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Scido nel Mondo: la "Piazzetta", un tuffo nel passato!

'orologio della piazzetta

Quando la visione non c'è più e si vuol descrivere un posto ormai rimasto solo un ricordo, testimonianza del tempo che passa, non c'è modo migliore per catturare la curiosità di chi legge, che vedere tramite le parole, una "foto cartolina" che molti hanno vissuto percorrendola centinaia di volte su e giù: "la piazzetta"!

Nino Germanò, nel suo libro Schidon, ha descritto così "l'orologio della piazzetta", luogo di ritrovo per giovani e meno giovani negli anni sessanta:

«...lateralmente c'è il campanile, nel cui ripiano più alto è collocato l'orologio,

al di sopra delle campane, che suonano le ore, mezzore ed i quarti, con la replica.

Al mattino di buonora, suona «centu botti» per la sveglia, che poi ripete

a mezzogiorno e prima dell'ora di scuola.

Ogni sera, mastru Cicciu u forgiaru sale la scaletta per dare la

corda (caricare l'orologio) facendo sollevare i màzzari, che provocano col

peso il movimento.

Sia la chiesa che il campanile sono privi d'intonaco,

sicché passeri e rindùni vi nidificano nei buchi, svolazzando e riempiendo

l'aria di pigolìi e di strida».

Da Schidon - 1870 / 1930 - di Nino Germanò, Edito da Nuove Edizioni Barbaro- Delianuova (RC)

 
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Scido nel Mondo: Nino Germanò - Medico,Scrittore-

Dott. Nino Germanò

Il medico Germanò, uomo colto e intelligente, integerrimo professionista e valente scrittore, lascia alla comunità scidese un saggio di vera e propria cultura che affonda le sue radici nella "calabresità" più ricca di tradizioni, usi e costumi della nostra Terra. Amante delle espressioni dialettali, ormai in disuso da anni, ci fa riscoprire le originalità dialettali e tanti vocaboli che per decenni hanno accompagnato il "nostro modo" di parlare distinguendoci dai limitrofi dialetti di Delianuova e Santa Giorgia antagonisti, si fa per dire, di sempre.

Da Schidon, cronache e usanze (1870 - 1930) edito da: Nuove Edizioni Barbaro di Caterina Di Pietro - Delianuova (R.C.)

<pappalùne» (15), che alligna particolarmente nella zona e paesi circostanti.

Nelle colline più basse, specie nei terreni sabbiosi, si sono reimpiantati, con viti americane, i vigneti distrutti dalla fillossera; nelle vallate sorgono noccioleti, intercalati con piante di noci. Ma l'albero che meglio alligna e sviluppa è l'olivo, che ricopre quasi l'intero territorio, al di sotto della zona boscosa, e si espande verso i comprensori vicini e per tutta la zona della Piana, con alberi secolari che superano i venti metri di altezza e producono dei piccoli frutti ovali, che in piena maturazione divengono neri e lucidi.

Poiché la bacchiatura risulta dannosa alla produzione e difficile la sgrappatura, a causa della mole ed altezza, la raccolta avviene gradualmente alla caduta per terra, a cominciare dagli ultimi giorni di dicembre sino a fine aprile e talvolta ai primi di maggio. Purtroppo, quando la mosca olearia, con successive invasioni, scava la polpa, la produzione si deteriora, si produce olio di mediocre qualità, che diventa ancora più scadente se le olive non vengono molite subito e si depositano, pressandole dentro «i zimbùni», che sono dei cassoni di due metri quadrati per due di profondità, ricavati dividendo con tramezzi di tavole un vano del frantoio; usanza successivamente abbandonata e sostituita con il deposito delle olive, a cumuli, su dei ripiani. Nelle colline sovrastanti il paese, a media altezza, gli olivi cedono ai castagneti, i cui frutti nsertì(1 6) , liberati dai ricci, vengono venduti a Oppido,Palmi e nella Piana, freschi o bolliti, oppure infornati, dopo essere stati marangiati(17) al sole. In parte, le "nserte" vengono marrunàte (1 8) , tenendole in acqua, spesso sostituita, per quindici giorni, e poi asciugate finché trasudano, ed eliminando quelle mmahagnate(19), riposte al fresco ed al buio, mantengono lo stato di freschezza; mentre le castagne curce(20), la cui pellicola è difficile a levare quando sono crude, se di piccola dimensione o cuzzicuse(21),vengono date in pasto ai maiali o altre bestie, le grosse si consumano facendo "pastidi" (caldarroste) o lessate. Quando, nel novembre, dopo la caduta d'ihjani(22) , le foglie passano dal verde alla tinta rossastra dell'autunno, le colline, in alto del paese, sembrano ricoperte di un immenso manto di oro antico. Quasi accanto sorgono i boschi di castagneto ceduo, querce ed elei, sostituiti, più in alto, dai faggi e dagli zappini, che sono una varietà locale del pino>>.

 

15 Fagioli di Spagna. 16 Di albero innestato.   17 Messi a seccare. 18 Conservate allo stato fresco. 19 Deteriorati, guasti. 20 Da castagno selvatico. 21 Bacate. 22 Ricci. 

 

 

Via P. Romei - Scido -

 
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Scido nel Mondo: qualche dettaglio su S.Giorgia

Post n°28 pubblicato il 27 Settembre 2012 da romeo.eugenio
 

L'incontro tra natura e cultura è uno dei dati principali della Storia, partendo da qui si può desumere che il potere della natura può essere modificato ma non cambiato. Esso è in perfetta sintonia con l'ignoto che, modifica a suo piacimento vita ed eventi.

Se alcuni si sono rassegnati all'idea che il destino sia segnato, voglio esorcizzare quella paura che l'evento può suscitare; avverto la necessità di analizzare questa tematica senza soffermarmi alla  semplicistica rappresentazione di una storia locale, ma cercando di trarne il maggior profitto utile da raccontare o da mostrare.

Alla base di tutte le ricerche c'è, sicuramente, un percorso che inizia e finisce, per ogni essere umano e per ogni luogo.

Ecco quel che risulta, ancora, di S.Giorgia. 

<< lo Zerbi ha scritto nel 1876, senza far capo ad un sia pur

minimo logico appiglio, ma invero molto pomposamente secondo

il suo consueto stile e in pratica senza dir niente di particolare,

che Santa Giorgia, casale di S. Cristina, venne «Fabbricato, in seguito

delle ultime incursioni saracinesche, sui fastigi di una valle,

i cui borri son bagnati da fiume lento e melmoso». Quindi, traendo

il tutto dal Gualtieri, che aveva pubblicato la sua opera nel

1630, nonché dallo stesso chiosatore settecentesco del Barrio,

Tommaso Aceti, ha aggiunto che il nome originario del paese fu

Eraghìa, parola greca che vuol dire «sacrosanta» e che esso cominciò

ad essere chiamato Georgia dall'anno 1628, avendo addizionato

al primo appellativo quello dell'omonima santa, che ne sarebbe

divenuta così la Patrona >>.

...era un centro urbano di tutto rispetto coi suoi 397

abitanti e, pur se ugualmente in soggezione a S. Cristina, risultava

sopravanzare il vicino Scido, che ne contava invece 316 e, a loro

volta, Lubrichi e Sitizano, che ne denunziavano un ancor minor

numero.

DIANO PARISIO, Constitutiones Synodales, Romae . Resoconto

inviato dall'Ordinario vescovile alla Santa Sede nel 1670

Memorie storiche di Scido S. Giorgia Cuzzapodine - Rocco Liberti - Editore Laruffa 1990

 
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Scido nel Mondo - Santo Rullo - Scido - Cammino di una Comunità

IL PAESE

Chi dalla Piana di Gioia Tauro sale verso le vette dell'Aspromonte, nella direzione Delianuova-Carmelia, incontra, quasi all'improvviso e inatteso, l'abitato di Scido, adagiato su un largo e verde ripiano tra le giogaie della catena appenninica. Umile, modesto, nascosto, lo si vede solo quando si è pervenuto nelle vicinanze delle case, oppure guardando in giù dalle grigie sporgenze del costone montano, mentre si sale verso Iunco o Carmelia. La cittadina di Scido, silenziosa e tranquilla, è ubicata nella Valle del Duverso, tra dense e vaste distese di ulivi secolari, a 456 m. sul livello del mare, in una delle tante conche che frastagliano le estreme propaggini dell'Aspromonte, rivolta verso Nord, con alle spalle i tre monti Iunco, Petronà, Carmelia.

Qualche palazzo ostenta ancora uno stile settecentesco, quando i l paese viveva sotto il gioco feudale di famiglie principesche e baronali. Se fino all'inizio del 1600 Scido era un semplice "Borgo", nel corso del secolo divenne "Casale" e quindi nel 1800 "Comune"; oggi è una simpatica e operosa "Cittadina". La Strada Statale n. 112, che l'attraversa tutta da Sud a Nord, dà all'abitato vivacità e movimento. Insieme ad acque fresche ed abbondanti, a un clima mite e sereno, il paese offre a chi lo visita un senso di riposo e di distensione e a chi si ferma una piacevole e indimenticabile permanenza.

 

LA GENTE

La popolazione è cordialmente accogliente ed ospitale; attiva e intraprendente; semplice negli usi e costumi; amante del lavoro e dell'avere; guardinga da chi tenta di sfruttarne la fiducia. Accoglie con entusiasmo i forestieri. Attaccata sentimentalmente al passato, non ama cambiare con facilità il vecchio con il nuovo. Aborre la violenza; predilige le maniere dolci e sfumate, non impegnative; con fine sentimento di delicatezza, sa esimersi dagli impegni, senza esplicitamente rifiutarsi; vive in placito atteggiamento di vita pratica, nella persuasione che i doveri sono da adempiere "quando si può".

Costretta ogni giorno a posare lo sguardo su l'ulivo, che fa splendida corona al paese, si sente da esso rappresentata ed ad esso assomigliata.

L'ulivo è infatti il segno emblematico della sua esistenza; l'immagine delle sue qualità di popolo sobrio e parsimonioso; il simbolo dei suoi difetti. Quanto si predica dell'ulivo, può essere riferito, per analogia, agli Scidesi.

ALBERO buono, con le sue olive che ornano la tavola, la sua drupa densa di olio nutriente, i l suo legno pregiato atto ai mobili di lusso e ai pavimenti distinti...

 

Estratto da: Scido – Cammino di una comunità – Autore Santo Rullo – Casa Editrice Gangemi

 
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Scido nel Mondo: Don Santo Rullo

Post n°26 pubblicato il 10 Settembre 2012 da romeo.eugenio
 

Notizie e fatti attendibili valorizzano il lavoro di ogni studioso, soprattutto quando si tratta di dati storici reperibili tramite la ricerca di documenti nei musei e nelle biblioteche di ogni ordine e grado e di testi scritti da chi ci ha preceduto, ora in possesso, solo, di alcune case editrici.

Ho affrontato, fino ad oggi, e con molta cautela, temi riguardanti le origini del nostro comune, soffermandomi di rado sugli abitanti di Scido, sugli antenati e le loro origini e su tutto ciò che contribuisce alla genesi di un paese: dalla cultura alle antiche tradizioni e alla religiosità, dalla sommità di scritti e manoscritti alla ricerca di antiche usanze e di lavoro che nel tempo tendono sempre a scemare o addirittura scompaiono...

 

Uno degli uomini che ha contribuito (assieme a tanti altri che citerò in seguito nel mio blog e per argomenti) è don Santo Rullo, originario di Piminoro, una piccola frazione di Oppido Mamertina, egli visse a Scido e fu parroco dell'unica parrocchia, San Biagio, per circa quarantadue anni.

La chiamata al Cielo di don Santo Rullo, avvenuta il 6 febbraio di quest'anno, lascia un vuoto incolmabile fra cittadini e fedeli e porta con sé un pezzo della storia di Scido di quest'ultimi decenni.   

Si riporta, di seguito, parte del discorso pronunciato da S.E. Rev.ma Mons. LUCIANO BUX Vescovo Emerito della diocesi di Oppido-Palmi, al Ritiro diocesano del Clero di marzo 2012, ricordando don Santo Rullo...  

<<Studioso colto e diligente ricercatore (fu anche bibliotecario e archivista diocesano), comunicatore capace di farsi leggere anche dai meno dotati culturalmente. Ma soprattutto fu prete per i nostri tempi e i nostri luoghi. È stato un prete "libero", come egli stesso afferma, dai condizionamenti di luoghi, persone, eventi. La libertà l'ha vissuta nell'adesione del suo cuore alla Parola di Dio e alla Croce di Gesù>>.

 

Ed ecco alcune significative righe che, don Santo Rullo, scrisse nel Suo "Testamento spirituale" ai fedeli di Scido:

<<considero grazia del Padre essermi trovato in mezzo a voi e aver goduto della vostra vicinanza e della vostra umana ricchezza. (...)

Ogni volta che mi sono assentato da Scido, ho desiderato di rientrare al più presto, attirato da una forza occulta e indecifrabile.

Mi sono proposto di non chiedere mai nulla, neppure l'offerta della Messa quando è venuta a mancare con frequenza. Avevo nel cuore l'aspirazione di fare di voi una famiglia di Dio, creando desideri di Dio e reciproci fraterni rapporti umani. Non ci sono riuscito. (...)

Si è detto che ero severo, ma a me non sembra severità la richiesta di fedeltà agli impegni battesimali con Dio e a un amore "concreto" a Gesù Liberatore che concretamente ci ha amato. Era mio desiderio aiutarvi ad essere utili a voi. Avevo l'ambizione di fare di voi cristiani coerenti, lontani da ogni forma di esibizionismo e di ipocrisia. (...)

Ho notato in voi con dispiacere ma anche con comprensibile sentimento di umana debolezza, la paura di esporvi al rischio di una vita diversa.

È ciò che il Signore aspetta da noi: una vita diversa.

Non vi chiedo scusa o perdono perché non ho mai pensato o voluto offendervi. Non ho nulla da perdonare perché non ho mai ricevuto offese, forse qualche incomprensione dovuta al mio carattere. (...)

La Parola di Dio rende veramente liberi e dona le ali alle deboli forze dell'uomo. Rendetevi liberi!

Il mio invito è non temere di incamminarvi verso la strada (il Cristianesimo è "Via") che conduce alla "Vita Nuova", inserendovi in Cristo.

Fate della Domenica il punto focale della vostra settimana e la fonte del ristoro di ogni giorno, contro l'anemia debilitante dello spirito e il buio delle incertezze che vi circondano. (...)

Il pensiero finale è la richiesta di una preghiera, che io frequentemente ho fatto a Dio per voi. Chiedete al Padre che dimentichi il bene che avrei potuto fare e non lo ho fatto per incuria, il male che avrei potuto evitare se fossi stato più vigilante e accorto e lo ho compiuto con assiduità.

Il sacerdote deve essere puro, integerrimo, immacolato, raggiante di luce, affascinato dalle limpide altezze. Io non lo sono stato.

Abbiate pietà voi e perdonatemi. Domandate pietà al Dio pieno di misericordia, che ci vuole "perfetti e misericordiosi", ma è anche pronto a perdonare. Questa unità di preghiera, forse ci riunirà tutti nella casa del cielo, a contemplare, a godere, a cantare, in eterno>>.(Acqua Viva Notizie. Marzo 2012).

                                                                                                                                                                                                                                  

Scido, Chiesa di S. Biagio

 
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