ricomincio da qui

poesie prose e testi di L@ur@

 

UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

Per chi volesse leggere la storia"Un passo indietro per farne uno avanti" sin dalle prime pagine;basta cliccare sui link.

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UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

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Messaggi di Ottobre 2016

Una Nuova Vita (Nono Capitolo)

Post n°1286 pubblicato il 29 Ottobre 2016 da contastorie1961

Recuperata la chiave dal nascondiglio, Paolo entrò e si richiuse la porta alle spalle. Era stata una lunga camminata, tanto che Simone si era addormentato sulla sua spalla. Dopo che l’ebbe portato in camera da letto, tornò in soggiorno e si versò un’abbondante dose di whisky. Il liquore ebbe il potere di rivitalizzarlo, si sentiva stanco e demoralizzato, ma non avrebbe mollato proprio adesso. C’era solo un’incognita, e di questo se ne rendeva perfettamente conto; Elena avrebbe acconsentito ad aiutarlo? Del resto non aveva alternative, si trattava dell’unica persona che conosceva bene in quella cittadina e, cosa più importante, possedeva un’auto. Se avesse avuto un mezzo per spostarsi infatti,  in quel momento si sarebbe trovato già molto lontano. L’altro che avrebbe potuto farlo era Michele, ma quel bastardo l’aveva abbandonato nel momento del bisogno.

Poco male. Negli ultimi tempi, la prospettiva di fuggire col denaro del riscatto l’aveva fatto uscire di senno, e il suo atteggiamento ne era stato la dimostrazione. Era stato un pazzo a fidarsi di lui, ma si trattava di acqua passata, inutile fasciarsi la testa.

Voltandosi verso l’angolo più lontano, vide che il telefono fisso si trovava sempre al solito posto, appoggiato sopra un mobiletto. Elena non aveva mai amato i cellulari, e si era sempre rifiutata di disfarsene, al contrario di molti. Avrebbe potuto chiamarla e, con una scusa, convincerla a tornare; ma già s’immaginava la risposta

“scusami, ma non potevi dirlo subito? Non sarei neppure andata!”

In verità ci aveva pensato, ma non aveva voluto insospettirla troppo con quell’improvvisata, e poi c’era Simone, cosa le avrebbe raccontato così, su due piedi? In quel modo invece, avrebbe avuto tutto il tempo per preparare una strategia e cercare di convincerla. In caso contrario, non avrebbe esitato a rubarle la macchina e scappare.

Fissando il telefono però, si rese conto del rischio che stava realmente correndo. All’ospedale, qualche collega avrebbe potuto parlarne, in fondo i media avevano dato grande risalto all’accaduto; come avrebbe reagito? Senza pensarci oltre, si alzò e si avvicinò al mobiletto. Frugando nelle tasche, il cuore gli mancò di un battito, dove diavolo l’aveva messo? In quello stesso istante il primo squillo lo fece sobbalzare, che fosse lei? Probabilmente l’aveva chiamato sul cellulare, quello che aveva buttato, e voleva solo accertarsi che fosse arrivato. E se invece si trattava di qualcun altro?

****

-Avete trovato qualcosa?-

Masone, il giovane carabiniere che l’aveva accompagnato, lo fissò con curiosità.

-Potrebbe non significare nulla, ma tentar non nuoce, o sbaglio?- rispose Molinaro sventolando il biglietto da visita.

Elena Ghisoni, infermiera professionale”- diceva la scritta sul consunto e spiegazzato cartoncino. Seguiva un numero di telefono fisso, niente cellulare, davvero strano.

Digitandolo sul proprio, rimase quindi in attesa.

Dopo una decina di squilli e mille ripensamenti, Paolo afferrò la cornetta.

-Pronto?-

-Si, buongiorno. Dovrei parlare urgentemente con la signora Ghisoni, è in casa?-

-Ehm…no…in questo momento non c’è…richiami più tardi-

-Ascolti, si tratta di una cosa importante, lei è il marito?-

-Le ho appena detto che non è in casa, richiami più tardi!-

-Paolo,mi ascolti, non faccia pazzie e si consegni alle autorità, non ha più alcuna possibilità ormai- 

Paolo strinse la cornetta sino a sbiancarsi le nocche, il respiro si fece sempre più affannato.

-Chi…chi…- riuscì appena a biascicare.

-Questo non ha importanza, ma probabilmente i carabinieri sono già fuori dalla porta. Si arrenda e lasci libero il bambino, la madre ha già sofferto troppo-  

Aveva fatto centro!

Nel contempo, Masone rispose al proprio cellulare.

-Si, è qui, maresciallo. Sembra stia parlando al telefono con il ricercato, ha trovato qualcosa e ha chiamato, sinceramente non ci capisco più nulla-

Il giovane carabiniere ascoltò per qualche istante, quindi chiuse la chiamata. Anche Molinaro aveva finito di parlare, e fissava il cellulare con aria preoccupata.

-Ha riattaccato… era il maresciallo Capuano, vero?- disse pensieroso.

-Si signore, mi ha detto di richiamarlo immediatamente, ci sono sviluppi-

Mentre faceva il numero, si augurò con tutto il cuore che arrivassero in tempo.

-Capuà? Sono io, e credo di aver combinato un guaio-

In breve, lo informò della sua scoperta e della telefonata appena fatta.

-Lo so, avrei dovuto avvisare te per primo, ma come potevo sapere che questa Elena avrebbe chiamato? E poi la curiosità era troppo forte, non ho resistito-

Nonostante la situazione non fosse proprio delle più semplici, Capuano non poté fare a meno di sorridere. Molinaro non era affatto cambiato, e la smania di cercare indizi e verificare che fossero quelli giusti non l’aveva abbandonato.

-Non vi preoccupate, c’è già una pattuglia davanti all’abitazione della donna, e io sarò sul posto tra meno di cinque minuti, è in trappola ormai-

Molinaro chiuse gli occhi.

-Il bambino, mi raccomando il bambino- quindi riattaccò.

 
 
 

Di tanto in tanto, ripesco nelle mie memorie.

Post n°1285 pubblicato il 28 Ottobre 2016 da lascrivana

A volte basta solo guardarsi dentro per trovare quello di cui si ha bisogno -e io ho sbirciato nel mio blog-. Desiderio di perdonarsi e di accettare l'idea che non si può essere perfetti; e che non si deve necessariamente stare con chi non è al passo con i nostri tempi, i nostri modi, la nostra educazione. Confrontarsi con le emozioni del nostro quotidiano significa andare incontro alla crescita individuale, oltre che collettiva. Se io m'isolo da ciò che non mi provoca piacere non faccio solo un favore a me stessa, ma anche a chi per necessità condivide i miei interessi. Comprendo che mantenere buoni rapporti con una come me scevra d'ipocrisia, non è una cosa facile. Alla luce della ribalta degli angoli più tetri della mia anima inquieta, e dei meandri più oscuri della mia mente, confesso le mie fragilità ripubblicando una delle mie vecchie poesie.

Il perdono

Lo raggiunsi

 con tono mellifluo e voce soave

Lo avvolsi 

nelle languide spire del mio piacere

Scivolò 

nelle ripide scoscese del gusto

Trattenni il fiato 

godendone il dolce sapore al palato

Ne imprigionai l'aroma 

nei meandri oscuri

delle mie memorie

Mi lasciai cullare 

dalla musicalità delle sue parole

Mentre le note 

come sinuose fiammelle

Illuminavano il centro del mio essere

Che umile e prono 

chinava il capo

Accogliendo con gioia suprema

La maestosità 

del

 "perdono".

Laura

(Ps: so di avervi fatto patire un po' questa settimana miei cari lettori; ma certi passaggi nella vita sono inevitabili. E ora godiamoci quest'attimo di pace. )

 

 
 
 

C'è anche tempo per questo.

Post n°1284 pubblicato il 27 Ottobre 2016 da lascrivana


Nonostante mia sia svegliata con il pensiero che il terremoto non avesse riportato vittime e danni gravi - sperando tra l’altro che la terra avesse smesso di tremare- non ho potuto fare a meno di sorridere leggendo certe cose.  Purtroppo, analizzando alcuni eventi reali con il senno di poi, ti rendi conto che il mondo nonostante sembri vario, è recidivo sotto alcuni esilaranti aspetti. E’ strano come alcuni eventi cambiano prospettiva sotto l’occhio critico dello scrittore - non lo sarò di fatto, ma di certo lo sono di mente-.

Leggendo alcuni libri storici, mi rendo conto che il pettegolezzo è stato sempre messo in primo piano; un modo come un altro per sfuggire ai problemi reali e irrisolvibili che ci angustiano ogni giorno. Chiaramente mi riferisco al pettegolezzo sterile, quello che serpeggia tra comari invidiose e frustrate; non di certo al bullismo che tende a sopraffare i più deboli.

Finché rimangono solo parole, anche se feriscono, lasciano il tempo che trovano. Il brutto è quando queste accompagnano i fatti, diventando una vera e propria piaga per la vittima. E’ chiaro che non tutti sono come me, che interpretano i pettegolezzi in maniera quasi pittoresca. Da accanita lettrice, mi capita spesso d’immaginare taluni personaggi nelle vesti cortigiane, che con il loro cicaleccio, infastidiscono il mal capitato di turno. Persino i lori sorrisi hanno lo stesso stridio del gesso sulla lavagna.

La vita a volte sembra essere un grande palcoscenico, dove posso scegliere se essere protagonista o spettatore. In questi casi scelgo di essere spettatore: è più divertente, anche se il capro espiatorio sono io. E poi non riesco a immaginarmi in ruoli meschini e ciarlieri; poiché, per quanto possiamo girarci intorno e cercare giustificazioni psicologiche, non esiste altro modo per definirli.

 Laura

 

 

 
 
 

Certi notti, invece capisci che ...

Post n°1283 pubblicato il 26 Ottobre 2016 da lascrivana

Anche questa notte la mia testa ha fatto le ore piccole. Mi sono addormentata, quando ormai s’intravedano le prime luci dell’alba dalle persiane socchiuse . Stanca del mio malessere psicologico, dopo aver sgranato un rosario, intavolai una conversazione con il Divino.  Devo ammettere che è stato un discorso costruttivo: è riuscito a mettere pace definitivamente nella mia testa, sciogliendomi ogni dubbio.

-E’ normale godere dei successi altrui, nonostante non sia invece il mio periodo migliore?-

Fu la prima domanda che gli rivolsi.

-Certo che è normale! E’ strano invece che tu ti sia posta questa domanda!-

Esclamò sbigottito il Divino.

-Beh… a dire il vero per me lo era. Solo che il mio entusiasmo è stato smorzato da un tono tagliente che mi ha rimesso subito al posto, sottolineando a caratteri cubitali, che il successo degli altri marcava il mio fallimento (se così si può chiamare poi)-.

Il Divino ci pensò un po’ e poi mi domandò:-Quante dita ci sono in una mano?-

-Oh ma è facilissimo, sono cinque!-

-Brava! E dimmi, sono tutte uguali?-

-Beh no … perché?-

-Nonostante le misure siano diverse, io non rinuncerei nemmeno al mio mignolino-

Come c’intendevamo bene io e il Divino. La sua metafora mi fu così comprensibile, che per un attimo io non ebbi più nulla da dire.  Dopo un po’, ripartii alla carica chiedendogli un consiglio: -Pensi che sia il caso di mostrarmi un po’ invidiosa, giusto per fare esaltare l’ego dei vincitori?-

 

-Ma no! Non devi mostrare affatto ciò che non provi. E poi ricorda… in questo caso, è il tuo ego che deve esultare; poiché quando tutti pensavano che non avrebbero trionfato, tu eri l’unica a crederci. E ora accoccolati e lasciati cullare con la nenia che abbiamo scritto insieme-.

La prescelta

La mora donzella seduta in riva al fiume
sfinita e triste si lisciava le piume
Un passero solitario raccolse il suo lamento
e dalle sue lacrime ne bevve il tormento
Fortificato dalla cristallina bevuta
In un enorme animale alato esso si tramuta
Carica in groppa la mesta fanciulla
e della sua schiena ne fa una culla
La lascia sprofondare in sonno fatato
trasportandola in un mondo incantato
Su una soffice nuvola l'adagia dolcemente
spingendola con un soffio nei giochi della mente
La protegge da ogni infida creatura
per mantenere la sua anima innocente e pura
Sempre vicino, costante e paziente
le tiene la mano teneramente
stringendola nella sua zampetta dorata
avvolgendola protettivo con la sua spalla alata
Per lei, lui è il sole, la luna e le stelle
Il mare, la terra e le infinite cose belle
Dal suo amore perpetuo si lascia guidare
In sentieri intrisi di voglia d'amare
dove la passione non è soltanto carnalità
ma voglia di vivere la vita nella sua totalità
Per lei ha creato un tappeto d'argento
per farla camminare al centro del firmamento
Ha trasformato ogni sua ora normale
per farla sentire ogni giorno speciale
L'ha sollevata da ogni fardello pesante
e ne ha baciate le sue mani sante
Lei era la prescelta, l'anima anelata
colei che avrebbe condiviso la sua vita beata.

Laura

 
 
 

Certe notti i pensieri ti fanno una testa così.

Post n°1282 pubblicato il 25 Ottobre 2016 da lascrivana

Avrei voluto scrivere finché le dita esauste avrebbero implorato pietà.  E invece ero risucchiata inevitabilmente dalle problematiche quotidiane. Più volte avevo tentato di aprire il pc e buttare giù una storia; una qualsiasi, pur di mettere ordine in testa. Ormai da giorni c’era una gran confusione tra i miei pensieri. Un dibattito tra le diverse sensazioni; l’una, urlava all’altra di essere paranoica, mentre l’altra si difendeva attestando i fatti. Un vero e proprio e tribunale privo di giudice e giuria. Gli avvocati invece non mancavano; le emozioni giustificavano i rancori;  e i rancori le paranoie; la razionalità condannava entrambe. Irritata oltre modo per questa mia svogliatezza, m’immergevo negli abissi della mia inquietudine.

-Ci sarà pure un modo per mettere fine a questa diatriba?-

Domandava un neurone dibattendosi tra un sentimento di repulsione, e uno di perdono.

-Giammai!-

Urlava la repulsione impuntandosi sul comportamento scevro da sensibilità e altruismo.

-Ma, se non chiuderai al più presto questa storia perdonando, finirai con il prolungare la tua astiosa agonia!- Esclamava il burbero perdono.

-Vero! Non ha senso continuare a dimenarsi in quest’assurdo monologo che aumenta la tua insicurezza. Non hai più motivo di avere paura. Al momento sembra tutto tranquillo-.  Suggeriva la razionalità alla circospezione che sembrava non voler abbassare la guardia: -Eppure scorgo in lontananza una nube che avanza lentamente-.

- Non vorrai fasciarti la testa prima di rompertela? – Esplodeva l’ottimismo nauseato dalla paranoia che continuava a piagnucolare che lei era l’agnello immolato; la vittima sacrificale; il capro espiatorio.

-Abbi fede! In fondo se su facebook  c’è scritto che oggi ci sarà il sole, ci sarà il sole!- Esortava sorridendo la fiducia.

Mi avvicinai alla finestra, e guardai il sole che si levava da dietro le verdi colline.  Sorrisi. E per un po’ lasciai che i pensieri giocassero a nascondino.

 

-Speriamo che giochino il più a lungo possibile. Almeno finché loro saranno nascosti, io potrò continuare a lavorare serenamente-.

Laura

 
 
 

Una Nuova Vita (Ottavo Capitolo)

Post n°1281 pubblicato il 23 Ottobre 2016 da contastorie1961

Incredula, Elena rilesse più volte la notizia.

-Ecco il caffè. Elena? Si può sapere cosa stai leggendo di così interessante?-

Alzando gli occhi, la donna si ritrovò a fissare lo sguardo curioso di Alan, il giovane barista.

-Si…grazie…scusami- disse prendendo la tazzina.

-Nulla di che...- mentì -...solo che oggi avrei dovuto rimanere a casa, non mi sento molto bene-

-In effetti sei pallida da far paura, forse ti stai prendendo l’influenza- rispose Alan allontanandosi.

Pagata la consumazione, uscì dal locale e si appoggiò al muro. Possibile che Paolo avesse fatto una cosa simile? Eppure, la fotografia e le parole che l’accompagnavano parlavano chiaro, non c’era alcun dubbio. Vedendo passare una collega, le andò incontro.

-Ciao, Cinzia, potresti avvisare la caposala che oggi non ci sono?-

La ragazza, una rossa tutta capelli e lentiggini, la guardò in modo strano.

-Come non ci sei, ti vedo,sei qui davanti a me!-

-Non scherzare, dai. Ho provato a venire ugualmente, ma stamattina mi sono alzata con un forte mal di testa, temo di aver preso l’influenza- rispose portandosi una mano alla fronte.

-Ok, nessun problema. Ma le dirò che mi hai telefonato, e dovresti farlo anche tu una volta rientrata, sai com’è fatta quella vecchia arpia-

Dopo averla rassicurata, raggiunse rapidamente il parcheggio e salì in macchina. Il mal di testa le era venuto veramente, un martellare continuo alle tempie che andava al passo col ritmo del suo cuore. Afferrato il cellulare dalla borsa, schiacciò il tasto verde e rimase a fissare a lungo il display.

Paolo ore 13,15…” era stata l’ultima chiamata, la sua.

Cosa doveva fare?

Perché si era rivolto proprio a lei?

Aveva rapito un bambino, poco importava che si trattasse di suo figlio, e aveva usato la violenza per farlo. Ricercato a tutti gli effetti, cosa lo rendeva così sicuro che la vecchia Elena l’avrebbe accolto a braccia aperte, che non l’avrebbe denunciato, credeva forse che non leggesse i giornali? L’articolo non riportava l’età del piccolo, ma se si trattava di scuola materna non doveva avere più di tre anni; maledetto bastardo. Facendo uno sforzo di memoria, si chiese se l’ultima volta che si erano incontrati l’avesse già avuto, e poi, che momenti stava passando la madre?

Ignorava chi fosse, ma di certo in quell’istante stava sicuramente soffrendo le pene dell’inferno, e non si trattava solo di solidarietà femminile. Lei di figli non ne aveva mai avuti, ma vedersene rapire uno doveva essere un’esperienza allucinante. Fissando nuovamente il display, fece finalmente la chiamata.

-Carabinieri…chi parla?-

-Ho informazioni  sull’uomo che ha rapito il proprio figlio, con chi posso parlare?-

****

I rimbrotti di Molinaro l’avevano punto sul vivo, ma si rendeva perfettamente conto che aveva ragione. Dopo aver effettuato diverse telefonate, Capuano aveva messo in moto una vera e propria caccia all’uomo. In collaborazione con la polizia, decine di uomini erano stati sguinzagliati alla ricerca di Paolo Bertesi, e di suo figlio. Seduto alla propria scrivania, dirigeva le operazioni senza sosta, tenendosi costantemente in contatto con ogni unità. Verso le due del pomeriggio, fu interrotto da una chiamata interna.

-Maresciallo, mi scusi, ma ho in linea una donna che dice di sapere dove si trova il Bertesi, gliela passo?-

Capuano esitò. Aveva accumulato abbastanza esperienza per sapere che, in questi casi, i mitomani saltavano fuori come funghi. Tuttavia, qualche rara volta era vero anche il contrario.

-Va bene, Liprandi, passamela-

-Buongiorno, sono il maresciallo Capuano, con chi parlo?-

Dall’altra parte si udì un sospiro, come se la persona ci avesse ripensato e stesse per riattaccare.

-Buongiorno, mi chiamo Elena Ghisoni, e Paolo sta andando a casa mia-

Capuano si fece immediatamente attento. C’era qualcosa, in quella semplice frase, che gli fece sospettare non si trattasse di una delle tante chiamate fasulle. Il tono della voce, l’esitazione prima di pronunciarla ma, sopratutto, il modo in cui aveva scandito il nome del ricercato.

Paolo sta andando a casa mia”

Rammarico, o forse dispiacere, magari entrambi, e anche delusione.

Un mitomane sarebbe stato più freddo e inespressivo, limitandosi a nome e cognome della persona ricercata oppure non nominandolo addirittura.

So’ dov’è il fuggitivo, andate a prenderlo” e avrebbe riattaccato, senza neppure fornire le proprie generalità.

-Signora Ghisoni, lei capisce che devo verificare ciò che mi sta dicendo, questo perch…-

-Non sono una mitomane, se è quello che stava per dire…- l’interruppe Elena.

-Paolo mi ha chiamato circa un’ora fa, stavo per recarmi al lavoro e…-

In breve, ma senza alcuna esitazione, gli rivelò tutti i dettagli della telefonata.

Dopo aver ascoltato attentamente, Capuano le raccomandò di non muoversi da dove si trovava.

-Manderò una pattuglia a prenderla, non si avvicini assolutamente a casa sua-

****

Quasi nello stesso istante, nell’appartamento di Michele,  Molinaro teneva qualcosa tra le mani.

“Davvero sbadato, il nostro amico”  disse osservando l’oggetto.

 
 
 

Dal mio silenzio

Post n°1280 pubblicato il 22 Ottobre 2016 da lascrivana

Dal mio silenzio.
Post n°1005 pubblicato il 21 Maggio 2015 da lascrivana

Dal mio silenzio.

Post n°376 pubblicato il 31 Marzo 2012 da lascrivana

 

Dal mio silenzio

Coglierai le parole mai sussurrate

Le sfumature mai pennellate

l'emozioni mai simulate

Passioni e ardori

che hanno dato adito ai miei umori

Disegnerai impronte caste o profane

mani imploranti e grida disumane

Preghiere bisbigliate

da menti spudorate

Che l' incedere fugace avranno ostacolato

Lo sguardo divino posato sul capo

Non lascerà che il piede inciampi nel fossato

E se una mano mi spingerà sempre più a fondo

un altra mi solleverà trascinandomi in capo al mondo

Userai il bianco e il nero per dissolvere il pensiero

E nelle tonalità di grigio

attenderai bigio bigio

Il ritorno ridondante delle mie parole

Calde e radiose come i raggi del sole.

 Poesia L@ur@

Immagini Lady_Juliette

 
 
 

Excursus

Post n°1279 pubblicato il 18 Ottobre 2016 da lascrivana

Ci sono dei momenti nella nostra vita, dove le cose non vanno tanto bene; sia professionalmente sia affettivamente. Quei momenti, non sono solita viverli come sconfitta; bensì come un’esercitazione che mi consente di migliorare caratterialmente, oggettivamente e collettivamente.

Un po’ come quando ero bambina e saltavo i gradini delle scale; iniziavo dal primo per finire a quello più in alto.Mi ci vollero anni prima di riuscire a saltare anche il quattordicesimo.  Come ben sapete, le scale sono suddivise in rampe;  la prima che saltai fu quella di casa mia: erano solo sei gradini, ma io ci riuscii alla grande.  Non appena finivo di pranzare scendevo giù per esercitarmi; con mia madre che urlava in cima alle scale: -Laura! Quel poco che hai mangiato ti scenderà ai piedi-.

Sarà stato anche vero, ma ciò che mi consentiva di allenarmi era proprio la mia eccessiva magrezza e agilità.

Dopo aver raggiunto l’obiettivo del salto della rampa di scala composta da quattordici gradini, rivolsi la mia attenzione ad altre discipline.

Le mete che desideriamo raggiungere nella vita sono diverse, e cambiano man mano che il tempo passa. Chiaramente queste rispecchiano in gran parte il nostro modo di essere, le nostre capacità intellettive e morali. Per alcuni sono rappresentati da beni materiali, come in parte anche per me, anche se non in maniera viscerale: poiché essi costituiscono i premi ottenuti grazie alla mia caparbietà. Di solito mi coccolo con strumenti che perfezionano le mie qualità culinarie e informatiche; prestando molta poca attenzione a quelli che potrebbero migliorare la mia estetica.

Sovente mi capita di avere a che fare con gente, che approfittando dei miei momenti insufficienti, tendono a screditarmi oggettivamente.

Fortuna che difficilmente mi lascio scoraggiare dall’altrui opinione; e poiché sono tendenzialmente ottimista, mi piace pensare ai periodi scarsi, come alle esercitazioni che facevo da bambina nel salto delle scale: ogni volta che dovevo aumentare il salto di un gradino, ricominciavo sempre dal primo. Questo modo di agire a ritroso, mi consente di riflettere sui vari passaggi per capire dove sbaglio e dove posso migliorare.

 

 

 Laura

 
 
 

Una Nuova Vita (Settimo Capitolo)

Post n°1278 pubblicato il 15 Ottobre 2016 da contastorie1961

-Io e lui saliremo per primi…- disse Capuano indicando uno degli altri militari -...se tutto va bene, potrete farlo anche voi, e Masone vi aiuterà- facendo un cenno verso l’altro. 

Una volta tanto era riuscito a mettere a tacere l’ex maresciallo, che tuttavia diede segno di non voler mollare troppo facilmente. 

-Non credo troveremo qualcuno, quindi non ci sarà alcun pericolo. Però è inutile rimanere qua a discutere, forza, vai e fammi un fischio quando sei dentro- rispose Molinaro. 

Un istante dopo, i due carabinieri varcarono l’ingresso. 

-Bravo guaglione il nostro Capuano, non è vero?- disse poi rivolgendosi a Masone. Quest’ultimo, poco più che un ragazzo, annuì deciso. 

-Certo, signore- rispose in tono reverenziale e con uno spiccato accento veneto. 

-E vi cita spesso quando c’è da intraprendere qualche azione, dice che è solo merito vostro se ha imparato quello che sa- 

Molinaro sorrise sotto i baffi, quel apprezzamento gli aveva fatto davvero piacere. 

-Se solo a volte non fosse così cocciuto, a questo punto sarebbe già capitano!- rispose invece. 

-Devi sapere che…- in quel momento però, Capuano e l’altro militare ricomparvero in strada. 

-Avevate ragione. Il nostro piccione ha ripreso il volo, l’appartamento è vuoto-  

-Non avevo dubbi in proposito, trovato qualcosa?-  

-Non è molto che si è dileguato. In cucina ci sono resti di cibo consumato recentemente, compresi dei biscotti per bambini-  

-D’accordo. Lasciami qui con questo bravo ragazzo- disse Molinaro indicando Masone. 

-Voglio dare un’occhiata al appartamento mentre tu, nel frattempo, sai cosa devi fare- 

Capuano si corrucciò. Ammirava e rispettava l’ex superiore, ma sentirsi dare ordini davanti agli altri gli diede fastidio. 

-E come no, praticamente come cercare il classico ago nel pagliaio!- rispose leggermente piccato. 

-Guagliò, non siamo di certo in una metropoli, e quel farabutto quasi certamente si sta muovendo a piedi. Chiedi la collaborazione della polizia, fai la voce grossa e mobilita più gente possibile, questo devi fare!- 

Sorpreso ma non troppo da quella reazione, Capuano annuì. 

-Va bene, ma se scoprite qualcosa avvisatemi immediatamente, siamo intesi?

Molinaro lo guardò come se avesse di fronte un bambino capriccioso. 

-No, chiamo direttamente il presidente della repubblica. Vattinne guagliò, stiamo solo perdendo tempo- Detto questo, manovrò la carrozzina verso la casa, subito seguito da Masone. 



Parcheggiato dietro un furgone, Michele seguì con attenzione ciò che stavano facendo i militari. Di primo acchito, ancor prima che due di loro varcassero la soglia di casa sua, pensò di piombare nel mucchio a tutta velocità, ma scartò l’idea quasi subito. Cosa avrebbe risolto? Nulla, se non il fatto che sarebbe finito in una cella per il resto dei suoi giorni in caso di fallimento, specialmente se avesse investito l’uomo sulla sedia a rotelle. Di chi fosse, non ne aveva la più pallida idea, ma sembrava fosse lui a dirigere le operazioni. Col fiato sospeso, contò i minuti dal loro ingresso, aspettandosi di vederli ricomparire con al loro fianco Paolo, ammanettato. E fu con un sospiro di sollievo che, poco dopo, li vide uscire da soli. Vittima di un turbinio di emozioni, fece manovra e si allontanò in fretta. Ora il problema principale era ritrovarlo, ma come poteva farlo se non aveva nessun numero da chiamare? E di certo non poteva pretendere lo facesse lui. L’aveva contattato e coinvolto in quella pazzia, avrebbe potuto rifiutare ma aveva accettato, sino a proporgli di usare casa propria come nascondiglio. E per cosa, poi? Per abbandonarlo nel momento del bisogno, ecco cosa aveva fatto. Svoltando in una strada secondaria, si fermò nuovamente e appoggiò la testa sul volante. 



 Elena era assalita dai dubbi. Guidando verso l’ospedale, si chiese se avesse fatto bene ad accettare la richiesta di Paolo. Erano trascorsi secoli dall’ultima volta, ma l’idea che tra qualche ora l’avrebbe rivisto li dissipò, almeno in parte. Ignorava cosa l’avesse spinto a tornare, sapeva solo che aver risentito la sua voce l’aveva fatta felice. 

sei una povera pazza” disse guardandosi nello specchietto. Sapeva benissimo che tipo d’uomo fosse Paolo. Avevano fatto l’amore diverse volte, ed era stato bello, ma quando le aveva confessato d’essere omosessuale, il mondo le era crollato addosso. 

non ci credo, non è possibile” era stata la sua prima reazione, ma sapeva che era la verità. Arrivò in ospedale leggermente in anticipo, giusto per un caffè al bar. Entrando, salutò un paio di colleghe quindi sedette a un tavolino e ordinò. Sul ripiano, ripiegato, si trovava il quotidiano locale, distrattamente lo aprì e sbiancò in volto. In prima pagina, tra le notizie locali, una fotografia le fece mancare il fiato. Inforcando gli occhiali, lesse la didascalia sotto riportata. 

“Ancora nessuna notizia del uomo che, l’altro ieri, ha rapito il proprio figlio dalla scuola materna. Chi avesse informazioni, è pregato di rivolgersi immediatamente alla stazione dei carabinieri oppure alla polizia”

 
 
 

Trascinati dalla corrente.

Post n°1277 pubblicato il 14 Ottobre 2016 da lascrivana

Le ho educate, senza imporle nulla; o forse non ero capace di farlo.

In ogni caso, le ho lasciato libera scelta non dimenticando di aggiornarle sulle reazioni contrarie, che il loro comportamento avrebbe potuto scatenare. Non ero preparata nemmeno io a essere madre; e tantomeno immaginavo di come il mio comportamento avrebbe influito sulle loro vite, e sulle loro decisioni future.  In più di un’occasione mi sono sentita inadeguata in questo mondo che correva veloce verso il depennamento di tutti i valori,  sentimentali e culturali. Non mi restava scelta che avvicinarmi il più possibile alla fiamma sinuosa e avvolgente del nuovo, del virtuale, del meccanico. Inizialmente rimasi scottata, ma poi, dopo aver conosciuto le insidie che si celavano dietro quest’apparente appagamento, tramutai tutto quello che avevo appreso a mio favore.

Compresi che nella scrittura avrei trovato il modo di risarcirmi del tempo perso nella gabbia meccanica. Il mondo mi attendeva con tutte le sue problematiche; ed io stessa ero diventata una giustificazione alle loro ribellioni.  Mi scrollai subito le responsabilità di dosso asserendo con tenacia, che solo a noi stessi era dato il merito dei nostri successi o la colpa dei nostri fallimenti.

In ogni caso, la mia mente curiosa aveva ottenuto ciò che voleva: una risorsa infinita di sorgenti del sapere.

Non c’era nulla che non potevo avere alla portata di un clic; ma a essere un buon genitore te lo insegnano i figli.  Forse ho lasciato loro troppa libertà con la mia carente autorità; ma non ho mai dimenticato di darle ogni giorno la cosa più importante: il mio infinito amore, e la mia eterna disponibilità.

Ho rinunciato a molte cose per amore dei miei principi; e per non demolire i solidi affetti creati nel tempo.  C’è posto per tutti e per tutto nella mia vita; ma ogni cosa deve trovare la sua giusta posizione, e per raggiungere quest’equilibrio ho dovuto fare sfoggio di tutta la mia caparbietà e risolutezza.  E ora sono consapevole che in qualcosa come genitore non ho fallito:  hanno imparato a meditare sulle loro azioni, e a prendersi del tempo prima di fare una scelta definitiva.

 

 Laura



 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: lascrivana
Data di creazione: 19/09/2010
 
 

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