S_CAROGNE

Rebus sic stantibus

(Last night I dreamt that somebody loved me.)

Fisso l'immobilità del mondo intorno a me, che visto dal mio letto sembra in frenetico movimento. Sono solidamente ancorata ai miei ricordi, anche a quelli immaginari, alla fissità delle mie scelte, al sangue che scorre uguale nelle vene, senza riciclo. Quando avverto forte il peso di un futuro già scritto, il mio corpo lentamente, impercettibilmente, si flette, si inarca, scioglie i legami. E diventa contenitore di liquide sensazioni, di fluidi pensieri, di armoniose corrispondenze. La parola, allora, ghermisce le emozioni e si libra in volo. Inconsistente. Eterea. Ma non ha ali resistenti, sola si annoia e presto soccombe alla legge di gravità, torna giù, mi colpisce, mi inchioda. Le parole che non ti ho detto, per scelta o per amore, le scrivo. Affido loro il mio dolore, almeno parzialmente, perché non urlano abbastanza, sembrano rassegnate. E banali. Non scuotono come il pianto, non palesano l'urgenza di empatia, di silenzio, e non stringono fino a soffocarmi. Piuttosto ci allontanano, confondendosi in mezzo a mille frasi scritte per qualcuno che non sei tu. Se solo le emozioni potessero sublimarsi, piuttosto che liquefarsi, non rimpiangerei quel fluttuare incosciente reo di avermi illusa dell'unicità del mio sentire. E la scrittura sarebbe solo un innocuo esercizio di stile.