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Un blog creato da sara_1971 il 13/07/2007

S_CAROGNE

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Sara

 

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Vecchio Paz

Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

Cuor di Carogna

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Diario di una gravida

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Il passaggio.

Post n°679 pubblicato il 24 Luglio 2010 da delilah79

Ricordo perfettamente la terrazza con il pavimento di mattoni rossi. Il balcone affacciava sul mare, in lontananza a sinistra riuscivi a vedere fino al faro di Otranto, ma solo se la giornata era nitida, altrimenti dovevi "accontentarti" di osservare tutta la costa!
Ricordo le carte napoletane, due mazzi, consumati dagli innumerevoli solitari. Passava così la loro l’estate.
Preferivo andare in quella casa nelle ore del secondo pomeriggio, vedere gli ultimi bagnanti nuotare a grandi bracciate e le prime lampare prendere il largo. Il nonno accendeva il suo infernale aggeggio anti-zanzare, quella specie di griglia al neon che le attirava per poi cuocerle con uno sgranocchiante “crock”.
Passavo ore interminabili a giocare a la strega dai mille colori o ad un due tre stella… Poi arrivava la pausa caffè, a noi piccoli toccava quello d’orzo, ma a me non piaceva. Mi rimproveravano “perché non lo vuoi? E’ come il caffè dei grandi!”, ma aveva un sapore amaro e mi interessava poco che fosse come il caffè dei grandi, così la pausa diventava di una noia mortale e puntualmente passavo come “la asociale testarda”.
Ricordo le processioni fino alla chiesetta e il rimbombare stridulo del microfono del prete. Poi, dopo la messa, i fuochi di fumo bianco lanciati in aria al calare del sole e dopo le bancarelle dei giochi nella passeggiata di tarda sera. Spesso mi capitava di comprare una Barbie di “seconda classe”. Me ne stancavo dopo poco e, non avendo Ken, le schiacciavo il seno e le tagliavo i capelli: Ken.
La zia passava intere serate seduta sul marciapiede. Parlava parlava… di gente per me sconosciuta. La andavano a trovare un sacco di persone e, dalle sette in poi, si metteva in attesa; sedeva sulla sua seggiola, mangiava semi di zucca, “li passatiempi”, e beveva il suo vino rosato da due soldi. A tarda notte chiudeva i battenti, quando i topi già scorrazzavano da ore sui fili elettrici della strada…
Quando una scadenza arriva a battere all’uscio o a chiedere il conto può accadere che i ricordi riaffiorino intensi. Quando poi è urgente scegliere, allora capita ti invada un senso di ingiustizia per quei momenti in cui non era necessario decidere granché ed in cui non avevi abbastanza coscienza per assaporare il gusto dolce della non urgenza. Bastava indicare il giallo come colore per la strega, o i tre passi da formica per la Regina Reginella e la vita andava avanti.
All’epoca tu eri ai primi passi di università. Io avrò avuto appena dieci anni. Sarebbe stato un po’ di tempo dopo che l’avrei conosciuta. Mi piaceva, nonostante la mia forte gelosia. E soprattutto mi piaceva il suo profumo, che, da lì in poi, sarebbe diventato il mio preferito. Mi scrivi che non l’hai mai amata. Me lo scrivi ora in una notte delirante di scambi di ricordi in cui la sua mancanza ti pesa. In fondo era una gran bella persona.
Quella foto, quegli anni, quello sguardo immortalato nel suo pensare non mi fai fessa!
Non so se è vero che tu “non sei fatto per accontentarti”, che, come dici, non baratti emozioni per stabilità e conto in banca e che, coerente e testardo, perseveri in cerca del raggiungimento del tuo “sogno romantico”. La verità è che perseverare è talvolta solo il vestito migliore con cui diamo nome ai nostri limiti e la realtà ti vede incapace di mantenere un rapporto e vede me simile a te. Sono tutte storie, dirai ed io, comodamente ti verrò dietro.
A Ragusa fanno una pizza rustica particolare, non ricordo il nome. Andiamo? Prendiamo la macchina (la tua) ed andiamo? Non abbiamo mai parlato tanto io e te. Tu non mi conosci, ma mi definisci. Io ti conosco, ma non so definirti, non del tutto, almeno.
Alle prime ore di giorni-dopo capita che mi invii “racconti” di te con espressa preghiera di astensione dal commento. “Che idiota!”, penso, “non commenterei mai…”, ma questo tu non lo sai. Ti piaceva Luca Carboni ed io piangevo con Farfallina sulla strada buia del ritorno dai nonni.
Ieri è stata una serata pesante. Una di quelle nelle quali, chi ti stima ti mette di fronte a decisioni emergenti che devi prendere alla svelta ed in cui ti guardi nelle mani per capire cos'hai realmente. Tu non lo sai e dubito lo immagini, ma sono stanca, terribilmente stanca.
La casa con la terrazza dai mattoni rossi è passata ad un figlio. Ora è abitata da parenti che a malapena conosco. Sei sempre stato più abile di me a mantenere i rapporti. Io posso tornarci solo con il ricordo (sfocato) di venti anni fa. Il pensiero di rimetterci piede per sorbirmi la trafila di “da quanto tempo non ti vediamo”, mi induce alla immediata repellenza. Forse è bene così, come un ciclo che si chiude.
Non lo so perché non hai pianto alla notizia della sua morte. E non so perché quelle lacrime inespresse ti pesassero tanto. Non so rispondere alle domande alle quali tu mi chiedi, quasi per difesa, di non rispondere. Io non so tante cose. Io so che il tempo passa ed il passaggio pesa, ma non è sempre un male.
Ciao.

 
 
 
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