Creato da: paperino61to il 15/11/2008
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Messaggi del 08/11/2017

 

Nebbia di sangue ( Primo capitolo)

Post n°2288 pubblicato il 08 Novembre 2017 da paperino61to

 

Nel novembre del 1936 la città di Torino è avvolta nella nebbia nascondendo così alla vista i palazzi della bella città sabauda.

I pochi ardimentosi che sono costretti ad andare al lavoro si domandano quando questa nebbia autunnale gli abbandonerà per lasciare posto a qualche raggio di sole.

La pedalata è lenta, faticoso e il percorso si fa sempre più lungo per l’operaio Marco Vietti che lavora alla Fiat da oltre trent’anni. Il suo modesto alloggio è situato in zona Borgo Dora. Il freddo pungente sferza il suo volto nonostante sia coperto da una sciarpa di lana.

In lontananza, in mezzo al prato nota una sagoma riversa a terra; pensa a un cane randagio, poi man mano che si avvicina, vede che non è un’animale, ma un uomo.

“ A le un…matot..!” esclama. Si ferma e nota che indossa la divisa militare. Non ha dubbi, il ragazzo è morto.

Inforca la bici e la pedalata non è più lenta, ma veloce, non sente più il freddo pungente mentre cerca di arrivare più in fretta che può alla piola di Carlin.

“ Carlin, ciamà la madama….un matot è stato ucciso!”.

L’oste lo guarda sbalordito e domanda se ne è sicuro. L’operaio ribatte che è sicurissimo: “  A le un soldà!”.

Inizia così la giornata per il commissario Berardi.

“ Buongiorno, è lei che ha visto il cadavere?” domando mentre sento arrivare dalla cucina della piola l’odore del caffè.

“ Si, commissario sono io. Stavo recandomi al lavoro, sono operaio alla Fiat…quando lungo il tragitto in lontananza, vedo una sagoma a terra. Penso sia un cane, ma più mi avvicino e più mi accorgo che a le nen na bestia”.

“ Quindi si ferma giusto?”.

“ Esatto, e vedo…vedo che è un ragazzo, avrà l’età di mio figlio…vent’anni al massimo. Indossa la divisa da militare, non si muove…rimonto in bici e vengo qui da Carlin e vi faccio chiamare”.

“ Se la sente di venire con noi? “.

“ Non saprei…cosa dico al capo reparto?”.

“ Nessun problema, ci parlo io signor Vietti…venga, così ci indica il punto esatto dove ha trovato la vittima.”

Saliamo in macchina e dico all’agente di seguire le indicazioni dell’operaio. Posteggiamo sul ciglio della strada e andiamo a piedi in mezzo al prato. Una sagoma è riversa a terra, mi avvicino e noto che il cadavere è ancora caldo.

“ Chiama la scientifica e fai venire anche Perino”  esclamo all’agente che si avvia alla macchina per tornare alla piola a telefonare.

“ Bene signor Vietti, la ringrazio per averci chiamato. Mi dica ora, ha sentito qualche grida? Visto qualcuno che scappava per quei campi laggiù?”.

“ No, commissario, nessuno ha gridato, a quest’ora si sarebbe sentito. Quanto a qualcuno che scappasse, sarebbe stato difficile notarlo con questa dannata nebbia”.

Mi accosto nuovamente al cadavere, è un ragazzo giovane. Del sangue cola dal collo e noto un fil di ferro, è stato usato come cappio sul modello della garrota spagnola. Questo poveretto ha sofferto non poco la sua morte.

“ Appena arriva il mio attendente vada con lui, metterà a verbale la sua testimonianza…e gli ricordi di farsi compilare un foglio per il datore di lavoro, così che la scagionerà dall’accusa di assenteista” sorrido mentre uso questa parola: “ Conosco bene i pensieri di certi capi reparto”.

La scientifica arriva assieme al dottor Stresi, il quale non perde tempo a lamentarsi dall’averlo fatto alzare presto in una giornata come questa.

“ Giuro dottore, che il prossimo delitto la chiamerò solo se c’è il sole”.

“ Non faccia la spiritoso Berardi, e ora mi lasci lavorare, se non le spiace devo guadagnarmi la pagnotta”.

Vado da Perino  e domando se ha trovato qualche documento addosso al ragazzo.

“ Si commissario, qui c’è la sua carta di identità. Si chiama Ferruccio Berti abita in via Condove numero dieci, inoltre ha il tesserino da militare, è aggregato al decimo regimento degli alpini alla caserma Monte Grappa”.

“ Bene, Perino, andiamo alla caserma e sentiamo cosa possono dirci, e dì a Griseri quando torna in questura di fare ricerche sulla vittima, dobbiamo avvisare i parenti”.

Arriviamo in caserma e compiliamo i fogli per entrare e veniamo accolti dal capitano Saliero.

“ Prego commissario accomodatevi, cosa porta qui da noi la polizia?”.

“ Purtroppo porto la notizia della morte di un vostro soldato, un certo Ferruccio Berti…lo conosceva?”.

L’uomo sbianca in volto, nervosamente con le dita batte sul tavolo anche se cerca di darsi un contegno.

“ Si, lo conosco di persona…è sicuro che si tratti di lui? Ieri sera non aveva la libera uscita, si trovava in caserma”.

Consegno i documenti al capitano, il quale non può fare altro che constatare che parliamo della stessa persona.

“ Com’è successo?”.

“ E’ stato trovato da un operaio mentre andava al lavoro, nel prato non distante da voi. L’hanno ucciso strangolato con un fil di ferro”.

Il pallore è sempre più evidente nel volto del capitano, balbetta qualche parola incomprensibile poi domanda se sappiamo chi sia stato ad ucciderlo.

“ Abbiamo un’idea di chi possa essere stato…verificheremo” poi aggiungo una bugia ancora più grossa: “ Dei testimoni che stavano passando nei campi, hanno visto l’assassino allontanarsi”.

Il capitano si alza e con una scusa pari alla mia bugia ci congeda e chiede espressamente di informarlo in caso di novità.

“ Senz’altro capitano, sarà mia premura avvisarla…senta lei sa se il Berti ha parenti? Dovremmo avvisarli”.

“No…no…non credo, io…ecco…non so…arrivederci commissario. Piantone, accompagnali al portone di uscita”.

Una volta fuori dalla caserma, Perino mi domanda del perché dei falsi testimoni.

“ Hai visto com’era nervoso? A ogni mia parola sbiancava come se fosse stato lui l’assassino”.

“ Si ho notato, e non mi convince il fatto che non sia a conoscenza dei parenti della vittima”.

“ Concordo con te, ma ora andiamo in Questura e vediamo se Griseri è riuscito a trovare qualche famigliare del povero ragazzo…ecco cosa detesto di questo lavoro, andare dai parenti e dire che il loro caro non c’è più, ammazzato da qualche losco delinquente”.

 

 

 

Dopo un paio d’ore nell’esser tornati in questura, Griseri mi porta la comunicazione che la vittima ha una sorella: “ Si chiama Maria, fa la commessa in negozio di Mondovì e abita poco fuori dalla città. Non è sposata, i loro genitori sono morti  in un incidente”.

Rispondo che bisognerebbe avvertirla.

“ Già fatto commissario, ho telefonato ai nostri colleghi di Mondovì se possono di accompagnarla fin qui ”.

“ Bravo, Griseri ti sei meritato una lauta colazione, vai al bar e ordina di metterla sul mio conto ”.

Solo nel primo pomeriggio mi consegnano il referto medico stilato da Stresi.

La morte del povero ragazzo è sopraggiunta tramite taglio della giugulare causata dal fil di ferro. La vittima non ha reagito poiché stordito da un forte colpo alla nuca, di conseguenza l’assassino ha potuto facilmente strangolare la sua vittima.

Quello ancora più interessante è che secondo la scientifica, il decesso è avvenuto non in quel prato  ma in un altro luogo.

“ Quindi caro Tirdi, l’hanno ucciso chissà dove e poi è stato trasportato in quel prato”.

“  Trovarlo quel luogo…credo commissario che non sia facile. Si sa nulla delle frequentazioni? Aveva amici? Una donna?”.

“ Per ora niente, il capitano Saliero è stato  piuttosto reticente nel parlare, come ti ho detto ha fatto finta di non essere a conoscenza che la vittima ha una sorella”.

“ Strano, che io sappia i capitani sanno tutto dei loro sottoposti”.

“ Quello lo penso pure io…sai che facciamo…teniamo d’occhio il Saliero”.

“ Mando Perino? “.

“ No, meglio di no, lo conosce, era con me nel suo ufficio, meglio mandare  Griseri”.

La nebbia non concede tregua, dalla finestra del mio ufficio non vedo la strada ne tantomeno gli edifici davanti.

Il campanile della chiesa batte le sei quando in ufficio entra una donna. I capelli raccolti dietro la nuca sono di un castano chiaro, un viso piacevole. Indossa un cappotto color crema.

“ Prego, signora si segga, immagino sia Maria Berti, la sorella del povero Ferruccio?”.

La donna fa cenno con il capo di si, le mani stringono forte la borsetta che tiene in grembo. Gli occhi color nocciola denotano tutta la sua tristezza per la morte del fratello, con un fil di voce mi chiede cosa sia successo.

Le parlo del ritrovamento del fratello in un prato non distante dalla Fiat e dalla caserma in cui prestava servizio e di come il capitano  di suo fratello non sapesse della sua uscita serale dalla caserma. Tralascio solo come è stato ucciso.

“ Il capitano è forse un certo Saliero?”.

“ Si…lo conosce ?”.

Il suo volto si contrae in una smorfia di disgusto, poi risponde che lo aveva incontrato un paio di volte quando era venuto a trovare il fratello a Torino.

“ Non le piace vero?”.

“ Lo trovai viscido e falso…arrogante …mi…mio Dio…la prego non mi faccia ricordare quel momento…la prego”.

 “ Solo una cosa, suo fratello sapeva di questa cosa?”.

La donna riflette un attimo : “ Penso sospettasse qualcosa, ma io non ho mai avuto il coraggio di dirglielo chiaramente…poteva commettere una sciocchezza, mio fratello era un impulsivo”.

“ Capisco, mi dica tornerà a Mondovì o si ferma qui?”.

Risponde che non ha visto l’orario del treno di ritorno e non sa dove poter pernottare per la notte, era stata accompagnata dagli agenti della sua città in auto.

“ Se vuole posso accompagnarla da una persona fidata, si chiama Mamma Gina…ed è anche un’ottima cuoca…se la sente di cenare?”.

Un sorriso seppur malinconico mi fa capire che non le sarebbe dispiaciuto, non aveva mangiato nulla dalla sera precedente la notizia della morte del fratello.

Usciamo dalla questura e camminiamo sotto i portici di via Po, noto che è sbalordita dalla bellezza della via e dei negozi. Non proferisce parola, arriviamo in Piazza Vittorio e mi domanda se quella oltre il ponte è la Gran Madre.

Rispondo di si : “ Vuole andare a visitarla?”.

“ Non so…non le creo dei problemi? Non vorrei che sua moglie…”.

“ Nessun problema, sono scapolo…andiamo, ma prima passiamo da Mamma Gina così ci tiene un tavolo per noi, di solito è sempre pieno nel fine settimana nel suo locale”.

“ Finalmente commissario la vedo con una ragazza “ disse Mamma Gina al nostro ingresso, poi si avvicina alla ragazza e prendendola sottobraccio le dice:” Se lo tenga stretto quest’uomo, è come fosse mio figlio”.

“ Mamma Gina oltre alla trattoria apre un’agenzia di matrimoni ora? Sono venuto a prenotare un tavolo per due, andiamo un attimo alla Gran Madre”. Mezz’ora dopo siamo di ritorno alla locanda.

 “ Venite, commissario, ecco il vostro tavolo. Ora se mi perdona signorina, vado subito a preparare la cena”.

La signorina Maria si toglie il cappotto, indossa una camicetta è di colore bianco, mentre la gonna lunga è a righe di colore blu notte.

“ Spero di non averla messa in imbarazzo con questo mio invito?” domando .

“ No, commissario, affatto…e che trovo strano che qualcuno si dia pena per me”.

“ Dicono che c’è sempre un angelo custode che veglia su di noi…questa frase non è mia ma è della proprietaria del locale”.

“ Credo allora che abbia ragione...e io ne ho trovati due”. Sorride ed ammetto dentro di me che è un bel gran sorriso.

Durante la cena parliamo del suo lavoro, di come è dura tirare avanti per una ragazza sola a Mondovì. Il fratello era partito un paio di mesi prima per fare il militare e i loro genitori sono morti poco tempo dopo in un incidente stradale.

“ Lavoro in un negozio di cartoleria, la paga non è granché ma mi permette di vivere…e lei commissario che mi racconta?”.

“ Faccio un  lavoro che mi piace lo ammetto, anche se sovente la tentazione di smettere è grande. Vedo troppa cattiveria in giro, la scelta che avevo era tra la polizia o l’esercito…e sinceramente non sono bravo a sottostare ai comandi”.

“ La polizia ha guadagnato un bravo commissario…sa che ho letto qualcosa delle sue inchieste sulla Gazzetta di Mondovì? Riguardava un’indagine su un  museo qui a Torino”.

( Continua)

 

 

 

 

 

 

 

 
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