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poesie prose e testi di L@ur@

 

UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

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UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

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Messaggi di Settembre 2017

L'amore è ...

Post n°1447 pubblicato il 29 Settembre 2017 da lascrivana

Ho sempre parlato molto di me, ma non mi è mai piaciuto raccontare le storie d’amore vissute… quelle sono confinate nei meandri delle mie memorie per sempre.

Sono stata sempre gelosa dei miei sentimenti, non ho mai concesso al pregiudizio o alla superficialità di metterci bocca; tutto quello che vivi con l’immaginazione, assume un aspetto magico e privo di spigolature.

I sentimenti che ho condiviso realmente, non li ho mai resi manifesti, poiché sono un privilegio intimo e personale.

Immagino abbiate sentito spesso la frase “se veramente lo avesse amato, non si sarebbe comportata così”; oppure “ se mi ami sul serio, fai quello che ti dico” mi fermo qui, altrimenti potrei riportarvi centinaia di frasi che mettono in discussione il sentimento nutrito.

L’amore per me è libero da qualsiasi vincolo o restrizione, lasciare che l’altro esprima liberamente la propria personalità; e se mi piace, posso anche conviverci, altrimenti ognuno per la sua strada.

Amavo mio padre, eppure durante gli anni trascorsi insieme, non gli feci mai una carezza … non gli dissi mai ti voglio bene, se non qualche giorno prima della sua morte.  A mio padre bastò quel tacito sentimento per capire che era sincero e fidato.  Le mie azioni non avevano bisogno di essere commentate; la mia dedizione non gli lasciava dubbi.

Non ebbi dei privilegi per essere stata sempre presente, soprattutto nelle difficoltà; mi bastò la sua sincera promessa in punto di morte che avrebbe sempre badato a me. 

L’amore è un sentimento che arricchisce principalmente chi lo prova; e poi chi lo riceve.

 

 

 

 
 
 

E scrivo nel mio blog.

Post n°1446 pubblicato il 27 Settembre 2017 da lascrivana

Quando si scrive della propria vita pubblicamente, diventa difficile rivelare tutta la verità; alcuni episodi sono omessi poiché non riguardano solo la mia esistenza, bensì anche quella di altri. Così mi limiterò a scrivere solo quello che penso non possa nuocere a nessuno.

Anche l’esperienza del collegio finì, ed io dovetti lasciare la scuola e fare i bagagli. Il ritorno a casa non fu poi così piacevole come pensavo lo fosse da bambina. Il lavoro nei campi era aumentato, e occorreva anche il mio aiuto; così mi ritrovai a rimpiangere gli anni passati in collegio, e svegliandomi addirittura di notte pensando di essere ancora li.

Gli ultimi due anni passati all’istituto, ho avuto la fortuna di essere seguita da una suora eccezionale: moderna e dolcissima, affettuosa e giocherellona. Amava molto studiare, e la sua cultura e intelligenza la spingevano a renderci liberi di esprimere la nostra idea. Mi mancò molto egli anni a seguire, anche se non ci siamo mai perse di vista.

In qualche modo, io e le mie sorelle, cercammo di rendere il lavoro meno pesante e frustrante. Non soffrii mai d’inadeguatezza, poiché ben presto scoprii il piacere della lettura e della settimana enigmistica; riempendo così in parte le lacune lasciate da un’istruzione interrotta.

Mi sposai molto giovane, creandomi una bella famigliola. Anche se i miei figli hanno ricevuto un’educazione diversa, non ho mai pensato che loro dovessero avere dalla vita tutto quello che non ho avuto io. Nonostante tutto mi considero fortunata … io ho imparato a sognare; e credetemi, non è poco.

Se io non avessi avuto tanta immaginazione, oggi non saresti qui a leggermi … magari non avreste mai saputo chi fosse Laura.  Sono grata a Libero community per avermi concesso la libertà di parola e di espressione pubblica.

 
 
 

Il dono dell'insegnamento

Post n°1445 pubblicato il 24 Settembre 2017 da lascrivana

Parlare della mia infanzia non mi provoca alcuna sofferenza, al contrario, sotto certi aspetti ritengo di essere stata molto più fortunata di altre.

 La vita passata in collegio ha avuto lo stesso effetto del chiaro scuro, quelle poche settimane trascorse a casa durante le feste erano diventate delle bellissime vacanze da vivere con il fiato sospeso; ogni attimo era importante e intenso. Chi sta sempre nella famiglia da tutto per scontato e non si rende conto della fortuna che ha di averla sempre accanto; mentre chi non possiede questa possibilità sin dall’infanzia, inizia sin da subito ad apprezzarne i valori.

So bene che non è per tutti così, e qualche membro della mia stessa famiglia ci ha dato del filo da torcere; ma alcune persone sembrano essere nate sotto il segno del male, avendo persino la creatività di costruirselo giorno per giorno, e  il tempo anziché migliorarle, le incattivisce di più.

Ritornando alla mia infanzia, passato il primo anno da incubo con la maestra delle elementari che era una vera e propria arpia e meritava essere esonerata dall’albo degli insegnanti, il secondo anno ebbi la fortuna di essere seguita da un insegnante straordinaria che ancora oggi ritiene il primato assoluto per me.

Aveva un dono straordinario di spiegare la geografia e la storia come se fosse un gioco; con i libri aperti e la cartina geografica in bella vista, c’insegnava il sogno di fare un viaggio virtuale: potevi respirarne la magia dei luoghi spettacolari, e l’adrenalina pura quando scalavi le vette più alte; riuscivi a immaginare il sapore dei cibi originari del luogo, e specchiarti nelle acque dei loro laghi; e poi si tornava con i piedi per terra cercando di far funzionare l’economia del paese sfruttando le risorse principali.

Ricordo ancora il regalo che la maestra mi fece il giorno della mia prima comunione, tre bellissimi libri dalla copertina lucida e colorata. Li lessi tutti d’un fiato, e li conservai per anni gelosamente.

 

 

 
 
 

Ci sono lacrime e lacrime

Post n°1444 pubblicato il 22 Settembre 2017 da lascrivana

Le giornate in collegio erano interminabili e noiose; ed io contavo sempre i giorni che mancavano alle feste ricordate di Pasqua e Natale per stare in famiglia. Ben presto rivelai un talento innato per il disegno; e le mie creazioni più belle le appendevano nella sala ricevimenti per esibirli ai benefattori dell’istituto. Ricordo che un anno, in occasione delle feste Natalizie, fui scelta per le decorazioni che avrebbero allestito il corridoio d’ingresso del collegio: una serie di teste di cherubini con tanto d’ali che sbucavano all’altezza delle spalle per incorniciare porte e finestre. Avevo Un bel po’ di lavoro da fare; quindi quel periodo saltavo piacevolmente anche la ricreazione; ma ahimè, il pranzo rimaneva sempre una nota dolente per me: facevo sempre una gran fatica a ingurgitare quei piatti colmi di pasta e lenticchie, così di nascosto li appioppavo alle compagne con più appetito, finché un bel giorno fui colta in flagrante dalla suora di sorveglianza del refettorio. Irritata per la mia disobbedienza, oltre a rimproverarmi, mi costrinse a riprendermi la mia razione di cibo.

- E ora dovrai mangiarlo fino all’ultimo boccone!-

Esclamò stizzita mentre con una mano sulla nuca mi spingeva con il muso nel piatto.  A quel gesto mi girai  istintivamente e gli trattenni i polsi in modo che non sollevasse le mani per colpirmi.  Non vi dico la baraonda che si creò in seguito al mio gesto; mi accusò persino di averle alzato le mani e minacciò non solo di telefonare a mio padre, ma anche di fare richiesta affinché fossi esonerata dal collegio.  Nonostante mi avesse rifilato due sonori ceffoni, non versai nemmeno una lacrima; cosa che la infastidì ulteriormente al punto da urlarlo nella sala: -Guardate che faccia tosta! Ha il coraggio di guardarmi senza nemmeno piangere di vergogna-.

A dire il vero non so con esattezza cosa provai in quel momento, se non era odio, era ribrezzo; fatto sta che mi nauseava la sua faccia, e nonostante non gli augurassi alcun male, mi si ritorcevano le viscere solo a guardarla.

Sensazioni che provai più di una volta nei loro confronti quando mi mettevano le mani addosso; eppure anche i miei genitori mi avevano dato qualche scappellotto, ma non mi avevano mai suscitato una simile sensazione.

 Mi alzai di scatto dalla sedia, e mi allontanai dal refettorio con lo sguardo inferocito e i pugni stretti, mi rifugiai nello studio spazzando con un gesto rabbioso tutti i disegni sparsi sulla scrivania. Le suore sbalordite dal mio insolito e ribelle atteggiamento, non proferirono parola. Combinazione mio padre scelse proprio quel giorno per venire a farmi visita; tant’è vero che quando mi fu annunciata la sua presenza, convinta che fosse stato convocato dalle suore per l’accaduto, percorsi il corridoio che conduceva alla sala delle visite con le gambe tremanti e il cuore che mi batteva a mille. Timorosa per l’imminente ramanzina, mi presentai al suo cospetto con capo chino; e invece con mia grande sorpresa fui accolta con un sorriso affettuoso e un bacio sulla guancia.  Ben presto scoprii dal sorriso raggiante della madre superiora che mio padre, all’oscuro della mia marachella, si era presentato all’istituto colmo di ogni ben di Dio che la nostra terra produceva.

-Tuo padre è un uomo molto generoso; un santo! Il suo sorriso ci ricorda tanto quello di papa Giovanni! -

 Esclamò una delle suore scompigliandomi i capelli.

A dire il vero a casa le mie sorelle, più che a papa Giovanni, lo paragonavano a un orco: il suo carattere burbero e severo c’intimoriva a tal punto che bastava un solo sguardo per rimetterci in riga. Eppure a me faceva tanta tenerezza; non riuscivo mai a tenergli il muso a lungo; i suoi gesti di grande generosità riuscivano sempre a spiazzarmi! Se c’era da dividere una golosità non ne tratteneva mai un pezzo per se, diceva che era più felice se noi mangiavamo anche la sua parte.

Ecco, queste piccole cose mi commuovevano a tal punto, da farmi traboccare il cuore di tenerezza e offuscarmi lo sguardo con lacrime di commozione; e oggi, quando ripenso a quei momenti, non posso fare a meno di ricordare con una stretta al cuore i suoi sacrifici e la sua abnegazione.

 

Si piange quando ci si sente liberi di dimostrare la nostra debolezza senza per questo sentirci vulnerabili; mentre l’odio e l’orgoglio imprigionano le lacrime.

 
 
 

La saga dei ricordi.

Post n°1443 pubblicato il 17 Settembre 2017 da lascrivana

Questa settimana ho avuto poco tempo per continuare la saga dei ricordi ma ora eccomi qui per riprendere il discorso da dove l’avevamo lasciato.

Parliamo di questo maiale sgozzato e portato alla gogna; non è che eravamo insensibili e la sua morte non ci faceva un baffo, al contrario, papà ci teneva sempre lontane quando lo uccideva, diceva che il nostro dispiacere avrebbe prolungato la sua agonia; la stessa cosa ci ripeteva mamma quando torceva il collo alle galline … mi sembra di rivederla con il fazzoletto sulla testa che le tratteneva i capelli per impedirne la caduta inopportuna.

La mamma è una donna meticolosa e precisina,dedita alla famiglia come poche; ed è vissuta sempre all’ombra di mio padre, uomo scaltro e di spiccata intelligenza. La parola di mio padre era legge, e come tale doveva essere rispettata da tutti i membri della famiglia. Aveva creato molto dedicandosi giorno e notte al lavoro nei campi e al commercio della frutta e verdura riprodotta; e dalla famiglia pretendeva la stessa dedizione. Noi eravamo piccoli e con tanta voglia di giocare, dedicarci ai lavori d'agricoltura lo trovavamo noioso, ma poiché non avevamo scelta, dovevamo mettere da parte le bambole e seguirlo in campagna.

Badate bene che parlare della mia infanzia non mi provoca dolore, al contrario ne scrivo con orgoglio ogni dettaglio, poiché non era meno faticosa e noiosa di quella dei nostri figli. Con tristezza guardo al bambino che gioca da solo nella sua stanza con un gioco elettronico che gli regala solo un’interazione virtuale; per non parlare degli infanti costretti a fare nuoto, palestra, e quant’altro. Discipline che risucchiano il loro tempo creativo, quello che noi avevamo a disposizione alla loro età.

Siamo passati da un eccesso all’altro; e se prima mi domandavo come mai questo ragazzo che oggi ha tutto è inquieto e triste, ora mi è tutto chiaro.

La televisione ci riporta notizie raccapriccianti di giovani omicidi che si ritorcono ingrati contro i genitori. A quel punto direi che è meglio torcere il collo alle galline e sgozzare i maiali, che macellare genitori e fidanzate.

La scuola dovrebbe aiutare le famiglie a ritrovare il giusto equilibrio tra presente e passato; così come io sto riportando alla luce la mia infanzia per esaltarne la bellezza e l’emozione della vita ingenua.

Il presente ci propone tante cose, e al bambino rimane poco da sognare e immaginare.  Forse dovremmo ricominciare con il proporre all’infante tutte le novità poco per volta, lasciandogli il tempo d’immaginare cosa il futuro potrebbe ancora dargli! Dedicargli più tempo e fare insieme delle scampagnate, piuttosto che lavorare sodo per iscriverlo in palestra e dargli un’infinità di giochi costosi. Non rattristarci davanti al suo pianto per non aver avuto il nuovo giochino uguale al suo compagno, bensì rallegrarci perché a lui abbiamo regalato  un sogno.

Laura 

 
 
 

La stagione dei maiali.

Post n°1442 pubblicato il 14 Settembre 2017 da lascrivana

Le memorie di un tempo s’incrociano con un presente che costruisce ancora ricordi; sensazioni ed emozioni che presto immagazzinerò in un angolo della mia mente. Spesso le diverse donne che sono stata nella mia vita, s’incontrano per fare un resoconto. Mi sembra di vedere la Laura bambina che incontra la me ragazzina, mentre la me donna sorride ad entrambe con tenerezza … e poi c’è quella me odierna che le abbraccia tutte e tre.

Stamani nell’osservare una mia vecchia fotografia, ammiravo il sorriso sincero dell’infante che ero stata: quando ancora non avevo complessi e vivevo in uno stato d’ingenua incoscienza. Eppure qualcosa di cui vergognarmi l’ho combinata anch’io; e così ho scoperto che un pizzico di coscienza l’abbiamo anche all’età di cinque anni.

Ho usato un aggettivo volgare nei confronti di un sacerdote. Ricordo di averlo sentito dire da qualcuno più grande.  La nostra casa era sempre frequentata da figure religiose,  poiché mio padre aveva improvvisato una chiesa in uno dei nostri fabbricati, e tra questi c’erano anche ragazzi costretti dai genitori a seguire il catechismo, e il loro malcontento si manifestava attraverso queste espressioni volgari e poco lusinghiere.

 

Mi sembra di rivedere ancor oggi la scena che si era svolta in una fredda mattina di Gennaio. Quel giorno mio padre aveva ucciso il maiale per fare la conserva dei salumi -motivo di grande festa in passato; tant’è vero che invitava sempre i parenti e gli amici più cari, che oltre a partecipare al banchetto, davano una mano.  Quell’anno aveva deciso di invitare anche dei giovani sacerdoti che frequentavano la catechesi, anche se solo per un aiuto spirituale. Erano le dieci del mattino, e il sole aveva fatto capolino da dietro le nubi spessi, ed io saltellavo felice vicino all’albero dov’era stato appeso il maiale.  La grossa fune che penzolava dal robusto ramo d’ulivo, era tutta intrisa e gocciolante di sangue; e il giovane frate osservava rattristito la piccola pozza che si era formata ai piedi dell’albero. Di solito quando si gioca e si saltella da bambini, si canta una filastrocca; beh anch’io ne avevo una da cantare quella mattina, solo che le parole non erano di certo adeguate alla mia età e alla mia religiosa educazione. Ricordo di essermene vergognata tanto da non riuscire a guardare negli occhi il frate fino a che non sono diventata adulta. 

Laura

 
 
 

La pioggia sull'ulivo.

Post n°1441 pubblicato il 10 Settembre 2017 da lascrivana

 Non so per quanti anni ancora libero community conserverà le mie narrazioni; magari tutto il tempo perso a scrivere scomparirà nel nulla, o nei casi più fortunati sarà conservato per sempre nelle memorie del web. Chi può dire come andranno le cose in futuro? In fondo non avrei nemmeno immaginato di scrivere della mia infanzia pubblicamente; a dire il vero non pensavo nemmeno che questo avrebbe destato l’interesse di qualcuno; eppure il numero di quante volte è stata visitata la mia pagina, mi fa capire che a seguire i miei scritti non siano in pochi. Finora ho parlato solo del tempo e dei giochi, accennando rare volte anche ai momenti poco favorevoli della mia infanzia. Analizzandola a distanza di tempo, mi rendo conto che i bambini d’oggi subiscono una violenza maggiore, rispetto alle rigide regole del passato. Le punizioni corporali erano meno tragiche di quelle inferti all’infante di oggi.  La loro punizione è di avere ogni desiderio esaudito; di avere mille giochi e di desiderare solo lo smartphone di mamma e papà; di avere una camera tutta per se, e nessun compagno di giochi.

La mia infanzia l’ho divisa con una decina tra fratelli e sorelle; per non parlare poi dell’età scolare che mi ha costretto invece a condividerla con un numero più alto di coetanei.

Quando mio padre decise di accettare il consiglio della madre superiora di frequentare le scuole dell’Istituto femminile, non fu di certo una bella notizia per me. Immagino che molti di voi abbiano visto Heidi - la pastorella costretta dalla montagna a frequentare le scuole in città- Beh! Io ebbi la sua stessa reazione quando dovetti lasciare il verde brillante delle colline, per chiudermi nel grigio e imponente edificio di città. Addormentarmi senza il fruscio delle foglie dei pioppi e lo sciabordio della piena del canale a pochi metri dalla finestra della mia cameretta, e poi svegliarmi senza la cima del gigantesco albero d’ulivo che faceva capolino da dietro i vetri della finestra, fu un trauma per me. Ricordo che alcune volte dopo una leggera pioggerellina ,il sole faceva brillare le goccioline d’acqua che si depositavano sulle foglie, tanto da far sembrare i rami costellati da una miriade di brillantini.

Risultati immagini per goccie di pioggia  sulle foglie d'ulivo

Mi mancava dolorosamente non poter correre nei campi e giocare con tutta quella ferraglia arrugginita e con le vecchie casse. Non mi mancavano di certo le ginocchia sbucciate: sempre di corsa, mi rinnovavo continuamente le croste.

La vita in collegio era grigia e abitudinaria: si osservavano sempre gli stessi orari, e mi costringevano a ingurgitare piatti colmi di minestre e legumi. A casa la mamma mi friggeva patatine e mi dava l’uovo fresco alla coque: inzuppandomi dentro bastoncini di pane. La mia pasta preferita era quella con il formaggino, e non amavo molto la carne. Ricordo in collegio, che quando rientravo da scuola e ci recavamo nel refettorio per pranzare, storcevo il naso disgustata davanti al piatto colmo e fumante di pasta e ceci: - Ahimè! Ero costretta a mangiarlo fino all’ultimo boccone, altrimenti avrei dovuto subire una severa punizione. Alcune volte non la digerivo a tal punto, che la vomitavo durante la notte.

Pallida e magrolina, avevo il diavolo in corpo tanto ero irrequieta. Non stavo mai ferma, e i gradini li salivo sempre a due a due; se in discesa non saltavo le rampe di scala, scivolavo a cavalcioni dalla ringhiera: ragion per cui, più volte passai il poco tempo di ricreazione che avevamo a disposizione, con la faccia al muro.

 

 

 
 
 

I fichi d'india.

Post n°1440 pubblicato il 08 Settembre 2017 da lascrivana

La mia biografia scritta direttamente su un blog, rispetto al passato che era scritta in tutta segretezza, ha la fortuna di allacciarsi nella narrazione con l’interazione in tempo reale.

Grazie al web ho scoperto, che pur trovandoci a chilometri di distanza con i miei coetanei, creavamo gli stessi giochi. Eppure non erano di certo giochi pubblicizzati dalla tv, nonostante all’epoca esistesse già il carosello.  Per chi non ne fosse ancora a conoscenza, il “carosello” era l’intermezzo pubblicitario di una volta; non era invasivo e inopportuno come oggi, rispettava dei tempi prestabiliti tra una programmazione e l’altra.

Ritornando ai giochi d’infanzia, mi allaccio al ricordo di un altro blogger che fa riferimento a un carretto costruito con i cuscinetti e una cassetta di legno; mentre Vince li riciclava dal meccanico del paese, noi avevamo la fortuna di avere il bancone del meccanico nel garage.

Ricordo ancora questo locale al pianterreno, buio e polveroso, dall’odore metallico misto alla nafta. Sul lungo bancone rimediato alla buona con assi di legno e grossi chiodi di ferro, dominava la sagoma d’acciaio della morsa –che costituiva in due massicce ganasce serrabili che stringendoli tra di loro, oltre a mantenere fermo un oggetto, avevano il potere di spezzare il filo di ferro- quindi, oltre alla fantasia, avevamo materiale a sufficienza per realizzare i nostri giochi.

Risultati immagini per la morsa d'acciaio

Per realizzare questi carretti, utilizzavamo le cassette della frutta, e poiché non erano molte solide, eravamo costretti a sostituirle spesso: giacché il gioco consisteva nel trainarci a vicenda tramite una corda che allacciavamo all’asse di legno inchiodata sotto il carretto.

Risultati immagini per cassette di legno

Un giorno, accidentalmente usammo una cassetta di frutta che era stata utilizzata per il trasporto di fichi d’india; vi lascio immaginare le conseguenze, poiché le spine microscopiche e sottili di questi frutti selvatici, sono tra quelle più insidiose e difficili da togliere.  Era estate, e trovandoci addosso dei leggeri vestitini, finimmo con il trovarci le spine infilzate in tutte le gambe e gran parte delle natiche scoperte. La cosa più buffa è stata che non ci accorgemmo subito delle spine, bensì soltanto dopo che tutti noi bambini avevamo fatto i turni nel carretto. Fu dura eliminarle, e prima che potessimo sederci tranquillamente senza il fastidioso pungere delle spine sulle natiche, passarono diversi giorni.

Laura

 

 

 
 
 

Memorie impreziosite dal tempo.

Post n°1439 pubblicato il 06 Settembre 2017 da lascrivana

Ritornare indietro nel tempo con la mente e rivivere le vecchie sensazioni, mi hanno intrigato a tal punto da desiderare di farlo ancora.

Parlare dei miei giochi d’infanzia mi ha aiutato a indossare con facilità i miei vecchi vestiti smessi, e rimessi più volte! Ultima figlia di una numerosa famiglia, mi sono ritrovata a riciclare i resti dei cenci delle mie sorelle. Immagino che per mio padre non sia stato per niente facile crescere così tanti figli e dare a tutti il minimo necessario per sopravvivere. Non ricordo di aver mai fatto la fame; fortunatamente l’azienda agricola a conduzione familiare ha sempre fruttato a sufficienza! Anche se mio padre avendo vissuto la seconda guerra mondiale in povertà e miseria, gli veniva naturale conservare risorse nel caso dovessero ripresentarsi tempi critici: tempi che fortunatamente mai arrivarono, e quindi si ritrovò ad arricchire le sue proprietà investendo i risparmi sulla costruzione di appartamenti per i propri figli. Così alla fine il nostro sacrificio non fu vano, poiché non avemmo difficoltà a sistemarci dopo sposati.

Non nego di essermi vergognata più volte delle mie scarpe riciclate e sempre più grandi di un numero, e del vestito che a fatica indossavo - poiché tra me e mia sorella c’era solo un anno di differenza. Ricordo che ci scambiavano tutte per gemelle, tanto sembravamo della stessa età.

Comunque ho avuto la fortuna di crescere con un padre padrone di una genialità oltre misura; uomo che conosceva bene l’arte di arrangiarsi e che l’ha trasmessa alla maggior parte dei suoi figli.

Per ora mi fermo qui, con la promessa di continuare a scrivere della mia infanzia.

Ammetto che con il tempo, anche i ricordi di una misera infanzia, s’impreziosiscono nelle memorie. Nonostante il benessere del giorno d’oggi, non invidio la nuova generazione: abbiamo conservato dei valori che non hanno prezzo.

Laura

 
 
 

Una nota per una scatola.

Post n°1438 pubblicato il 04 Settembre 2017 da lascrivana

A volte basta una nota per far scivolare la mente nel ricordo. Memorie che si riallacciano alle emozioni scaturite nell’ascoltare una vecchia canzone; e come d’incanto davanti ai miei occhi, sfilano una serie d’immagini che mi vedono bambina, intenta a disegnare carte napoletane per giocare come i grandi.  Per un po’ avevo messo da parte le bambole per cimentarmi in quella nuova prospettiva. La mia passione non era quella di giocare a briscola o a scopa, bensì creare uno strumento analogo. Ricordo l’impegno messo nel disegnare gli assi, che erano poi quelli che mi venivano meglio; un po’ più difficile riprodurre le figure, soprattutto quelle a cavallo.

Alla fine, con soddisfazione mischiavo il mio bel mazzo di carte creato con le scatole di basta Barilla; cartoni che adattavo a più funzioni.  Non consentivo mai a mia madre di buttare le confezioni dopo il consumo della pasta; poiché questi mi servivano per creare borsette, e accessori come spazzole pettini e quant’altro.

Dove c’era la pasta Barilla, c’era casa; e dove c’era casa, c’era una bambina che giocava con i suoi contenitori di carta.

Laura 

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: lascrivana
Data di creazione: 19/09/2010
 
 

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