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Un blog creato da semi.conduttore il 17/09/2006

Semiconduco

Il diario di un semiconduttore

 
 

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Oh, oh

Post n°205 pubblicato il 05 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Questo è il post.

 
 
 

Questo

Post n°204 pubblicato il 05 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Questo link è il motivo per cui vorrei appendere per le palle, ove si riuscisse a trovarle in mezzo a quell'ammasso di lardo, Giuliano Ferrara al ramo più alto del più alto albero disponibile. In alternativa andrebbe anche bene l'impalatura, a patto che il palo prima sia arroventato come si deve. E che poi possa mangiarmi almeno una coscia, che a detta dei cannibali è la parte più buona.

La maestra di mia figlia più grande (11 anni ancora da compiere, quinta elementare) si è permessa il lusso di leggere in classe (in una scuola pubblica, laica, che paghiamo noi contribuenti col sudore delle nostre tasse) il brano di cui al link. La maestra Vanna. Purtroppo non so il cognome, sennò lo scriverei. E' di Grottaferrata, se la incontro in giro cerco di rifilarle due ceffoni.

Ah, divertente: questa cosiddetta maestra, che di colore sarebbe corvina come la notte più nera, si tinge di platino. Quando è rimasta incinta, un paio d'anni fa, ha smesso di darsi il cianuro sui capelli, e la ricrescita era evidentissima. Interrogata dai bambini su quegli strani capelli bicolore ha trovato la faccia da culo necessaria per rispondere che "quando una rimane incinta succede così, i capelli cambiano colore". Ho dovuto litigare con mia figlia per spiegarle che le aveva sparato una cazzata grossa come gli anelli di saturno.

Domani vado dal preside e faccio una piazzata che mi sentono fino ad alpha centauri. O la licenzia lui o faccio un esposto al provveditorato. E che cazzo.

 
 
 

Un altro intermezzo ludico

Post n°203 pubblicato il 05 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Voglio una vita sperticolata. Ma senza guai.

Chissà che succede a mettere in questione gli assunti di Dio. Magari arriva un fulmine, bo. Se non vedete post domattina, mi raccomando, non fiori ma opere di bene.

 
 
 

L'Angelo di Goedel (5/N)

Post n°202 pubblicato il 04 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Lasciando da parte problematiche personali (tipo che quelli che riescono meglio quando non si applicano mi stanno simpatici di default - sarà che sono anch'io così, non so, non rispondo), cerco di materiare qualche argomento dialettico alle questioni che pone kleo, la quale, con fine arte retorica, finge di non capire. Ma fa parte del gioco, va bene.

Parto dalla fine:

come fa pensrose a distinguere tra simulazione e non?

Lasciando da parte il piccolo lapis (pensrose al posto di penrose), che è comunque significativo, almeno secondo me, la mia personale risposta è che non può farlo, e che la sua è una mera petizione di principio. il problema è che penrose non è mica scemo, anzi, e i suoi argomenti sono molto convincenti - almeno dal mio punto di vista.

Che non si possa distinguere tra simulazione e non è il punto principale del test di Turing e di tutti quelli che sostengono l'IA in senso forte (punto A di Penrose). Se non posso distinguere, non ha senso che io distingua. In fondo conosco una sola coscienza, la mia. Per quel che mi riguarda gli altri esseri umani (che, si badi bene, presuppongo essere esseri umani solo perché vagamente mi somigliano, anche se io sono molto più bello) possono tranquillamente simulare di avere una coscienza, senza realmente sperimentare soggettivamente quegli stessi stati interni (qualunque cosa ciò significhi) che io, con abuso di notazione, chiamo "coscienza". (Piccolo inciso psicanalitico: generalmente gli ossessivi fanno proprio così: gli altri sono macchine).

perchè la tesi C non dovrebbe essere applicabile anche agli esseri umani?

Ma Penrose la applica proprio agli esseri umani, anzi, agli oggetti biologici in generale, e a dirla tutta alla Natura nel suo complesso. Penrose sostiene che esistono alcuni fenomeni fisici, di cui noi ancora non sappiamo nulla, che sono per loro stessa intrinseca natura non-computazionali. Sostiene inoltre che l'unico modo per scappare dalle strettoie poste dai teoremi di Goedel alla comprensione della "mente" è proprio quello di assumere che alla base del sistema naturale "mente" ci siano fenomeni fisici non-computazionali.

Per Penrose la "mente" è non-algoritmica e non-computazionale, anche se ciò non comporta l'adesione alla tesi D. E' un fenomeno naturale, non-computazionale. Ma gli argomenti che sviluppa a sostegno della sua posizione (ripeto, abbastanza convincenti, dal mio punto di vista) tagliano le gambe a quale si sia possibilità di simulare l'intelligenza.

moquette

Per quel che mi riguarda, una volta rovesciai sulla moquette tutto il contenuto materiale di due ore di fatica: si trattava di ravioli ricotta e spinaci.

Ci sono due ordini di problemi: il rapporto tra intelligenza umana e quella artificiale e il rapporto tra intelligenza umana e quella animale.

Non sono d'accordo. Non è un problema di rapporti; si tratta semplicemente di capire. Posto che l'intelligenza artificiale ancora non esiste, mentre invece quella animale esiste (almeno) da circa un miliardo di anni (tendo a considerare il paramecio un animale intelligente, al contrario della gallina), il problema è se alla base dell'intelligenza c'è un algoritmo (complicato quanto si vuole) o no. I sostenitori dell'IA in senso forte, alla fin fine, rispondono che sì, c'è un algoritmo, bottom-up quanto si voglia, ma alla fine è solo un algoritmo.

In senso leopardiano: perché rovinare la vita anche ai computer? Non sentono il profondo senso dell’inutilità del tutto, stanno bene così.

Fantastico. Tutta l'epopea di Marvin, l'androide paranoide della Guida Galattica per Autostoppisti, riassunta in due righe. Non si può fare di meglio.

In altre parole, un essere onnisciente e con abbastanza tempo a disposizione (facciamo pure eterno) riuscirebbe a rendere consapevole la macchina, non soffiandoci sopra, però, semplicemente programmandola? Mi chiedo: perché no?

Ti chiedo: perché secondo te questa serie di post si intitola "L'Angelo di Goedel" e non "mi sto spakkando la minkia su questioni inutili"? La risposta è che un essere onnisciente e con abbastanza tempo a disposizione (un angelo, non vogliamo parlare di Dio perché siamo modesti) non potrebbe rendere consapevole una macchina semplicemente programmandola. Questo è esattamente il punto di tutto il discorso. Naturalmente c'è chi la pensa in maniera diversa (spero di riuscire a parlarne tra breve), e, ça va sans dire, io non la penso in nessuna maniera. Semplicemente so di non sapere.

 
 
 

Una lettura da consigliare a grandi e piccini

Post n°201 pubblicato il 04 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

http://www-stat.wharton.upenn.edu/~buja/sci.html

Un estratto picciolo picciolo, tanto per darvi un'idea:

We began this article by arguing that complex thoughts expressed in impenetrable prose can be rendered accessible and clear without minimizing any of their complexity. Our examples of scientific writing have ranged from the merely cloudy to the virtually opaque;
yet all of them could be made significantly more comprehensible by observing the following structural principles:

  1. Follow a grammatical subject as soon as possible with its verb.

  2. Place in the stress position the "new information" you want the reader to emphasize.

  3. Place the person or thing whose "story" a sentence is telling at the beginning of the sentence, in the topic position.

  4. Place appropriate "old information" (material already stated in the discourse) in the topic position for linkage backward and contextualization forward.

  5. Articulate the action of every clause or sentence in its verb.

  6. In general, provide context for your reader before asking that reader to consider anything new.

  7. In general, try to ensure that the relative emphases of the substance coincide with the relative expectations for emphasis raised by the structure.

 
 
 

L'Angelo di Goedel (4/N)

Post n°200 pubblicato il 03 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Una discussione con la mia più cara amica mi ha fatto pensare che l'esempio della stanza cinese può essere fuorviante, per vari motivi; il principale dei quali - credo - è che scrivere un programma per insegnare a un computer come parlare cinese (o in qualsiasi altra lingua) in modo da ingannare un essere umano - che capisca sufficientemente bene il cinese, ovvio - è al di là di quel che si può realizzare al tempo presente (be', alla fin fine è in gioco nientepopodimenoché passare il test di Turing, mica cazzperi), e di quel che è prevedibile nell'immediato futuro. L'altro problema, che forse sta a pari merito col primo, quanto a insidia, è che uno pensa subito al dizionario italiano-cinese, ma non è quello il punto. Il punto è il programma (ossia l'algoritmo, il sistema formale) che necessariamente sta alla base del colloquio umano-cinese/computer.

Allora mi è venuto in mente un altro esempio. Non so quanto sia calzante, ma lo scrivo lo stesso.

Facciamo conto che a Bop, in un momento di follia, venga l'idea di insegnare a Bip la tecnica dei diagrammi di Feynman - senza spiegarle cosa significhi (è questo il punto cruciale: equivale alla condizione dell'omino chiuso nella stanza che risponde a simbolo con simbolo). Facciamo pure conto che Bip, incredibilmente, decida di starci, e che trovi - fantascienza allo stato puro - la pazienza e la costanza di imparare rigorosamente il metodo di estrarre diagrammi di Feynman dalla Lagrangiana della QCD.

Vorrei far notare due cose:

1. è una questione puramente algoritmica: non c'è bisogno di "capire" cosa sia una Lagrangiana, un diagramma di Feynman, la QCD eccetera per compiere un'operazione del genere. Data in input una serie di simboli (la Lagrangiana della QCD) insieme a una serie di regole formali per operare su detti simboli (sviluppo perturbativo à la Feynman) si ottengono, in output, una serie di diagrammi (disegnini: in realtà ogni "disegnino" è l'espressione pittorica di un molto complicato integrale in N dimensioni - N crescendo col progredire della serie perturbativa);

2. programmi di computer che fanno esattamente quel che ho descritto al punto (1) esistono da molto tempo.

Detto questo, sinceramente non vedo la differenza rispetto alla situazione della stanza cinese - a parte la complicazione del programma (ma non è un problema di principio) e la drammatizzazione ("parlare" invece di tirar fuori output a partire da un certo input). Bip, avendo a disposizione - ma questo, come ribadisco, è pura fantascienza - pazienza e costanza, oltre all'ovvio enorme dispendio di tempo, sarà in grado di ricavare TUTTI i diagrammi di Feynman all'ordine N (N qualsiasi) dello sviluppo perturbativo della QCD, senza per questo aver capito una cippa di cosa sta facendo.

Agirà allo stesso modo di un computer (mi dài un input e ti do un output, seguendo certe regole), e l'aspetto semantico della faccenda sopravvolerà la sua bella testolina patana come nuvola di primavera sotto cieli azzurrissimi.

 
 
 

Intermezzo ludico

Post n°199 pubblicato il 02 Marzo 2008 da semi.conduttore
 

Un uomo, un mito. Lo riconoscete subito: adesso è a sole -6 macchie sulle mutande.

 
 
 

L'Angelo di Goedel (3/N)

Post n°198 pubblicato il 01 Marzo 2008 da semi.conduttore
 


L'argomento della stanza cinese di Searle va più o meno come segue. Immaginiamo che in un futuro più o meno remoto, la tecnologia sia abbastanza potente da riuscire a costruire un supercomputer (diciamo grosso come una stanza) che opportunamente programmato può essere addestrato a conversare in cinese. Le conversazioni avverrebbero via tastiera e terminale (come una chat, per farvi capire), e un qualsiasi interlocutore esterno (che sappia sufficientemente bene il cinese) sarebbe ingannato sul contenuto della stanza: penserebbe che dentro c'è un essere umano che parla (o scrive, in questo caso) molto bene in cinese. In poche parole questo supercomputer con relativo programma di conversazione in cinese passerebbe senza difficoltà il test di Turing. I fautori dell'IA in senso forte (tesi A) sosterrebbero con ogni probabilità che computer + programma costituisce un insieme intelligente, ossia che il computer, col corredo di superprogramma che si ritrova, comprende la conversazione.

Ora, Searle propone questa variante: dentro la stanza non ci mettiamo un supercomputer, ma un essere umano, il Semiconduttore, poniamo, che notoriamente non sa un cazzo di cinese (lo passerei il test di Turing? immagino di si, ma Marco Materazzi, per esempio, no). Poi al Semiconduttore gli forniamo una serie molto molto grande di libroni, contenenti le regole, scritte in frascatano stretto: in altre parole gli stiamo fornendo, in linguaggio naturale, l'equivalente del programma che avrebbe permesso al supercomputer di conversare in cinese. Ora, naturalmente l'interazione col Semiconduttore-cinese sarebbe molto lenta: al Semiconduttore gli arrivano, sul suo terminale, questi strani disegnetti - che non capisce: ma bovinamente paziente com'è, spulcia i libroni delle regole, applica le regole sintattiche adeguate, et voilà, ecco che sputa fuori una sentenza in puro cantonese.

Quel che va notato è che il Semiconduttore non capirebbe un accidente di quel che scrive: dal suo punto di vista sta solo applicando delle regole per trasformare una serie di simboli in un'altra serie di simboli - esattamente come farebbe il supercomputer. Ma non per questo gli si accende una lampadina in testa e capisce cosa diavolo sta scrivendo. In altre parole il livello semantico gli sarebbe irrimediabilmente precluso. A fortiori, conclude Searle, sarebbe precluso al supercomputer.

 
 
 

L'Angelo di Goedel (2/N)

Post n°197 pubblicato il 29 Febbraio 2008 da semi.conduttore
 

Una cosa che mi sembra difficilmente confutabile è che in giro c'è una gran confusione tra coscienza e autoscoscienza. Mi sembra assurdo, per esempio, non ammettere che c'è una gradazione continua di coscienza, dal paramecio alla gatta-Lou su su fino ai delfini e ai bonobi, per arrivare all'acme (si fa per ridere e per scherzare) del Sapiens Sapiens, là dove forse (forse) scatta qualcosa di diverso: la coscienza di essere coscienti (e la coscienza di essere coscienti di essere coscienti, e così via, ricorsivamente; una volta che il meccanismo s'è innescato è difficile fermarlo, probabilmente, ed è quel che Hofstadter chiamerebbe uno strano anello, credo, ma di questo dopo).

Per esser chiaro e non seminare ambiguità in giro, personalmente lascio la possibilità D come ultima spiaggia, e solo ed esclusivamente per questo motivo: perché se è vero che siamo parte della Natura (e ciò è innegabile), allora una spiegazione naturale dev'essere possibile. L'eventualità A non mi convince, essenzialmente per gli stessi motivi che perplimono il buon Penrose (per farla breve, anche se spero di dilungarmi in seguito su questo, un qualsiasi tipo di computazione deve, per necessità, essere basato su un algoritmo - che sia di tipo top-down o bottom-up alla fine poco importa - e un algoritmo è per forza basato su un sistema formale, e qualsiasi sistema formale abbastanza potente si scontra inevitabilmente coi limiti dettati dal primo teorema di Goedel - invero una possibilità che mi affascina enormemente, tanto che ho già una trama di fantascienza pronta sull'argomento, è l'eventuale goedelizzazione [ricorsiva?] del Sistema Formale Intelligente). Restano B e C, e mentre capisco benissimo che C è perfettamente plausibile, non riesco a vedere come C possa confutare B. In realtà mi sembra che B (e anche D, a dirla tutta) possa tranquillamente convivere con C.

Posso infatti immaginare che fenomeni non computabili (e questo, ripeto, non è sinonimo di non-deterministici, come non è sinonimo di mistici) siano alla base della coscienza umana, ma non vedo come questo possa impedire una ragionevole simulazione dell'intelligenza umana (punto B); naturalmente B non implica intelligenza in senso etimologico. In altre parole qui si applicherebbe l'argomento di Searle della stanza cinese.

 
 
 

L'Angelo di Goedel (1/N)

Post n°196 pubblicato il 29 Febbraio 2008 da semi.conduttore
 

Per sfizio, ma in realtà non proprio per sfizio, sto rileggendo "Ombre della mente", di Roger Penrose. Il libro è il seguito ideale (un ampliamento e un nota bene, se volete) de "La mente nuova dell'Imperatore", dello stesso autore.

Il punto fondamentale che preme a Penrose, Dio solo sa per quale preciso motivo, è una confutazione, basata su argomenti che trovo in parte condivisibili, in parte largamente fantascientifici, delle tesi fondamentali dell'IA (Intelligenza Artificiale), tanto in senso forte quanto in senso debole.

Riassumo brevemente la situazione, altrimenti parlo di fuffa al vento. Secondo i sostenitori dell'IA in senso forte, ogni pensiero è computo. Calcolo, insomma. In particolare, il senso della consapevolezza (la coscienza, compresa la sua estensione umana, l'autocoscienza) sarebbe suscitato dall'esecuzione di appropriati algoritmi di calcolo. Penrose etichetta questa tesi con la lettera A, in stile calligrafico.

Dopo di che, il buon Penrose etichetta come B (nello stesso stile calligrafico), la tesi dei sostenitori dell'IA in senso debole: ossia, mentre la consapevolezza (qualunque cosa sia) è il risultato dell'azione fisica del cervello, e mentre qualunque azione fisica può essere agevolmente simulata con un'opportuna strategia di calcolo, la simulazione computazionale non può però di per sé suscitare consapevolezza.

C'è poi un punto C, quello cui aderisce lo stesso Penrose, e che può riassumersi come segue: la consapevolezza è suscitata, in qualche modo, da qualche azione fisica del cervello, ma questa azione non può neanche essere simulata, cioè non può essere approssimata, finta, da nessuna strategia di calcolo.

Infine c'è il punto D, ossia esiste una piccola anima immortale, quindi non rompeteci troppo i coglioni con queste menate.

Per riassumere il riassunto: il punto D è autoevidente (inutile simulare alcunché, tanto la consapevolezza c'è data da una scintilla divina in noi); il punto A implica che prima o poi i computers saranno non solo più intelligenti di noi, ma almeno altrettanto autocoscienti; il punto B significa che l'intelligenza potrà essere simulata, ma questo non comporterà la nascita artificiale della coscienza; mentre il punto C, lo confesso, è quello che mi causa problemi, quello che non capisco.

Naturalmente capisco che il motivo per cui non lo capisco non è esplicitato nelle righe che precedono, ma il fatto è che sto proprio cercando di spiegare perché non capisco il punto C. Va da sé che non è che non lo capisco, in qualche senso: comprendo bene (credo) come possano esistere universi deterministici ma non computazionali (a dirla tutta mi è anche abbastanza chiaro che il nostro universo è non-computazionale). Diciamo che il punto C mi sembra una diramazione del punto B (ma a dirla tutta anche il punto D mi sembra un'ulteriore diramazione).

Il fatto fondamentale, credo, è che per Penrose "intelligenza" richiede comprensione, e "comprensione" richiede consapevolezza. Il problema è che occorre intendersi sui termini, e non vorrei che alla fine tutto si giochi sulla differenza e sull'ambiguità che (dis)legano coscienza ad autocoscienza.

Mi è per esempio abbastanza chiaro come la gatta-Lou sia una "macchina intelligente"; è evidente inoltre come "comprenda" perfettamente quando sto per tirarle una ciabattata a causa di qualcosa che ha fatto e che non avrebbe dovuto fare (tipo pisciare sotto al tavolo in soggiorno), perché scappa a gambe levate. Ma quanto e a che livello la gatta-Lou è consapevole? E le serve poi questa "consapevolezza" per essere intelligente e comprendere che deve scappare quando è il caso, per non pigliare la ciabattata sul muso?

 
 
 

Quando il bambino era bambino (2/2)

Post n°195 pubblicato il 28 Febbraio 2008 da semi.conduttore
 

Ma il vero amore, il vero amore era il pallone. Camus, che con ogni probabilità scemo non era, scrisse che aveva imparato più morale sui campi di calcio che in tutti i libri che aveva letto, e non vedo come gli si possa dar torto. La vita è una metafora del calcio, e diffido di chiunque non si sia sbucciato le ginocchia sull'asfalto, da ragazzino, per rincorrere un pallone, di chiunque non abbia dato e ricevuto calci negli stinchi.

In quarta elementare (avevo 8 anni, ho fatto la primina) andavo a giocare ai giardinetti, all'angolo tra via Arrigo D'Avila e via Giovanni Botero. Se ci penso adesso mi sembra assurdo, 8 anni, e già giravo il mondo. Che poi "giardinetti" è parola che uno scrittore di polso non esiterebbe a etichettare come "eufemismo cosmico", perché in realtà si trattava di un fazzoletto di terra (saran stati 20 metri per 20) coperto di breccolino. Ogni volta che si cascava in terra (e si cascava spesso, vuoi per gli scontri di gioco vuoi per la scarsa aderenza che il breccolino è in grado d'offrire alle suole) eran fiumi di sangue dalle ginocchia e dai gomiti.

Si giocava col supertele, che se lo portava via un soffio di vento, a volte col santos, quello arancione con le righe nere, e allora ci si poteva arrischiare al dribbling; ma la palla finiva sempre dentro il cortile della caserma della polizia, proprio dietro i giardinetti. Gli stronzi non ce la ridavano mai, toccava andare al negozio a ricomprare il supertele. Naturalmente pagava chi aveva buttato il pallone nel cortile.

Poi ci siamo spostati in un campo dopo via Latina (credo che adesso sia parte del Parco dell'Appia Antica), ma io ci andavo di nascosto, mia madre non voleva perché ci stava una marana - a dire la verità in prima media un mio compagno di classe c'è morto dentro quella marana, quindi non è che mia madre avesse tutti i torti, alla fine) e giustificare il fango che riportavo a casa non era mica semplice. Però vuoi mettere giocare sulla terra e non sul breccolino, si è trattato di un salto di qualità epocale, di un cambiamento di paradigma.

Salto a volo sopra il periodo "strada" (quando ci siamo trasferiti vicino Frascati - avevo 12 anni - la strada di casa finiva con un muretto, non passavano macchine, se non per parcheggiare, e noi facevamo le porte coi sassi e i giacchetti sull'asfalto terroso e instabile - adesso quella stessa strada sembra l'A1 nei giorni delle partenze intelligenti, il che significa che sono invecchiato, come Zazie).

All'università avevamo fatto una bella squadretta: io Luca e Gianfranco giocatori da dopolavoro ferroviario ma non scarsi, Enrico in porta, coi guantoni timidi ma prensili, e poi soprattutto ciavevamo gli assi nella manica, il Cola che aveva giocato nella primavera della Roma e Massimo che aveva giocato in C1: ciaveva rimesso tutte e due le ginocchia e scendeva in campo con delle fasciature strette che gli fermavano la circolazione, ma almeno le rotule non se ne andavano in giro a cazzi loro, e quando prendeva palla non gliela toglieva nessuno. Lavorava esperto di gomito, in caso.

Detta squadra si iscrisse al torneo di calcetto universitario col nome di "Dottorandi in Fisica". In realtà su sei giocatori solo Luca e Gianfranco facevano il dottorato: io e Enrico c'eravamo laureati da poco, ma non avevamo fatto in tempo per il concorso dell'89, mentre il Cola e Massimo erano già ricercatori. Ma o facevamo così o non si riusciva a formare una squadra. La cosa è stata accettata, e siamo finiti del girone A, lo stesso girone dei "Tecnici". Detti tecnici giocavano a calcetto insieme da una vita, quindi si trovavano facile. La prima partita è stata contro di loro, e abbiamo preso una sleppa difficile da dimenticare: 7-0 secco e inglorioso.

Poi però abbiamo cominciato a carburare, gli automatismi si sono fatti più fluidi, abbiamo scardinato le difese dei Biologi, degli Ingegneri, dei Laureandi in Chimica, e alla fine ci siamo ritrovati secondi nel nostro girone, dietro i maledetti Tecnici, e superata brillantemente la semifinale contro i primi del girone B siamo arrivati in finale contro i Tecnici. Il cerchio si è chiuso, l'ultima partita del torneo era la prima.

Ora, il problema è che i Tecnici ci avevano già polpettizzato, quindi sono scesi in campo tranquilli che sarebbe stata una passeggiata, per loro, ma non avevano considerato che nel frattempo, a furia di giocare, noi, da quell'insieme di persone che si ritrovavano casualmente alla stessa ora nello stesso posto con la stessa casacca sopra i pantaloncini corti, eravamo riusciti a tirar fuori una squadra.

A metà del secondo tempo, ancora sullo zero a zero, ho lanciato Luca sulla sinistra, una palla bassa e tesa; Luca l'ha addomesticata con l'esterno destro, ha fintato di rientrare verso il centro, sbilanciando il difensore, ha fatto invece un passo avanti e ha lasciato partire una zaganella micidiale, di sinistro - che di solito lo usava solo per salire sul tram - boum!, sotto al sette, uno a zero e palla al centro.

I Tecnici non ci stavano, si sono innervositi. La partita s'è incattivita. A un certo punto Gianfranco è a centrocampo con la palla tra i piedi, arriva Stefano B. e da dietro gli entra in scivolata sparato sulle caviglie, roba da frattura scomposta.

Dopo qualche minuto Gianfranco si rialza, e Stefano gli si avvicina con la mano tesa, per fare pace. Ora, dovete considerare che Gianfranco è la paciosità fatta persona: di un tranquillo al limite del vegetale, quando ci parli rischi d'addormentarti per via della cantilena sonnacchiosa e lenta, quando ci è capitato di fare gli esami insieme abbiamo sempre dato bei voti, insomma, un buono; s'era rialzato tranquillo, un po' dolorante, sì, ma tranquillo, e non ti piglia il pallone e lo spara in faccia a Stefano, da un metro? Un missile di collo pieno, paff, un tiro perfetto, al volo, e il naso di Stefano s'è trasformato all'istante in una fontanella di sangue. Naturalmente subito dopo è scoppiata la rissa, e c'è toccato fare un po' a botte in mezzo al campo. Le fidanzate sugli spalti strepitavano.

I Tecnici poi hanno pareggiato a cinque minuti dalla fine, e hanno vinto ai rigori.

 
 
 

Post N° 194

Post n°194 pubblicato il 27 Febbraio 2008 da semi.conduttore
 
Tag: poesia

stand with your lover on the ending earth -

and while a(huge which by which huger than
huge)whoing sea leaps to greenly hurl snow

suppose we could not love,dear;imagine

ourselves like living neither nor dead these
(or many thousand hearts which don't and dream
or many million minds which sleep and move)
blind sands,at pitiless the mercy of

time time time time time

- how fortunate are you and i, whose home
is timelessness:we who have wandered down
from fragrant mountains of eternal now

to frolic in such mysteries as birth
and death a day(or maybe even less)

e.e.cummings

 
 
 

Quando il bambino era bambino (1/2)

Post n°193 pubblicato il 26 Febbraio 2008 da semi.conduttore
 

Oggi ho sublimato talmente tanto che se eiaculassi adesso il liquido seminale - spermatozoi inclusi, poveracci - passerebbe icchetennunchete alla fase di vapore. Ma non sono qui per parlarvi dei miei amori con le cinque dita: sono qui per parlarvi nientepopodimenoché dei miei trascorsi atletici. Lo so che a voi non ve ne frega un cazzo: figuratevi quanto me ne frega a me di quanto ve ne frega a voi.

Comunque sia, c'è stato un tempo in cui non solo ero giovane e bello come il sole, appetibile e appetito (lo so che può suonare strano a chi conosce questo presente fardello di ciccia, eppure è così), ma anche virgulto atletico, nelle migliori tradizioni della gloriosa gioventù italica (lo scrivo casomai il ventennio tornasse di moda, magari acquisto posizioni senza farmi la Marzia; su Roma).

A quei tempi si giocava il tennis e il calcetto (occasionalmente il calciotto): il tennis rigorosamente martedì, giovedì e sabato, il calcetto quando capitava (il calciotto ancora meno).

Martedì e giovedì giocavo contro il Giamba. Dopo un po' di tempo siamo arrivati all'equilibrio termico: diciamo che in media facevamo un set a testa, e pace. Il problema è che dopo tanti tanti set l'uno contro l'altro ci conoscevamo troppo bene: io giocavo il serve and rolley (servizio molle, e poi lento rantolare verso la rete, come un pesce preso all'amo del suo inesaudibile desiderio d'oblio), e quindi venivo con regolarità passato di dritto sul lungolinea (di rovescio era una pippa madornale: pensava d'essere Sampras (d'altronde io pensavo d'essere McEnroe), quindi con gesto virile nonché artificiosamente spontaneo riusciva senza eccezione di regola a spedire la palla 1. a rete, 2. verso i Mari del Sud della sua fantasia, 3. esattamente dove la mia racchetta l'anelava - incrocio esiziale a seguire).

Sul suo servizio stavo tranquillo: se sbagliava la prima (il che avveniva con una frequenza di circa 0.9) tirava la seconda con la stessa rabbia canina, mandandola con quasi ossessiva regolarità a rete: strappargli il servizio era quindi una mera questione di su e giù da un lato all'altro del campo, senza null'altro fare.

La stessa nequizia che tanto mi deliziava il martedì e il giovedì, quando ce l'avevo contro, mi faceva imbufalire il sabato, quando ce l'avevo compagno avverso i "bombardieri", i quali erano così detti perché tiravano certe sleppe che scansate.
"Porco Zio", gli sussurravo cercando di non farmi sentire dai nostri avversari, "vuoi tenere quella cazzo di seconda dentro, per favore? Una che sia una? Magari ce la giochiamo, eccheccazzo!"

Lui niente, sparava la seconda come un missile fuori controllo; poi se la prendeva con l'effetto farfalla, "sai, le perturbazioni atmosferiche, il caos, la pallina s'è spostata...". Io contavo fino a dieci, a volte fino a venti, ma poi era più forte di me, di norma lo mandavo affanculo, lui, Lyapunov e i loro esponenti: "la farfalla t'ha dato alla testa, caro il mio farfallon-minchione: e mettila dentro 'sta cazzo di seconda, cazzo!"

D'altronde i bombardieri (Fabrizio & Fabrizio) in due facevano un quattro ante comodo comodo: a rete scendevano di rado, ed era pressoché impossibile, dato l'uno e novantacinque a cranio, passarli di palombella; sparare quando erano a fondocampo era allo stesso modo inutile, perché restituivano la pariglia con inusitata violenza. Sta di fatto che non abbiamo vinto manco un set, contro di loro.

Una volta, il Giamba febbricitante mi disse: "è un peccato sprecare il campo" - l'avevamo prenotato fisso il martedì e il giovedì alle 16, un campo coperto, quindi la pioggia, pure d'inverno, ci faceva un baffo - "è un vero peccato, trova qualcuno con cui giocare". Io avevo notato un ricercatore (all'epoca ero un misero dottorando), tal F.F. (non faccio nomi perché adesso è direttore di sezione e capace che mi licenzia in tronco se legge queste poche vere note), che arrivava frequentemente all'uni con sacca da tennis in spalla. Allora vado da lui e gli dico: "Oh, ciò un campo prepagato, ci facciamo due scambi domani?" Lui mi guarda storto e mi fa: "Ma tu, come giochi?"

Ora, cercate di capire: io giocavo col Giamba martedì e giovedì, e poi il sabato contro i bombardieri, ma non è che fossi Panatta redivivo, insomma, me la chiavicchiavo, ma niente di che. Quindi gli faccio: "mah, che vuoi, giochicchio...". E lui: "no, sai, perché a tennise, se l'altro non è in gamba, ci si annoia... io gioco contro uno che ha fatto la coppa italia, aho, non so se me se piega...". Al ché, io: "ah, vabe', se la metti così lasciamo perdere".

Insomma, capite: è ricercatore, è alto un metro e novantasette (quindi fantastico facilmente l'ace veloce di servizio), e mi deve fare l'esame di dottorato a fine anno (le sue dispense passarono alla storia come le più confuse dai tempi della Bibbia). Quindi morta lì, e quella settimana il campo io e Giamba l'abbiamo pagato per niente.

Ma il bello si è che un anno dopo, quando ero ormai già a Ginevra, chéz le CERN, il tal F.F. in visita accademica viene a bussare alla porta del mio ufficio. "Aho, nun se trova un cane pe' fa' du' scambi a tennise", dice lui (mi sono scordato di raccontare che noi studenti lo si chiamava MadMax, non solo per via della somiglianza con l'omonimo personaggio filmico, ma anche per la sua, come dire, rugosità), "s'annamo a fa' du' tiri?". Io gli faccio "guarda che non è che sono migliorato molto da un anno a questa parte, anzi, so' pure ingrassato 10 kili de vacherain...". Lui mette su un'aria come di sopportazione, come dire "e vabe', facciamo quel che si può, se non c'è di meglio..."

Il risultato, l'avrete capito, ormai, è stato un secco 6-2 per me.

Francesco K. invece, sguizzero itagliano che ho incontrato a Berlino, un quattro ante di spalle da solo, era un vero signore: sul 5 a 0 per lui finivo invariabilmente per vincere un gioco. Era decisamente troppo forte per me (potente fisicamente, sette anni anagrafici di meno, troppi anni d'agonismo tennistico in più), per cui ci si ritrovava, come fosse una regola, 5 a 0 per lui. A quel punto, magicamente, i miei lungolinea cominciavano a passarlo, le sue volée si smorzavano a rete, so un cazzo, fatto sta che il set finiva 6-1 (per lui). Senza eccezioni. Un signore, un uomo d'altri tempi. Non sarebbe riuscito a sopportare il 6-0 senza scusarsi. Francesco, se mi leggi sappi che ti voglio ancora bene. E grazie per quei due sacchetti di spesa che m'hai portato a casa dopo che sono uscito barcollante dall'ospedale di Koenigs-Wusterhausen (o come cazzo si scrive), ricoverato una notte per un sospetto d'eccesso alcolico (in fondo avevo solo mandato giù tre aulin con una boccia di grappa). Ma era solo un sospetto, in realtà era malinconoia.

(to be continued)

 
 
 

Z-Movies

Post n°192 pubblicato il 20 Febbraio 2008 da semi.conduttore
 

Leggo su Repubblica on-line:
Liste, scontro De Mita-Veltroni
Cioè, come dire Godzilla contro King-Kong

 
 
 

per gli aficionados

Post n°191 pubblicato il 17 Febbraio 2008 da semi.conduttore
 

ecco quel che è diventata quella mignotta di lou:

 
 
 
 

LOU, MON AMOUR

1 - 2 - 3 - 4
 

MIDDENAIT FOR PRESIDENT

 

MOLTO PRIMA - 1

 

LA COSTRUZIONE DEL NULLA

1 - 2 - 3 - 4 - 5
 

VOTA ANTONIO

 

MOLTO PRIMA - 2

 

CRUCIVERBA

L'ATTESA - 1

 
 
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