrizione per decorrenza di termini, nei confronti della sentenza che lo ha giudicato colpevole per associazione a delinquere di stampo mafioso fino alla primavera del 1980 e come mandante dell'omicidio Pecorelli?
Questa è la gente che governa l'Italia? Una lobby tutta unita intorno al fine del potere!!!

Non voglio parlare poi del nostro Assessore alla cultura Vittorio Sgarbi e dei suoi scatti d'ira che mostrano una incapacità di dialogo e, provabilmente, una consapevolezza di non avere altre argomentazioni a difesa delle sue tesi-opinioni, se non quelle degli insulti.
Non ho parole!!!

Broken

 
 
 

Sulla ferita sale.

Post n°69 pubblicato il 13 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

Dolore,immagine
lama che strisciando
preme su ardesia nera
stridendo lacera

Del cuor garrire acuto 
graffiato d'unghie
incarnate profondamente
lunghe

Due aghi, lo sguardo.
Pupille gelidi spilli
artigli affondati crudi
nel presente:
passato che riemerge

Viva, vivi in me
ancora giaci 
e parassita mi consumi
e stilli denso pianto
di sangue amaro

Oggi
ti ho rincontrata
relitto che galleggia
che non affonda, riaffiori
e sei tempesta;

caotico naufragio
entropico scompiglio
implodere esplosivo
spasmodico pulsare
d' anarchiche emozioni

nella mia testa,
non sei stata
affondo
mai dimenticata.
Dolore sei, gelido

che brucia, asciuga secca
e strappa l'epidermide
Cruda carne rosea
che al sole pizzica.
Sulla ferita sale, sei.

M.P.

 
 
 
 
 

Massimalismo ed estremismo

Post n°67 pubblicato il 11 Marzo 2007 da brokenheart74dgl


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di Antonio Gramsci
"L'Unità, 2 luglio 1925


Il compagno Bordiga si offende perché è stato scritto che nella sua concezione c'è molto massimalismo. Non è vero, e non può essere vero - scrive Bordiga -. Infatti il tratto più distintivo dell'estrema sinistra è l'avversione per il Partito massimalista, che ci fa schifo, ci fa vomitare, ecc. ecc. 

La quistione però è un'altra. Il massimalismo è una concezione fatalistica e meccanica della dottrina di Marx. C'è il Partito massimalista che da questa concezione falsificata trae argomento per il suo opportunismo, per giustificare il suo collaborazionismo larvato da frasi rivoluzionarie. Bandiera rossa trionferà perché è fatale e ineluttabile che il proletariato debba vincere; l'ha detto Marx, che è il nostro dolce e mite maestro! E' inutile che ci muoviamo; a che pro muoversi e lottare se la vittoria è fatale e ineluttabile? Così parla un massimalista del Partito massimalista. 

Ma c'è anche il massimalista che non è nel Partito massimalista, e che può essere invece nel Partito comunista. Egli è intransigente, e non opportunista. Ma anche egli crede che sia inutile muoversi e lottare giorno per giorno; egli attende solo il grande giorno. Le masse - egli dice - non possono non venire a noi, perché la situazione oggettiva le spinge verso la rivoluzione. Dunque attendiamole, senza tante storie di manovre tattiche e simili espedienti. Questo, per noi, è massimalismo, tale e quale come quello del Partito massimalista. 

Il compagno Lenin ci ha insegnato che per vincere il nostro nemico di classe, che è potente, che ha molti mezzi e riserve a sua disposizione, noi dobbiamo sfruttare ogni incrinatura nel suo fronte e dobbiamo utilizzare ogni alleato possibile, sia pure incerto, oscillante e provvisorio. Ci ha insegnato che nella guerra degli eserciti, non può raggiungersi il fine strategico, che è la distruzione del nemico e l'occupazione del suo territorio, senza aver prima raggiunto una serie di obiettivi tattici tendenti a disgregare il nemico prima di affrontarlo in campo. 

Tutto il periodo prerivoluzionario si presenta come un'attività prevalentemente tattica, rivolta ad acquistare nuovi alleati al proletariato, a disgregare l'apparato organizzativo di offesa e di difesa del nemico, a rilevare e ad esaurire le sue riserve. Non tener conto di questo insegnamento di Lenin, o tenerne conto solo teoricamente, ma senza metterlo in pratica, senza farlo diventare azione quotidiana, significa essere massimalisti, cioè pronunziare grandi frasi rivoluzionarie, ma essere incapaci a muovere un passo nella via della rivoluzione.


Non dimentichiamo chi ha lottato, anche dall'interno di un  carcere, privato della libertà materiale, ma non di quella di pensiero - dal regime fascista - per diffondere le sue idee di libertà, uguaglianza e giustizia.
Non dimentichiamo che come dice Hegel nelle Lezioni di filosofia della storia: "I grandi uomini - gli eroi - non hanno mai avuto una vita felice, e mai ll'avranno, perchè hanno anteposto ad ogni altro desisderio, la passione per l'universale".
                                                                   M.P.

 
 
 

Sereno - Variabile

Post n°66 pubblicato il 09 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

Lungo il pendio irto
immaginescivola l'immenso spettro
d'arcobaleno in prismi
d'onde laser variopinte
urlanti
Uggiosa la pianura
e la giornata scarna
riflette rimbalzando luci
fra vapore di cristalli
in gocce micropuntuali
spilli
Nei pozzo fra la terra
c'è acqua precipitata
ora calma e distesa
che riflette il cielo
nuvolo
La pioggia asciutta
ormai è la strada
cessa di stillare
In questa mascherata
vita
in questo carnevale

M.P.



 
 
 

"Sinistra wanted" (Dov'è finita la sinistra? )

Post n°65 pubblicato il 08 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

Il cielo si squarciaimmagine
in cromatismi roseo
sbiaditi d'ideologie.
Solo satura l'aria
è pregna, frammentata
orfana d'ideali decaduti
a compromessi storici,
ad opportunismi pseudo-
olistico-democratici.
Al bando ogni seme
di storicità dialettica
l'esistente ferma
il tempo all'ora
alla staticità dominante.

Tramontati i rossi
movimenti e le bandiere
smesse nei cassetti
celate ai venti
scintille e incendi.
I sogni e le utopie
dei sognatori
- romantici combattenti -
di libertà strappate
dalle mani le falci
ed i martelli arruginiti
come le menti avvinte
assoggettate e spente.

Accese le Tv
a tacere i dissenzienti
concetti operativi
dirigono correnti,
masse e coscienze.
Coalizioni
che poco di mancino hanno,
e di sinistro non sanno tirare
nè pugni, ganci fermi
al mento per rivoluzionare;
incontri a tavolino truccati
già in partenza decisi
vinti o persi
tra bipartisan realismi
rappresentativi di se stessi.

Infausto il Fausto
contraddizione assurda
seduto nella Camera
riforma la sua essenza
originaria genesi
sorta dal Manifesto
ripudia e scende a patti
e i popoli sconfitti
cittadini al voto uguali
ma di seconda classe
nel quotidiano assistere
ad uno Stato eletto
lasciato senza briglie;
col campanello in mano
al posto del martello
la falce ben nascosta
e nelle testa e in bocca
la vergogna a dire forte:
"Io sono comunista!"

M.P.

 
 
 

RISPOSTE E PRECISAZIONI AL POST PRECEDENTE:"ADOZIONI GAY, PACS E DOGMATISMO : PARLIAMONE INSIEME."

Post n°64 pubblicato il 06 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

immagineCredo che l'argomento richieda lo spazio di un ulteriore post, vista la complessità dell'argomento trattato
Sò di svolgere un ruolo antipatico, ma questo è il rischio che comporta l'assunzione di un atteggiamento critico.
Amici, credo qui si continui ad eludere il problema e a trasporre quella che è una questione concreta su un asse diverso da quello in cui invece la questione stessa si pone nella sua realtà fattuale, ovvero al di là di ogni truistica presupposizione antidiscriminatoria, pregiudiziale ideologica o moraleggiante.
Cercherò, dunque, di essere più chiaro e preciso, approfittando anche per rispondere in una unica soluzione ai vari commenti del post precedente, commenti per i quali, sia sottinteso, vi ringrazio e che continuano ad essere ben accetti.
Tenendo fermi alcuni punti, ovvero che:

1) é nel diritto di ogni individuo poter vivere la propria sessualità liberamente, sa esso etero o omosessuale;

2) è necessario evitareed impedire ogni discriminazione fondata sulle preferenze o tendenze sessuali di una persona, sui pregiudizi sociali, pseudoreligisi o ideologici ( elementi ke spesso coincidono) sulle stesse;

3) si ha da garantire l'uguaglianza sociale di ogni cittadino e il rispetto dei suoi diritti d'innanzi alla legge;

4) la naturalità (biologico-genetica) no va confusa con la naturalezza (socio-culturale) di un modo di esser della sesualità e che anche se si dimostrasse l'innaturalità (biologica) dell'omosessualità, ciò non sopprimerebbe il diritto ad esistere la stessa liberamente da un punto di vista ontico-esistentivo;

5) l'amore donato da una coppia genitoriale etero non è contenutisticamente ( formalmente forse ) diverso - da un punto di vista del donatore - da quello di una coppia "omo":

6) un essere  ( bambino) già formatosi ( non più neonato) non pone evidentemente o solo provabilmente il problema dell' "identificazione" o del possibile "conflitto psicologico" il quale non è certo venga all'atto, ma che nemmeno si può essere sicuri non si presenti assolutamente;

7) Non è legittimo il paragone effettuato con figli di coppie etero maltrattati, che hanno subito violenza, o cresciuti in famiglie omogenitoriali "non omosessuali" in cui cioè le figure genitoriali siano sostituite o assolte ad es, dalle coppie relazionali madre/nonna, sorella/sorella, solo madre o solo padre, ecc. .  Nel primo caso perchè se è illegittimo e condannabile come aburia, e atto di incoscienza disumana l'essere della violenza verso un minore, diversamente non lo è l'essere omosessuali. Nel secondo, invece, perchè tali coppie di fatto comunque omogenitoriali o monogenitoriali, sono formate, composte da individui la cui sessualità è di carattere eterosessuale e quindi la questione si pone su un piano di discussione e di problematicità che non è inerente a quello di cui qui si vuol trattare, ovvero - lo ribadisco perchè a quanto pare non lo si è compreso o è stato più comodo non farlo - quello della crescita di un neonato in una coppia omosessuale e non in una coppia etero con figure mono, monogenitoriali  di maltrattamenti sui minori, che è superfluo dirlo, possono avvenire malauguratamente indifferentemente dalla sessualità dei genitori.

Ora, tenendo ben fermi tutti questi aspetti, senza voler dunque continuare a zig-zagare aggirando la questione, il dubbio rimane aperto, e ciè:

E' la cosa più giusta ( per un bambino) consentire a una coppia omosessuale ( non omogenitoriale o coppia di fatto etero) di crescere un bambino sin dalla sua nascità?

Qui è l'omosessualità ad essere chiamata in oggetto come elemento da valutare, non in sè, ma in rapporto alla sua possibile influenza sulla crescita di un neonato e non altri elementi, che semmai pongono certo problemi, ma di carattere e eziologia diversi.

Si è parlato di "parità di diritti" di ogni persona di fronte alla legge, ma:
in primo luogo qui una legge ha ancora da farsi; in secondo luogo una legge può prevedere, contenere al suo interno delle eccezioni, quando l'omissione di queste ultime possano portare a ledere o a non tutelare altri diritti ( si pensi alla legge sulla clonazione terapeutica e al divieto di clonazione a scopo riproduttivo-genetico ); infine non si tratta, in questo caso, di discriminazione su base pregiudiziale, razziale o sessuale in sè, ma di volontà di riflessione volta alla tutela e alla garanzia di libertà di crescita - il più possibile scevra da condizionamenti - di un futuro essere: il neonato.
Non consentire, ad esempio, la procreazione assistita o la fecondazione in vitro ad una donna di 70 anni, non significa mettere in atto una discriminazione avente come oggetto l'età della donna, ma il futuro del nascituro ( e non mi si dica che non si riscontrino conseguenze sul futuro del bambino, perchè allora si vuole guardare a un mondo ideale e non concreto).

Quando ero piccolo, bambino io stesso, e prima di cominciare i miei studi, rammento la mia allora radicata convinzione secondo la quale " tutti gli uomini erano uguali e, di conseguenza, dovevano amarsi l'un l'altro".
Un mondo siffatto - forse - sarebbe stupendo, perfetto, ma quello in cui noi esistiamo non è così, anzi è proprio l'entropia, l'imperfezione a permettere l'esistenza in un continuo e perpetuo tentativo mosso dalla perfettiblità verso la perfezione.
Nella mia fanciullesca concezione del mondo, v'era un qualcosa di troppo: l'obbligo di amare l'altro! Non si può, insomma, OBBLIGARE NESSUNO AD AMARE NESSUN'ALTRO E TANTOMENO SE STESSI A FARLO, Ovvero ad amare qualcuno che ci infastidisce istintivamente o che non ci aggrada, magari anke solo per una questione di temperamenti diversi. Lamore è un sentimento e per quanto io insista nel dire a me stesso che devo amare chi invece non amo, cvontinuerò a non amarlo: l'amore non è sottoponibile al controllo del dovere, nè, di conseguenza, della razionalità. Se, però, non posso obbligare nessuno, ne tantomeno me stesso ad amare chi non amo, posso, viceversa -. e proprio solo e in base al fatto che non lo amo - obbligare me stesso liberamente e autonomamente ( L'imperativo categorico kantiano ci è qui chiarificatore) alla tolleranza e al rispetto di ciò che non amo, ma che riconosco razionalmente, in quanto persona, meritevole di rispetto.
Tolleranza e rispetto, infatti, sono passibili di costrizione tramite l'impegno e la forza di volontà, mentre l'amore è un patire, un sentire, un sentimento non sottopnibile alle leggi della ragione, se non sottoforma di rispetto per l'appunto, che però non si pone necessariamente in un rapporto analitico con l'amore ( come invece si pone l'amore nei confronti del rispetto), quantopiù in un rapporto sintetico, nel senso che dove c'è amore deve esserci necessariamente anche rispetto, ma dove c'è rispetto non è detto che debba esserci necessariamente anche amore.
D'altro canto, come ho già accennato, è proprio il superamento di quella dicotomia odio/amore tramite la volontà e l'impegno in questo superamento stesso che consente l'essere del rispetto e della tolleranza.
Se tutti ci amassimo, non si necessiterbbe di alcuna tolleranza, di alcuno sforzo di superamento delle diversità che ci costituiscono e ci arricchiscono l'un l'altro in quanto esseri umani. Per questo motivo le religioni non potranno che fallire sempre, perchè pretendono l' "amore universale" fra gli uomini, ma l'amore non può essere preteso, quantopiù provato, mentre il rispetto non solo lo può, ma lo deve.

Questo discorso per far comprendere come l'argomento dell'amore - sebbene coscienziosamente d'un valore elevatissimo - non sia razionalmente fondante o risolutivo, non combaciando con il modo d'essere effettuale in cui l'uomo è "gettato" nel mondo.
Come dire: se tutti ci amassimo non saremmo uomini, ma Angeli, essenze astratte senza individualità nè differenze, senza necessità di mostrar il nostro impegno quotidiano nel superamento dei nostri naturali conflitti: è ormai superata la tesi aristotelica dell'uomo come animale politico, naturalmente socievole. La storia lo ha dimostrato e Hobbes lo confermò ponendo le basi della socievolezza sulla presa di coscienzadella conflittualità che caratterizza costitutivamente l'essere umano e sulla necessità di un suo impegno nel vivere in società.
L'argomento dell'amore è, in questo frangente, meramente ideologico e truistico, seppure comodo e riduttivo.
 A questo punto, abbiamo quindi distinto l'organismo della "famiglia-coppia" omogenitoriale da quello della famiglia "allargata" e delle coppie di fatto monosessuale e l'argomento dell'amore, dal problema delle "adozioni di neonati ( solo neonati) da parte di coppie ( esclusivamente) omosessuali, spero ora comrendendo essere problemi importanti tutti, ma ponentesi su piani e livelli di tematizzazione diversi, assolutamente non analoghi.

Qual è allora il problema? Restringiamo ulteriolmente il campo di determionazione.
La questione aporetica sorge qui e riguarda il conflitto esistentivo generantesi fra il bisogno di garantire la realizzazione il più equilibrata e ragionevole possibile di due libertà:
Da un lato, quella legittima delle coppie omosessuali e del loro desiderio di avere una famiglia e, dall'altro, quello della libertà del neonato di non essere condizionato ( sebbene in buona fede o involontariamente) nel suo modo di formarsi e di essere, prima ancora di essersi potito formare una coscienza sessuale propria e una equilibrata stabilità psicologica.

Ora, altro elemento dubbioso e possibile spiraglio di soluzione che si pone è:
L'omosessualità è un modo d'essere totalmente deciso nella sua naturalità ( selettivamente d'origine biologica) o è un modo di essere che può subentrare anche - e non solo - come naturalezza, come condizionamento derivante non necessariamente, ma ipoteticamente e possibilmente, dal tipo di composizione del nucleo familiare in cui l'individuo, da neonato, si è formato ed è cresciuto ?
Se si dimostrasse la naturalità (biologica) dell'omosessualità forse l'adozione-crescita da parte di coppie omo non avrebbe nessuna obiezione, anche se razionalmente continuerei a obiettare con una riflessione che la stessa "naturalità" porrebbe, ovvero:
" se, per assurdo, tutti fossero "omosessuali" la specie umana avrebbe mai potuto venire all'essere, evolversi o non si sarebbe provabilmente già esinta prima di potersi essa stessa generare?
Nonsappiamo - o forse io solo ignoro - la reale genesi di tale modo di essere della sessualità e proprio questo dubio deve infonderci il dubbio nel voler dare risposte certe e scontate. Abbiamo infatti potuto constatare come la questione sia ssai complessa e non riducibile a uno stereotipo, ad un ideologica ne tantomeno idealistica presa di posizione di parte, tramite il richiamo a uno scontato e dovuto quanto irreale e demagogico"amore universale"; all'indifferenza della fonte da cui tale amore proviene; da una sua naturalità biologica ecc.
 Ripeto: credo che se si vuole veramente cercare di dare una risposta a tale quesito, sia necessario ammetterne il peculiare aspetto di PROBLEMATICITA', senza nascondersi dietro un mero buonismo o un ideologica malafede che ne metta da parte la critica concreta e l'analisi di cui esso abbisogna in virtù di un mondo diverso da quello in cui noi esistiamo.
L'equilibrio - in questa esistenza vissuta -  fra diritto alla libertà dell'omosessualità e diritto alla libertà del neonato futiro individuo nel mondo è il fine da perseguire senza nascondersi dietro a semplicistici, furvianti e comodi espedienti. Possiamo anche dire che "in realtà" il problema non sussiste, ma in questo caso quel mondo al quale quel "in realtà" fa riferimento, non è certo quello in cui esistiamo quotidianamente, ma un mondo altro creato a difesa di una umanità anch'essa altra, aliena e immaginaria.
E' in questo mondo che la nostra teoria deve poter mutare in praxis, ed è solo in esso che tale mutamento può e deve realizzarsi!

                                                                        M.P.

N.B.
Ringrazio tutti per gli interventi fatti e che spero seguiranno e chiedo venia per l'eventuale tono polemico del testo, che vuole comunque sempre e solo essere una provocazione per stimolare la riflessione su uno dei tanti cambiamenti che oggi, come ieri e come in futuro, questo nostro vivere insieme, ci porta a dover affrontare.

                                                                 Un saluto a tutti ...  Broken

Chiedo scusa anke per gli errori ortografici che provvederò a correggere al più presto, ma sono sveglio dalle 5.00 del mattino ed ho un sonno indicibile, quindi notte!!!!

 
 
 

ADOZIONI GAY, PACS E DOGMATISMO : PARLIAMONE INSIEME.

Post n°63 pubblicato il 03 Marzo 2007 da brokenheart74dgl

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Mi rendo sempre più conto della necessità di una conoscenza filosofico-politica richiesta per una appartenenza che non si riveli meramente dogmatica ad una posizione ideologica. Mi capita spesso di sentire persone "di sinistra" che mai hanno sentito parlare di Marx, così come pseudomarxisti che non conoscono Hegel. E' possibile, mi chiedo, comprendere il comunismo nella sua interezza umanitaria e teoretica senza conoscere i presupposti che ne stanno alla base? Senza queste conoscenze si aderisce ad una posizione, così come si aderisce ai comandamenti di una religione o ai suoi dogmi. Non voglio qui tirare in ballo la critica sartriana delle "Questioni di metodo" all'ortodossia marxista, che pare dimenticare l'uomo storico in vece di un insieme di leggi predeterminate, a una sorta di chiliasmo che certo, in questi termini, resta facilmente soggetto alle critiche di utopisticità del comunismo. Quanti militanti di sinistra conoscono il "materialismo storico" o l'engelsiano "materialismo dialettico"? E quanti sanno distinguere la sua progettualità originariamente umanitaria avente come fine il famoso "regno della libertà" marxiano, la differenza fra socialismo utopico e socialismo scientifico o la matrice originariamente comunitaria da quell'attuazione storica che, invece erroneamente, tende ad identificare Comunismo e Stalinismo?
Il termine comunismo - per non parlare di quello di Rivoluzione -  è oggigiorno strumentalmente utilizzato come mezzo di terrore, come spauracchio da parte del sistema dominante per mantenere la sua egemonia sulle masse, distorgendone il significato in termini operativi piuttosto che delineandolo, marcusianamente parlando, in modo concettualmente cognitivo. Molti aderiscono alla sinistra nella sua forma sfalsata, in una sorta di "scolastica" dogmatica e ideologicizzata che mette da parte ogni critica autonoma sul reale o sulla attuazione dei principi che essa ingloba a priori e propone nella società istituzionalizzata. In parole semplici: molti accettano tout cour alcune proposte in quanto ritengono che debbano esser giuste perchè sono di sinistra e non che perchè ritenute giuste, tramite un vaglio critico, possano entrare a far parte di un progetto progressista. Così si ritorna alla divinizzazione della Ragione hegeliana che proprio Marx aveva voluto superare, capovolgendone l'impronta idealistica in istanza storico-materialista. Insomma, in tale prospettiva se qualcosa è progressista è di sinistra e deve esssere accettato perchè è giusto; ed è giusto perchè è di sinistra. Inorridisco e rimango sgomento d'innanzi a queste manifestazioni, perchè appaiono più come tifi calcistici che come appartenenze politiche, più come teologizzazioni politiche che come ideali fondatamente sotenuti.
 
Un pratico esempio è quello dei PACS, nei confronti dei quali sono favorevole, ma che mi lasciano in dubbio per quanto concerne una loro futuribile espansione, ovvero quella della concessione del diritto alle coppie "omosessuali" di poter adottare e crescere un bimbo neonato. Non posso accettare tale progetto solo perchè "sono di sinistra", in quanto la mia ragione e la mia volontà originaria, che si pone come fine sempre e solo l'instaurazione del maggior livello di giustizia, uguaglianza e libertà possibile per tutti, non può esismersi dalla critica - nel senso di analisi razionale - di questa prospettiva.
Credo che il dialogo sulle possibili conseguenze di un tale progetto debba essere intrapreso al di là di ogni appartenenza o schieramento, analizzando le ripercussioni che una tale "concessione" potrebbe avere sul diritto di libera scelta del neonato, sulla sua libertà sessuale - nella quale formazione una sorta di imprinting è indiscutibilmente influente - e sui possibili effetti psicologici.
Non sono ne a favore nè, tantomeno, contro la possibilità di una tale "concessione", ma solamente in dubbio, in situazione di problematicità. La questione rimane per me problematica e da elaborare cercando, il più oggettivamente possibile, di definire le conseguenze di una tale scelta in senso positivo o negativo.

Per questo è necessario abbandonare ogni dogmatismo ideologico e considerare solo l'impegno nel poter trovare la soluzione più equa, più ragionevole e meno lesiva per la crescita di un futuro individuo. La critica razionale di ogni proposta dunque, prima di tutto, da parte di ogni singolo individuo e indipendentemente dal suo"credo" politico, per non trasformare il comunismo che proprio contro l'alienazione religiosa si scontra, in una nuova religione.
Il dialogo e la discussione critica fra esseri coscienti e razionali sempre in primo piano e per questo chiedo a voi la vostra opinione, per poter fare chiarezza tutti insieme su un tale aspetto fondamentale della nostra società, nel tentativo di non ledere la libertà nè dell'essere della sessualità che ciascuno ha il diritto di esistere liberamente, nè, d'altro canto la futura esistenza di un nuovo individuo:

Che ne pensate voi in proposito? Vi ritenete a favore o contro una possibile legge o un progetto in questo senso, ovvero concedente il diritto a coppie "omosessuali" di crescere un bambino, sottolineo neonato, e di adottarlo fin dalla sua infanzia? E se si o no, perchè ?

Spero vogliate aiutarmi a fare luce su questo mio desiderio di chiarezza, invitando il maggior numero di persone a dare la loro opinione motivata.

Grazie di cuore Broken

 
 
 

Guscio di cristallo

Post n°62 pubblicato il 02 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

Coccio d'uovo immagine
sterile
calcareo appaio refrattario
impenetrabile sostanza
Respiro  invece
Quantici
pori alveolari
l'aria albuminea
traspirano dal guscio
viscido
con asmatico sforzo
Pressato ai poli
indistruttibile
Preso d'intorno
in giro ingenuamente
fragile cristallo
m'apro crudo
indifeso
Atterra stram(p)azzato
mi diluisco
invischiato nel mondo
opaco
mi sciolgo
e al rosso del sole
secco

M.P.

 
 
 

Ricerca d'autenticità

Post n°61 pubblicato il 01 Marzo 2007 da brokenheart74dgl
 

Reale immagine
ingannatore avido
saccheggiatore nella nebbia
camuffato e avvolto
Non nasconderti spietato
assassino d'emotività
ma fatti vivo al tatto
almeno pungimi
coraggio
Alzerò la bandiera
bianco velo al vento
di pace simbolo
se con me stesso
tregua stipulerò
Dovrò gettarti addosso
polvere d'un nero pece
per renderti visibile
alla mia coscienza
Nella cecità
del mio animo
scorgerò la sagoma
del me che rinnego
e dirò: sei Tu, son Io ?!"
solo allora forse
rinascerò autentico

M.P.

 
 
 

                    Schiavitù proletaria

Post n°60 pubblicato il 28 Febbraio 2007 da brokenheart74dgl
 

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(Venerdì 06/08/2005; ore 01.46 a.m.)

Capitalismo e consumismo.
Schiavitù proletaria: l’illusione dell’oggettivazione.

PREFAZIONE

In questa mia breve riflessione personale sul mondo del lavoro, ma più in generale sul sistema capitalistico, del quale vuol essere espressione critica, considerando quest’ultimo come causa di un decadimento della dignità umana e di un suo sfruttamento da parte di pochi; il termine proletario è spesso usato come sinonimo del termine operaio, ma ciò è dovuto all’esperienza personale che più direttamente mi convolge e che meglio conosco.

Deve essere però chiaro che col termine proletariato non intendo riferirmi alla sola classe operaia, quantopiù, diciamo così, negativamente, a tutti coloro che sono esclusi dalla classe dominante –ovvero dalla classe del capitalismo borghese –, quindi, anche a impiegati, a piccoli artigiani ed imprenditori medio-piccoli.

A questo proposito, prima di cominciare questa mia breve considerazione, mi sembra necessario, per una maggiore chiarezza, demandare i significati di capitalista e di proletario, alle definizioni di Engels, nell’omonimo scritto “Che cos’è il comunismo?”, sebbene – ci tengo a precisarlo – la mia posizione non sia adducibile, ne completamente racchiudibile all’interno del pensiero comunista (non potendo condividere tutti gli assunti di quest’ultimo), ma si identifichi invece verso la prospettiva, a mio parere maggiormente garante dei principi di libertà ed eguaglianza, di quello che Sartre definì “socialismo libertario”, per il raggiungimento del quale, ritengo comunque indispensabile il passaggio social-democratico, come mezzo per il perforamento di quel velo ostacolante che è l’egemonia borghese, per poi, una volta conseguito il consenso delle masse, mettere in atto quello che è il fine reale, lo scopo ultimo dell’oposizione aal’ordine dominante: il superamento rivoluzionario del sistema neoliberista stesso.

“La rivoluzione non è un momento di rovesciamento di un potere da parte di un altro, ma un lungo movimento di svilimento del potere. Nulla ci garantisce che riuscirà, ma nulla può convincerci razionalmente che lo scacco sia fatale. Ma l’alternativa è proprio questa: socialismo o barbarie”. ( J. P. Sartre; Autoritratto a settant’anni;  ed. Net; pag 100)

Ma ecco le definizioni di Engels: 

  • La classe dei grandi capitalisti, che in tutti i paesi civili già ora hanno il possesso quasi esclusivo di tutti i mezzi di sussistenza e delle materie prime e degli strumenti (macchine,fabbriche) necessari per la produzione dei mezzi di sussistenza. Questa è la classe dei borghesi o borghesia.

  • La classe di coloro che non hanno possesso alcuno, che sono costretti a vendere ai borghesi il proprio lavoro per averne in cambio i mezzi di sussistenza necessari per il loro sostentamento. Questa classe si chiama dei proletari o proletariato.

                   SCHIAVITU', ILLUSIONE E OGGETTIVAZIONE 

Ogni uomo, ogni esistente che porti in sé l'umanità, cerca nella sua esistenza uno scopo, un motivo del suo stesso essere nel mondo.

Ciò è normale. Come può, infatti, un uomo (essere umano) non sentire l'esigenza di poter esprimere il proprio "essere possibilità esistente" in qualcosa che ne giustifichi l'esser venuto a questa vita?

Ogni uomo, dunque, marxianamente parlando, cerca il suo rapporto certo con la natura, col mondo, ma contemporaneamente e soprattutto, con sé medesimo, nel lavoro.

Ora, il capitalismo, facendo del lavoro una semplice merce di scambio e del salario proletario il palliativo per mantenere più forte il proprio potere schiavizzante, ha portato all'alienazione dell'uomo stesso, il quale continua a cercare invano se stesso nella realizzazione lavorativa che però, nella società borghese-capitalistica, lo riduce a un semplice uomo-macchina (machine-man).

Così i lavoratori si sbranano fra loro per raggiungere posizioni che li rivestano di un’importanza, di un rispetto sociale apparente ma, ancor peggio, si annullano fra sé e sé –anelando a rispecchiare le proprie attitudini, il “tèlos” del proprio esserci non riducibile a un semplice essere astrattamente inteso – ricercando la propria oggettivazione nella dedizione completa ad un'inutile automatismo tayloriano, illudendosi di manifestare, in tal modo, la proprie capacità. In realtà, essi sono inutili (noi siamo inutili); siamo semplici merci, l'una con l'altra interamente scambiabili e pienamente sostituibili.

"Tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile".

Dove questa frase assume maggiore significato, realizzazione e conferma, se non all'interno di una fabbrica?

Un operaio (ma anche un impiegato), un proletario, non ha qualifica alcuna, o meglio, è qualificato unicamente ad essere schiavo del suo padrone. Schiavo certo, perché il proletario vende a basso costo l'unica cosa che non ha prezzo: la propria libertà. Ne è necessitato, certamente, ma proprio per questo è schiavo, non è libero.

Mi si dice che bisognerebbe, invece, ringraziare i grandi capitalisti, i proprietari di aziende, perché forniscono all'operaio, al proletario, il salario per potersi mantenere, per poter vivere.

In realtà il proprietario d'azienda fornisce sicuramente un salario all'operaio, ma non per permettere lui di vivere, quanto più – e la cosa è radicalmente distante dal concetto di vita –, per sopravvivere all'interno di un sistema nel quale, gli unici a vivere, sono i proprietari stessi, grazie al "plus-valore", ovvero al profitto derivante dalla differenza fra prodotto grezzo, costi di produzione (fra i quali rientra il salario), costo delle materie prime e vendita del prodotto finito.

Ora, il costo delle materie prime, non è facilmente contenibile, in quanto deciso da altri capitalisti che perseguono anch'essi un unico scopo: il profitto; i costi di produzione sono anch'essi difficilmente diminuibili, perché essi stessi delegati a fattori eterogenei, inoltre esterni e incontrollabili. Tra questi solo un costo di produzione è in potere del proprietario; solo su uno di essi, quest'ultimo ha il "potere" di agire, seppur per ora solo passivamente: sull'aumento dei salari, della forza lavoro; in poche parole sullo stipendio dei proletari, ovvero sul saggio di plus-valore, come differenza fra stipendi, ore necessarie per la produzione e vendita del prodotto finale. Questi ultimi, infatti, sono gli unici costi variabili, non fissi (determinabili, seppure in parte, dal proprietario), facenti parte anch'essi dei costi di produzione, ed è solo dalla differenza fra i costi variabili – e quindi dall’incidenza più o meno marcata del saggio di plus-valore all’interno di essi – e i costi costanti o fissi, dai quali non può assolutamente essere tratto, spremuto, tantomeno generarsi alcun plus-valore, dal quale si “produce” (quale termine sarebbe più appropiato!) il saggio di profitto del capitalista.

Sicuramente c'è un altro modo di abbassare i costi di produzione, oltre a quello di tener al limite della sopravvivenza gli stipendi, ed è quello di ridurli quantitativamente tramite l'automazione; automazione consistente nell'investimento in macchinari che richiedano un numero di lavoratori sempre inferiore e che abbiano costi fissi di ammortamento finiti limitati nel tempo, a differenza di quelli degli operai, più difficilmente ammortizzabili e comunque sempre maggiormente impegnativi, onerosi, rischiosi (assistenza sindacale, limite produttivo dovuto a orari di lavoro esteriormente definiti dal C.C.N.L.; sistema contributivo; ecc...) e infiniti (l'operaio è un costo, un’incombenza nel tempo, difficilmente ammortizzabile; egli non diviene mai proprietà dell'azienda, anche se dal punto di vista sussistenziale lo è già).

Ma se si aumenta l'automazione si diminuisce, per conseguenza necessaria, la forza lavoro di cui l'azienda abbisogna per sostenere la sua produzione e il risultato è sempre lo stesso: una diminuzione, un impoverimento della classe proletaria, con un aumento del profitto e del benessere della sola classe dominante: la borghesia capitalistica.

Dovrei essere riconoscente ai datori, ai proprietari dell'azienda perché mi permettono di sopravvivere con uno stipendio miserabile?

No, non mi sento affatto in dovere verso di loro, né nella condizione di dover ringraziare coloro che detengono la mia libertà nelle loro mani.

Sentirmi in colpa? Di che?

Per essi, io non sono che una merce; ho un valore meramente profittuale. Il nostro rapporto è un rapporto di lavoro, di semplice scambio – seppur sbilanciato, mal ponderato, iniquamente maldistribuito a loro favore – della mia forza lavoro, in cambio di un salario, di un prezzo, nulla di più.

Essi scambiano il mio lavoro con del denaro: tutto qui! Come se la mia libertà, e la libertà in generale, avesse un prezzo.

A questo punto ogni altro rapporto, eccedente quello lavorativo, cessa.

Io, proletario, sono retribuito per una data quantità della mia forza lavoro, né più, né meno. Il salario che ricevo in cambio, non richiede certo una negligenza della mia prestazione, ma neppure un "plus-lavoro" da parte mia: ne fisico, né mentale, tantomeno un interesse personale oltre quello richiesto dal contratto stipulato fra noi due contraenti e delimitato alle semplici mansioni per le quali mi son venduto, ahimè, come mera merce. È questa la cosalizzazione che avviene all’interno del sistema attuale, ovvero la riduzione dell’uomo e di tutto il potenziale creativo contenuto all’interno della sua umanità, a semplice cosa. Il proletario si appresta in tal modo a deformare il proprio essere, in altre parole a vivere nella continua contraddizione di dover essere ciò che non è (una cosa) e a non poter essere ciò che è (un essere umano).

Se, ad esempio, il padrone paga € 100 per 200 chilogrammi di materia prima, di merce grezza, e se il prezzo della merce è di 0.5 euro al chilogrammo, egli riceverà 200 chilogrammi di tale merce, non un grammo di meno, certo, ma neppure uno di più.

Ora, le stesse condizioni valgono sul piano del rapporto lavorativo, ove vige la medesima analogia, ovvero:

 

M (Merce) : P.A. (Prezzo d'Acquisto) = F.L. (Forza Lavoro) : S (Salario).

Questa è la legge del capitalismo e del liberismo economico, il quale porta ad una “libera” concorrenza, ma libera solo di diritto, non di fatto: libera concorrenza, infatti, limitata a chi detenga abbastanza capitali da poter concorrere; da chi abbia la copertura finanziaria necessaria da consentire lui di potersi sedere al tavolo da gioco destinato ai soli miliardari.

Purtroppo, si sta facendo confusione, inoltre, fra un legittimo liberalismo e un degenerante liberismo, e ciò è sempre più inquietante; è questo, però, un argomento che in questa sede non ho possibilità, né pretesa, di approfondire.

Il problema, assai preoccupante dal mio punto di vista, è, invece, quello dell'operaio il quale, ancor prima uomo che operaio, cerca oggettivazione in un lavoro che invece lo porta, inconsapevolmente – forse – ad alienarsi sempre più, principalmente da se medesimo. Un lavoro che non è più oggettivazione di sé e delle proprie capacità nella natura, come riconoscimento del proprio produrre in un prodotto di cui egli è alla fine proprietario e di cui può "vantare", diciamo così, la fattura; viene meno, con la cosalizzazione dell’uomo, l'oggettivazione del suo specifico impegno, del proprio sè, delle proprie possibilità e capacità creative, della propria oggettivazione, per l’appunto.

No, l'operaio è solo l'equivalente di una merce che produce altra merce a favore di un terzo che ne beneficia a spese del primo; a spese dell'incommensurabile valore della sua libertà.

Nessuna differenza passa, a questo livello, fra il pulsante pigiato dall'operaio per azionare un macchinario, il macchinario stesso e la merce da esso prodotta: nessuna.

Almeno così è per il proprietario che vede bene in questo senso, mentre, ahimè, il povero proletario operaio si illude di essere utile, di oggettivarsi, di esprimersi in un lavoro che altro non è, in realtà, che il suo sfruttamento e un mezzo di oggettivazione per qualcuno che non è lui, ma il suo padrone: il capitalista.

Si illude l’operaio, che il suo produrre, il suo impegno nell’atto lavorativo, abbia come riflesso un rispecchiamento del proprio essere nel mondo; che la sua dedizione oltremodo ossessiva all’atto produttivo aziendale, trovi il suo corrispettivo in una partecipazione attiva a quella legittima costruzione del mondo di cui egli è parte e a cui vuole lecitamente partecipare, apportando anch’egli il suo contributo. Si illude, soprattutto, che la sua cooperazione all’atto produttivo realizzi il suo essere – con tutte le potenzialità ad esso connesse –, nell’esserci, ovvero nell’essere presenza nel mondo. L’uomo proletario-operaio opera nella falsa illusione, nella credenza – generata furbescamente dallo stesso sistema che lo schiavizza –, che il suo impegno sia proporzionale al riconoscimento delle sue qualità; che quel “di più” da esso investito nel lavoro, si traduca automaticamente in una sua attiva partecipazione alla costituzione e alla trasformazione della natura, dell’ ”altro da sé “, del mondo nel quale egli è gettato con l’esistenza. Trasformazione che è in suo diritto attuare, per sentirsi parte del mondo di cui fa parte e non, estromesso da esso, passivamente come semplice cosa, quale invece egli è considerato dal capitalista, dal suo padrone. C’è pero una sottigliezza linguistica, una sorta di paralogismo atipico, in quanto generato dalla coscienza (e non dalla ragione) diciamo così “irriflessa”, immediata, che nella fattualità non è tale e che va considerata in tutta la sua portata di significato, sulla quale si fonda l’illusione del proletario. Tale situazione potrebbe sintetizzarsi nell’inautenticità heiddegeriana (nell’impersonalità del “si” inautentico), così come nella malafede sartriana. L’operaio, non trasforma, non genera col suo operare, un cambiamento nel mondo naturale inteso tout-cour; non diviene, col suo impegno, oggettivamente partecipe del costituirsi storico del mondo inteso come fattualità storico-sociale, insomma del mondo tutto come insieme di natura, socialità, economia. No, egli ­– o forse sarebbe a questo punto più esatto, in quanto cosa, dire “esso” –, partecipa solamente, non, si badi bene, alla trasformazione, quantopiù al mantenimento di quella parte di mondo che si identifica limitatamente al mondo capitalistico, al sistema consumistico. Il suo impegno, il suo lavoro accresce unicamente la potenzialità del sistema di cui egli è parte, sottomesso; aumenta solo il potere dei suoi padroni e, più il sistema si potenzia, più i principi cardine che ne stanno a fondamento, incrementano la loro portata cosalizzante sull’uomo-proletario. Come dire: il proletario diviene in tal modo il principale generatore, la forza motrice, il fattore determinante del sistema che lo rende schiavo. L’operaio diviene, in questo senso, il principale responsabile del suo proprio suicidio come uomo e, parallelamente, il garante della sua stessa schiavitù dal sistema; sistema nel quale egli si illude di essere libero e dal quale, invece, aumenta esponenzialmente sempre più la dipendenza della propria sopravvivenza. Insomma, il proletario si oggettivizza nella produzione di quelli che egli crede essere maglie di una collana rispecchianti il valore della sua libertà creativa, del suo essere uomo nel mondo, mentre, invece, non si rende conto di star producendo gli anelli delle catene che lo rendono schiavo di un mondo fatto per pochi possibilitati.

È su questa illusione che il capitalismo e il sistema consumistico poggia, vive, si nutre, si alimenta avidamente in un circolo vizioso auto-rigenerantesi e che, non può che condurre a un sempre maggiore accentramento monopolistico dell'economia, con le conseguenze nefaste che si possono facilmente immaginare: potere economico nelle mani di pochi capitalisti che controllano il mercato, i prezzi, i salari, la politica, l’informazione: un monopotere assolutistico e autoritario, di cui l'esito ultimo e inarrestabile processo saranno, ma in parte già lo sono, l'ineguaglianza e l'ìllibertà; un potere sempre più classista, elitario.

Si potrebbe obiettare, per concludere, che in fondo i proletari sono liberi di scegliere di non sottomettersi al giuoco capitalista, al ricatto dei padroni. Nessuno obbliga loro di cedere la propria libertà a poco prezzo; nessuno obbliga nessuno a lavorare a queste condizioni: essi sono liberi, direbbe la parte interessata, in questo caso avversa.

Come non dar ragione a questa prospettiva; d'altronde, ogni uomo è libero di scegliere, ma è libero solo in un sistema ove i principi che fondano il sistema stesso, siano essi stessi fondati sulla libertà e sull'uguaglianza. Ma il sistema attuale non è tale. In esso non vige la libertà, l'eguaglianza ancor meno; la legge delle pari opportunità è solo un fantasma: una sirena ammaliatrice messa sullo scoglio della falsa informazione e dell’affabulazione, dai media della destra liberista per incantare i proletari, dei quali solo pochi portano il nome e la forza di volontà di Ulisse.

Così, certo, i proletari sono liberi di scegliere di non lavorare, il che, però, nella società attuale è sinonimo di essere liberi di non poter sopravvivere altrimenti, se non lavorando per il capitalista, vendendo cioè la propria libertà al misero prezzo della propria sopravvivenza stessa e credendo, tutto sommato, di essere liberi; di essere anch’essi proletari appartenenti alla classe borghese benestante per il semplice fatto di potersi permettere l’auto con i cerchi in lega, il telefonino nuovo ogni mese, un viaggio alle Maldive o che so io, un jeans di Armani all’ultimo grido, una casa propria.

Anche in questo modo, però, essi si incatenano a non uscire più dal sistema che essi stessi contribuiscono a sostenere.

Si pone qui il problema della scelta e del rischio.

Si può scegliere di estraniarsi dal sistema, ma ciò comporta, in primo luogo avere coscienza dell’illusione di cui si è oggetto, il che è già di per sé raro; in secondo luogo anche la sempre più rara consapevolizzazione di tale illusione e la decisione, la volontà, il desiderio di volersi svegliare da essa per cogliere la realtà quale essa è veramente, comporta un rischio a cui pochi sono disposti e spesso impossibilitati ad esporsi, e per ragioni fondate (che ora esporremo), non lo metto in dubbio.

Il proletario con famiglia, con un mutuo sulle spalle, che – resosi conto del raggiro capitalistico – decidesse di arrischiarsi all’attività personale, lasciando un sicuro posto dipendente con un salario mediocre ma stabile, sarebbe definito uno scellerato, un irresponsabile. Egli sarebbe avvolto da una quantità enorme e ineludibile di responsabilità, di doveri – se non altro verso gli altri, verso i suoi cari – che costituiscono essi stessi parte degli anelli delle catene che lo costringono a rimanere a far parte del sistema stesso, se pur egli abbia tutta la volontà di liberarsene. Però non può, perché egli non è una cosa, ha dei sentimenti, degli affetti, dei doveri, è un essere umano e come tale, non basa la sue decisioni unicamente sul profitto personale, sull’utilità, come il suo padrone fa con lui trattandolo come cosa. L’essere “umano” è la sua debolezza, diciamo così; debolezza della quale il suo padrone è ben consapevole e di cui ben sa servirsi per continuare a schiavizzarlo. La cosa “operaio” è disposta a disumanizzarsi – e proprio in questa disponibilità a disumanizzarsi, vale a dire a rinunciare alla sua essenza costitutiva, a riporla in un angolo di sè, risiede la sua umanità –, a vendersi, se non per se stesso, per quei sentimenti che lo legano ai suoi cari; se non per la propria felicità, perlomeno in virtù di non deludere le aspettative che altri ripongono in lui, anche se quelle aspettative non sono le stesse che egli stesso ripone in se stesso, o che da se stesso e per i suoi eredi si attende. Se liberarsi dalle catene comportasse un rischio personale, il venire meno della possibilità della propria sopravvivenza, il rischio della propria morte (se non fisica, perlomeno sociale) ma nella libertà, l’uomo-proletario, probabilmente sarebbe disposto ad affrontarlo. Egli però non è mai solo; è paticamente legato da rapporti, da legami umani per i quali non è disposto ad affrontare i rischi che per sé, invece, forse affronterebbe.

Il proletario è costretto a cosizzarsi proprio perché è un uomo e non una cosa ( e ciò avviene in generale nel processo più ampio del sistema consumistico che controlla la società attuale); ecco la contraddizione causa delle nevrosi, delle depressioni, delle insoddisfazioni dell’uomo moderno, con i conseguenti atti di affermazione sostitutivi come unica alternativa di distinzione, di riaffermazione della propria umanità cosizzata dal sistema, degenerati barbaramente nei fatti di cronaca che lasciano sgomenti (stupri, gare automobilistiche sulle strade urbane, lanci di sassi dai cavalcavia, ecc, ecc…) e che la sociologia spesso attribuisce alla psicologia. Ma cosa sono essi, se non le nefaste conseguenze, se non l’effetto di un sistema che costringe l’uomo ad annullarsi nel suo stesso essere, vendendo una parte di sé inscindibile dal suo essere esistente stesso come uomo: la libertà?

Ma se già l'espressione "vendere la libertà" è in contraddizione con il concetto stesso di libertà, essendo la libertà caratteristica costitutiva e sostanziale dell'essenza umana, quindi inalienabile,  e non un suo attributo (l'uomo è tale perché è libero: è questa stessa libertà); d'altro canto, il non aver altra scelta – se non la morte –, che doversi assoggettare necessariamente al potere di qualcuno per poter sopravvivere, è ancor più, in quanto negazione della libertà stessa alla vita, essere suo schiavo.

Quale modo migliore, infine, per concludere e al medesimo tempo riassumere questa mia breve riflessione, se non citando Engels quando, nell’omonimo scritto “Che cos’è il comunismo?”, alla domanda n° 7, “In che cosa il proletario si distingue dallo schiavo”, egli risponde:

Lo schiavo è venduto una volta per sempre; il proletario deve vendere se stesso giorno per giorno, ora per ora […]”.

                                     M.P.

 


 
 
 
 
 

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