Creato da ilVagante il 26/02/2012

XXI secolo

Dolce e chiara è la notte e senza vento.

 

 

Protestare (in questo modo) è giusto?

Post n°2 pubblicato il 27 Febbraio 2012 da ilVagante
 

Non per fare dello sciacallaggio o sterile quanto inutile propaganda politica (e per chi, poi?), ma oggi vorrei parlare delle proteste anti-Tav, che a seguito del grave incidente occorso a Luca Abbà, uno dei leader del movimento No-Tav, stanno nuovamente infiammando l'Italia.

Lo dicevo tempo fa (non su questo blog, che ancora non c'era): "protestare" in questa maniera non porterà a nulla se non a un inasprimento del clima che poi sfocerà in qualcosa di peggiore. Ebbene, quel qualcosa di peggiore è arrivato in queste ore, con l'incidente di Abbà. Nell'ambito dell'ennesimo episodio di protesta collettiva, il suddetto si era arrampicato, pare per attuare l'ennesimo tentativo di protesta, su un traliccio ed è rimasto fulminato dopo che si è appeso ai cavi elettrici. 

Al di là del giudizio tecnico che si può dare ad un'opera come il Tav - giudizio che adesso mi interessa poco o niente - si può rischiare la vita in questa maniera? Molti risponderanno che uno la vita se la gioca come gli pare e piace, e su questo in linea di massima (non sempre, attenzione) sarei anche d'accordo. Quello che mi chiedo è: ne vale davvero la pena? E' giusto arrivare a sacrificare (quasi) la propria vita - le condizioni di Abbà, per quanto ne so, sono gravi in questo momento - per opporsi a un cantiere? 

Gli idealisti risponderebbero di sì: impedire che la propria terra venga sconvolta da qualcosa che si ritiene mostruoso sembra essere una buona bandiera per cui lottare.

Ma è veramente così? In fin dei conti, questo Paese è ancora una democrazia (nonostante la gente blateri a vanvera di sospensione di questa a causa del governo tecnico) e come tale esige il rispetto delle regole democratiche. 

Se si vuole protestare, bisogna farlo avendo a cuore l'ottica democratica e rispettando le regole della civiltà. Non ci si può scagliare con sassi, bastoni, estintori e ogni sorta di oggetto contundente contro persone appositamente convenute per applicare direttive (piaccia o meno) legali. Con questo non voglio santificare le forze dell'ordine, voglio solo dire che questo estremo accanimento nei confronti di queste ultime è sbagliato e grottesco, perché se certe situazioni si rendono necessarie è quasi sempre dovuto all'azione di almeno due parti in contrapposizione. 

E del resto, in my opinion, c'è un problema di civiltà. Ai vertici, diranno alcuni. Alla base, dico io. Perché quando dal basso si decide di utilizzare metodi da guerriglia è "il basso" ad avere un problema. Di comunicazione o magari "solo" di rispetto della dialettica civile e democratica. Perché quando si comincia a tirare sassi e compagnia non bella significa che si è rinunciato a qualsiasi speranza di confronto pacifico. Colpa delle alte sfere sorde a qualsiasi richiamo? Forse, ma uno schiaffo non va ricambiato con un altro. 

Forse ci si illude che l'atto di forza, la violenza, il gonfiare i muscoli siano metodi utili. In verità sono destinati solo a creare conflitto, divisione e situazioni difficilmente sanabili. 

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Speriamo che Anonymous non blocchi anche questo blogghino! Non se lo meriterebbe, data l'età.

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Tu sei un blog

Post n°1 pubblicato il 26 Febbraio 2012 da ilVagante
 

Non si sa mai cosa scrivere come primo post di un blog. Perlomeno io non lo so. Si pensa sempre di dover catturare l'attenzione in modo che il lettore (un vero e proprio parolone, quando si tratta di blogghini, che probabilmente non assumeranno mai un "peso" determinante nella galassia dei blog, come questo) con qualcosa di interessante e coinvolgente, cosicché chi legge pensi: "Ah, questo ci sa fare" o "Bene, continuerò a leggere i successivi post". 

Personalmente ne vorrei fare a meno. Questo non significa, però, che sarò noioso quanto un film di Federico Moccia. Il punto è che ho poche idee valide per il cosiddetto "primo post". 

Non so se sia già stato detto, ma i blog somigliano alle persone. E visto che fino a questo momento abbiamo parlato della "fissa da primo post" e tenendo anche conto che non mi conoscete come blogger, perché non continuare con questo pensiero? 

Sì, i blog assomigliano alle persone. All'inizio - ma proprio all'inizio - non esistono, eppure da qualche parte la loro esistenza è già contemplata, perché, prima o poi, attraverso una "procedura standard" (la nostra però è molto più dolorosa!) vengono alla luce e somigliano a creature quasi prive di senso, alla vista sicuramente incapaci di grandi cose. Eppure, col tempo, a seconda della bravura e della costanza degli amministratori (da noi comunemente conosciuti come mamma e papà), crescono e si orientano in base alla volontà di questi ultimi, anche se a volte (spesso) sfuggono di mano ai propri creatori, che si ritrovano a dover gestire situazioni impreviste. 

Perché un blog non è solo programmazione e metodo, è anche imprevedibilità, come a dire che il caso ci mette lo zampino anche online! Dicevo, non è tutta programmazione. E perché mai dovrebbe esserlo? Un blog senza visitatori e senza lettori che lasciano la propria opinione non è un blog, è come un monologo interiore alla Joyce. Qualcosa che può essere interessante, ma che alla lunga si esaurisce in se stessa. Un blog infatti deve creare dibattito, partecipazione, comunità. Altrimenti non è un blog. Allo stesso modo l'essere umano, per essere veramente tale, a un certo punto si affranca dai soliti due interlocutori che lo hanno cresciuto fino a quel momento e va a crearsi una sua personale vita, che prevede anche l'influenza di altri.

Se ci pensate, così fanno anche i blog: all'inizio scrivono solo gli amministratori, ma poi arriva il benedetto giorno in cui qualche zelante internauta lascia un commento e si pone - auspicabilmente - come il capofila di molti altri intervenuti, che molto spesso si mettono a discutere tra loro, (quasi) ignorando gli autori, che però sono contenti, perché hanno finalmente aperto il proprio blog al mondo. E che c'è di più bello di allargare i propri orizzonti? 

E poi alla fine, purtroppo o per fortuna, arriva il momento di chiudere bottega: il tempo è finito, non si può proseguire. Anche i blog hanno un termine e questo arriva in piena concomitanza con la fine delle idee degli amministratori. In un certo senso, si può dire che la morte di un blog arrivi con la nostra morte intellettuale, quando cioè non ne abbiamo più mezza di continuare a proporre, ragionare, interrogarci e interrogare. In un certo senso - e questa è la mia personalissima opinione - la morte di un blog arriva nel momento della nostra vera morte, perché il vivere corporeo (perdonate l'espressione grossolana) non è vita, ma esistenza. Rispettabilissima (infatti sono contrario all'eutanasia), perché non esiste solo la ragione (c'è anche l'anima), ma pur sempre meno umana. Scusate se vi ho tediato. Alla prossima. 

 
 
 

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