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Un blog creato da sara_1971 il 13/07/2007

S_CAROGNE

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Sara

 

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Vecchio Paz

Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

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Hic sunt leones

Post n°520 pubblicato il 02 Giugno 2009 da sara_1971

Silenti lettori che transitate per questo blog in cerca di brucianti fornicazioni, come ben sapete il blog mi serve, oltre che per sperimentare nuove liturgie di corteggiamento webbico, essenzialmente per lamentarmi.

Potrei lagnarmi in linea generale di qualsiasi giorno di questi ultimi tre anni ma preferisco dedicare le mie giaculatorie a quelle ventiquattro ore che cominciano, come tutte le storie vere, con piccole pepite di sfiga e finiscono per trasformare gli uomini in bestie.

Esempio.

Sara, dopo aver indossato il suo quotidiano pile nero pattume per portare le bestie al pascolo, viene obbligata dal destino (e dal portafoglio, non dimentichiamolo) a trascorrere un’interminabile mattinata in quel luogo dove le anime piccole amano fare la tana (Parchitello) con conseguenze deplorevoli su tutte le altre cattività. Il fatto che io nel volgere di un quarto d’ora passi da frequentazioni basate sulla morosità al ruttino decoroso dell’alta borghesia di Torre a Mare probabilmente altro non è che l’ennesimo sintomo della confusione che ho dentro.

E così, in un crescendo antropologico su cui Marx ha basato la teoria del capitalismo, mentre la matrona Parchitelliana discetta con competenza del fantastiliardo di euro speso per ristrutturare la mansarda Sara rimembra con nostalgia al fascino della refurtiva riciclata da Jay, quando la figlia della matrona - inutilmente laureata e distrattamente fidanzata fino all’arrivo di un inguacchio - le mostra la sua bella cameretta infestata da Winnie the Pooh Sara ripensa al giaciglio comunitario abbandonato al mattino con uno squittio di piacere, e nel momento in cui viene gentilmente accompagnata in bagno rimane attonita a rimirare le sconcertanti affermazioni poetiche di ceramica appese ai muri (Soprassiedo sulla fase digestiva ed espulsiva ché mi pare assai meno poetica). Il tutto per pochi miserrimi euro di compenso (prima o poi sgamerete il lavoro a cui mi dedico quando frequento la High Society barese e mi legnerete per benino, lo so).  

Dopo aver venduto per qualche ora l’anima al demonio sindacalista che è in lei, Sara si rimette quindi in cammino con al fianco il suo personale grillo parlante  che ormai da anni le chiede inutilmente di cambiare rotta. E a pochi isolati da casa incontra Jay, che si unisce a lei in una dolente cacofonia di grugniti.

La vita del gagliardo coinquilino è ormai lanciata sul binario dell’alta velocità delle rate (metodo di pagamento di cui gli sono ormai sfuggite le redini).

Anche adesso che il suo scoperto ha raggiunto vette indicibili continua  a fare il passo più lungo della cambiale. I debiti sono dilagati fino alla confisca, e lui riesce  a sfuggire a qualsiasi maglia ingiuntiva nell’unico modo in cui si è in grado di scappare dai propri guai: per puro miracolo.

Nonostante la voce si sia ormai sparsa e tutto il quartiere (ma non solo) lo consideri un insolvente zumpafuss, lui continua ad esercitare uno strano fascino sui creditori e ciò si intuisce dalla garbatezza con cui uno di questi avventori ha soavemente interloquito con noi, davanti al vicinato schierato in parata sul balcone, con una gestualità primitiva eppure assai significativa, in grado di dare maggior risalto (ove possibile) ai  collerici fonemi al nostro indirizzo:

Ch'u male affare nge remitte ngìinze e capetale: Jie v’accidess mò mò ma u tìimbe, s’sape, ié galandome*.

Il soliloquio è terminato con uno di quei gesti distruttivi e minacciosi che così sovente creano un intimo senso di cameratismo tra coloro ai quali sono indirizzati.

(Non che io mi aspettassi  - che ne so – di diventare un professore associato, per carità, però di questo interloquire declinato al plurale ci sono effettivamente rimasta un filino male).

Sara è perciò arrivata a casa con l’avvilimento emotivo che costituisce il clima perfetto per il cambiamento, per di più sapientemente screziata di sarcasmo ed insoddisfazione. E una femmina insoddisfatta, si sa, è una femmina assai pericolosa.

Perciò si è spostata in terrazza per dedicarsi a faccende dannatamente più importanti come guardare la luna e scrivere il post (E lo so, lo sappiamo tutti, il mio non è un atteggiamento maturo). Beh basta, non è né questione di strategia né tantomeno di intelligenza. Come ormai mi ripetono da più parti a turno, è un fatto di conoscenza dell’animo umano, per dirla con paroloni grossi. E di maturità. E di responsabilità. E di moderazione. E proprio quando ero già sul cornicione finalmente ho capito. Strizzando gli occhi e puntando il telescopio l’Amazzonia inizia dove affonda implacabile la punta del compasso.

 

*Con il cattivo affare ci rimetti incenso e capitale (il cattivo affare implica una perdita sentimentale oltre che materiale: rima poetica tipica del Leopardi: suole indicare il mal vezzo imperante nella società moderna). Io potrei fare subito una scelleratezza (vi ucciderei in questo istante, letteralmente) ma il tempo, si sa, è galantuomo (significato vagamente iettatorio).

 
 
 
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