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C'era una volta l'ironia

Post n°549 pubblicato il 22 Luglio 2017 da meninasallospecchio

Sono una ex giovane degli anni 80.

Per noi che abbiamo vissuto quegli anni, che sono stati post ’68, post ’77, post terrorismo di destra e di sinistra, post stragi, post guerra fredda, post tutto; per noi l’ironia, il sarcasmo, sono diventati un salvagente esistenziale, li abbiamo eletti a stile di vita. E l’ironia non ha risparmiato niente, l’abbiamo estesa a 360°.

Non è che non abbiamo valori, però siamo disposti a sottoporre i nostri valori allo stesso fuoco di fila che riserviamo al “nemico”. Dentro di noi la differenza ci sembra ovvia. Facciamo battutacce, ma non arretreremmo neanche di mezzo millimetro sulle conquiste delle categorie svantaggiate, non sono nemmeno lontanamente in discussione diritti civili o libertà individuali.

A noi è chiaro. Ma agli altri?

Il benemerito sito bufale.net (santi subito) ha denunciato ripetutamente il pericolo dei cosiddetti meme ascesi. La stessa parola meme è un nobile vocabolo di origine greca per indicare qualcosa che viene ripetuto, come per esempio una barzelletta. I meme sui social sono quelle battute o immagini scherzose che si riproducono di bacheca in bacheca, diventando, come si suol dire, virali. Un meme asceso è però un contenuto social ironico, che viene preso sul serio dai lettori più sprovveduti e viene quindi commentato seriamente e condiviso senza comprenderne il sarcasmo. Gli esempi più eclatanti di questo tipo sono alcuni post inneggianti al fascismo, ma ce ne sono moltissimi casi (Boldrini, migranti, ecc.). 

Bufale.net denuncia la probabile malafede di molti di questi meme, perché, mentre lercio palesa in modo inequivocabile il proprio intento, molti si nascondono dietro nomi che scimmiottano reali testaste giornalistiche (a volte neppure quelle del tutto affidabili, nell’ansia di fare il titolone ad effetto). Insomma, l’accusa è di far passare contenuti per esempio razzisti o diffamatori, nascondendosi dietro al “ma noi scherzavamo”, un po’ come fanno i bulletti adolescenti sulle chat.

Il vero problema dei social non è tanto, o soltanto, come è stato detto e ridetto, aver dato voce ai cretini. Più che altro hanno annullato la separazione fra le caste culturali. Prima esisteva un “noi” e un “loro” (mentre scrivo questo sono consapevole che potrei essere il “loro” di qualcun altro). Sapevamo di un indistinto altrove, fatto di stadio, di bar sport, di riviste femminili, di casalinghe di Voghera, dove si parlava di… boh… manco lo sapevamo: di duce, di sporchi negri o napoletani, di froci, di donne che dovevano stare al loro posto, di scienziati cattivi e chissà che altro. E nessuno di “loro” leggeva Il Male, per dire, o Charlie Hebdo. Forse non guardavano nemmeno Arbore e la sua banda, che pure dell’ironia trasgressiva davano un’interpretazione abbastanza blanda.

Non c’era il rischio di confondere il nostro sarcasmo estremo con la loro beceraggine, il nostro “oltre” con il loro “prima”. Adesso davvero non si sa che pesci prendere. Forse quelli più giovani hanno chiuso le trincee del sarcasmo: lo usano soltanto contro il “nemico”, mentre verso ciò in cui si crede si usa il “buonismo”, quando non l’adesione fanatica. Non sono culturalmente capace di questo. Credo che l’unica soluzione sia riservare le finezze a circoli noti e ristretti e per il resto adottare il modello “lercio”, cioè condividere pubblicamente soltanto ciò che non si presta, neppure lontanamente, a letture ambigue. 

Oppure tornare in qualche modo a una sana separazione in caste.

 
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Pippe orientali

Post n°548 pubblicato il 24 Giugno 2017 da meninasallospecchio

Se non mi vedete più sul blog non è perché mi sono fidanzata. Ovviamente lo dico per rassicurare i miei molti ammiratori. Oltre che faccio due lavori, ho avuto un’infinità di altre incombenze grandi e piccole. Niente di sgradevole, eh, non sono di quelli che tirano a rendersi affascinanti con il resoconto delle proprie disgrazie. “Bello di fama e di sventura…”, come diceva il poeta.

No, anzi, sto benone, non sono mai a casa, continuo a ballare e andare a dormire due-tre volte alla settimana in orari da notte di Capodanno. Oltretutto l’ambiente del ballo mi ha propiziato nuove amicizie, specialmente femminili, che hanno decisamente rimpolpato la mia vita sociale.

Insomma, non ho più tempo per il blog e, sinceramente, me ne rammarico, perché, come ho detto più volte,considero la scrittura un nobile passatempo e anche qualcosa di più: uno strumento di conoscenza di se stessi. Che voi direte che alla mia età uno dovrebbe conoscersi già abbastanza, eppure non si ha mai finito di imparare.

Per esempio, nella mia qualità di insegnante, ho partecipato a un corso di aggiornamento tenuto da  due giovani psicologhe. Il tema era la psicologia degli adolescenti, ma per farci comprendere alcuni meccanismi, le nostre docenti ci facevano giocare, impersonare scenette, immedesimare in ruoli vari: tutto molto divertente. Inoltre, per aumentare la nostra disponibilità all’apertura emotiva, ogni seduta iniziava con 10 minuti di mindfulness.

La mindfulness è una tecnica di meditazione ispirata alle filosofie orientali, in cui te ne stai lì seduto e segui la voce che ti guida nel concentrarti prima sulle sensazioni fisiche, poi sulle emozioni, poi sui pensieri, che però devi visualizzare e lasciar scorrere via, come se ogni pensiero fosse trasportato da una nuvoletta, che, sospinta dal vento, se lo porta via. E infine devi concentrarti sul tuo respiro, che tutto unisce, e che si espande dentro al tuo corpo, dalla punta dei capelli fino ai piedi.

Ecco, lo so che detto così sembra una cazzata, ma vi assicuro che è fighissimo. Cioè, come tutte le cose,perché funzionino bisogna crederci. In realtà non c’è niente a cui credere, si tratta soltanto di evitare di prendere il tutto con sarcasmo, farlo con convinzione. A cosa serve? A niente. Non è una tecnica di rilassamento. Come dice il nome, è soltanto un modo di essere presenti a se stessi, e di esserlo con tutte le proprie componenti, fisiche, emotive e razionali; quelle componenti che tendiamo troppo spesso a separare.

Io per natura sono sempre secchiona, quindi faccio quello che mi dicono e ottengo sempre i risultati che mi si chiedono. E’ una forma di adesione alla realtà, potremmo dire banalmente prendere il buono di quello che arriva. E così questa mindfulness, che per alcuni era un incrocio fra un incommensurabile trituramento di coglioni e una mission impossible, per me è stata una piacevole esperienza che ha funzionato sorprendentemente bene.

Ma anche in alcune riflessioni che abbiamo fatto durante il corso mi è capitato di trovarmi un passettino avanti agli altri. Oddìo, a me sembra di stare avanti, magari gli altri pensano “ma che pippe si fa questa?”. Però, insomma, ho sempre da dire la mia, anche grazie alle molte elucubrazioni che ho già fatto, spesso sul blog.

Per questo non voglio smettere con le mie pippe blogghesche e, ora che sono quasi in vacanza, conto di dedicarmici di nuovo un po’.

Meninas is back.

 
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Quel momento

Post n°547 pubblicato il 19 Febbraio 2017 da meninasallospecchio

Quel momento in cui sei alla Baìo di Sampeyre e hai bevuto vino, Genepy e grappa, non necessariamente in quest'ordine.

Quel momento in cui sei con la tua amica prof di latino e greco e ballate la courenta sul palco. Solo perché non c'è il cubo, altrimenti ballereste sul cubo.

Quel momento in cui sotto il palco si avvicina una ragazza e dice: "Buongiorno prof".

Quel momento in cui la tua amica ti guarda e dice: "E' mia o tua?"

Baìo di Sampeyre

 
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Lo sbirro buono e lo sbirro cattivo

Post n°546 pubblicato il 12 Febbraio 2017 da meninasallospecchio

Nella scuola dove insegno c’è una figura professionale denominata ITP, di cui fino a poco tempo fa ignoravo l’esistenza. ITP sta per Insegnante Tecnico Pratico: è un diplomato tecnico che si occupa di seguire gli studenti nelle esercitazioni di laboratorio, affiancato all’insegnante della materia, in compresenza, si dice. La qualità di questi ITP è alquanto variabile e va dal fancazzismo quasi assoluto all’occuparsi in toto degli aspetti pratici della materia; incombenza che personalmente cedo volentieri, dato che mi diverto molto di più con la teoria. Non altrettanto dicasi degli studenti.

In questa scuola di cui parlo sono piuttosto fortunata. Sono 4 ore in compresenza con un personaggio assai pittoresco che fa tutto lui. Nel seguito di questa narrazione lo chiameremo Napo, anche se con il celebre Orso Capo non ha in comune la capigliatura; però la stazza e l’accento sì. Inoltre, benché il nostro Napo non brilli per simpatia, ciò non toglie che risulti involontariamente piuttosto divertente. O almeno così pare a me, che, come noto, ho un senso dell’umorismo un po’ bizzarro.

Con Napo sembra di stare dentro Full Metal Jacket. Quando parla con il suo vocione, i trenta studenti scalmanati ammutoliscono. Io osservo ammirata. Insomma, ammirata fino a un certo punto. Certo con me non ammutolisce nessuno. Però, boh, alla fine i miei metodi funzionano quanto i suoi; o meglio, non funzionano quanto i suoi. Quello che funziona sono il mio e il suo insieme.

Napo è convinto che gli studenti gli diano retta; e non sarò certo io a togliergli questa illusione. Per esempio qualche tempo fa ha beccato Q. con il cellulare. Era la seconda volta che succedeva, gliel’ha sequestrato e gli ha messo una nota. Dopo di che mi dice compiaciuto: “Hai visto Q.? Dopo quella volta in cui l’ho spaventato, adesso riga diritto”. Come no!

In realtà, dopo di allora, ho già beccato Q. con il cellulare almeno altre tre volte. Mi avvicino a lui e gli dico con tono dolce e severo ad un tempo di mettere via immediatamente il cellulare se non vuole che lo dica a Napo. Q. mi dà retta, ma la volta dopo siamo da capo. L’ultima volta il cellulare gliel’ho preso io e me lo sono messo in tasca. Era quasi finita l’ora e gran parte dei compagni stava cazzeggiando, anziché fare l’esercizio assegnato da Napo. “Q,”, gli ho detto, “è già la terza volta che ti paro il culo. Se vuoi che continui, mettiti a lavorare”. E lui si è messo bravo bravo a fare l’esercizio.

Due minuti dopo Napo arringa la classe: “Che cos’è questo casino? L’ora non è finita e vi ho dato un compito! Bravo Q., che stai lavorando”. E rivolto a me: “Hai visto Q. come si dà da fare dopo quella volta?”. Sì sì, contaci.

E’ quella storia dello sbirro buono e lo sbirro cattivo che si vede nei telefilm americani, quando interrogano il sospettato. Uno lo spaventa e l’altro lo blandisce, fingendo di proteggerlo dal compagno. Non so perché funziona così bene questa tecnica, eppure funziona sempre.

Non soltanto con gli studenti. Anche nelle contrattazioni, per esempio: uno si mostra interessato all’acquisto e l’altro lo trascina via dicendo “lascia perdere, non ci interessa, ecc.”, spingendo così il venditore alla mediazione. In quel caso sono quasi sempre io lo sbirro cattivo.

Ci deve essere qualcosa di profondamente interiorizzato nella psiche umana, che brama questo misto di dolcezza e crudeltà. Solo così si spiega perché tante donne maltrattate non si ribellino ai loro carnefici. Forse perché questa manipolazione va a toccare delle corde che ci rimandano all’infanzia, a quando venivamo puniti “per il nostro bene”; a quando la mamma ti coccolava dopo averti sculacciato. Perché subire un maltrattamento ti mette in una condizione psicologica di fragilità, che ti predispone poi ad accettare qualsiasi mano ti venga tesa, compresa quella stessa che ti ha fatto del male.

Non so. Fatto sta che lo sbirro buono e lo sbirro cattivo sono sempre l’accoppiata vincente in qualsiasi relazione umana che preveda una manipolazione psicologica della controparte. In realtà un buon manipolatore se la cava anche da solo perché è capace di recitare entrambe le parti allo stesso tempo. Ma io non sono così brava. Purtroppo o per fortuna.

 
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Pillole

Post n°545 pubblicato il 05 Febbraio 2017 da meninasallospecchio

Vedo che molti scrivono le cosiddette pillole, brevi post tanto per mantenere il blog attivo, senza troppo impegno.

Le pillole non sono mai state il mio forte, sono piuttosto logorroica e amo le divagazioni. Sono pure un po’ didascalica e pedante, per dirla tutta, ma tanto la gente in rete legge una parola su tre, quindi più o meno mi si sopporta.

Però, visto che ultimamente scrivo poco, per mancanza di tempo e soprattutto di quell’ispirazione che è figlia del lungo oziare, mi sono detta: perché no? Che in fondo qualche breve minchiata mi viene in mente piuttosto di frequente, potrei scrivere delle pillole anch’io.

Ecco, quando mi sono detta così di pillole ne avevo in mente due o tre, ma poi me le sono dimenticate tutte. Sempre per quel discorso che mi sono rincoglionita.

Qualche tempo fa, dopo mesi, forse, sono tornata a leggere il blog di sagredo. Vado due post indietro e che ci trovo? Una conversazione fatta con me. Almeno credo. Insomma, mi sembra farina del mio sacco, cioè il mio sacco di quando ero più intelligente, non più tardi di qualche anno fa.

Cioè forse farei meglio a fare tipo Maometto, dettare le pillole a qualcun altro, che almeno se le ricorda.

 
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Il telefono

Post n°544 pubblicato il 30 Gennaio 2017 da meninasallospecchio

L’altro giorno, mentre stavo rincasando carica di borse della spesa, mi chiama l’agente immobiliare. Ero sul pianerottolo davanti alla porta di casa e mi apprestavo ad aprire. Per questo gli ho risposto a bassa voce; forse avevo anche un po’ di fiatone dopo due piani di scale.

“Un, attimo”, gli dico, “mi faccia entrare in casa e poi le rispondo. Ora sono nelle scale”.

“Credevo fosse in un altro posto”, mi fa lui, “a giudicare dalla voce”.

“In quel caso non le avrei risposto proprio”, continuo sullo stesso tono.

“Già, avrebbe avuto il telefono spento”.

No. Voi spegnete il cellulare quando fate sesso? A parte che non ricevo miriadi di telefonate, ma…la faccenda ha il suo fascino. Per esempio quando suona il cellulare del tuo partner. Un attimo di sospensione, mentre pensi che forse vorrà rispondere e poi… quel bel momento di pathos quando ti dice che no, non gliene frega un cazzo del telefono e che può pure suonare fino a domani.

O quando suona il tuo e davvero non c’è niente che non possa aspettare qualche decina di minuti. E mentre lui ti guarda con aria interrogativa, gli fai capire che non è il telefono la tua priorità in quel momento.

Sì, perché spegnerlo? In fondo anche un cellulare che suona può far parte del gioco.

 
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Alzheimer

Post n°543 pubblicato il 09 Gennaio 2017 da meninasallospecchio

Devo essermi rincoglionita in modo piuttosto rapido negli ultimi tempi. E forse non scrivere il blog e andare a dormire tardi peggiora la situazione.

Ormai frequento la chat molto, molto sporadicamente. Devo proprio non avere niente da fare. Ogni tanto, tipo una volta ogni due mesi, mi collego con i miei profili di chat per vedere se ho dei messaggi di qualche ammiratore. Di solito trovo degli elogi per lo spirito brillante dei miei profili o per la sagacia dei miei nickname. E questo è successo anche oggi.

Solo che non mi ricordavo cosa avevo scritto nel profilo e così sono andata a guardarmelo. Ci credete che ci ho messo un bel po' per capire una mia battuta??!? Effettivamente il profilo è bello, insomma, anche troppo. Poi ogni tanto mi chiedo come mai rimorchio soltanto dei nerd disumani. E te credo!

Comunque il problema non è quello, che tanto 'sto rimorchio da chat si è già dimostrato inefficace. Il problema è questo deterioramento della mia intelligenza. Ditemelo, voi che mi leggete. Magari è il caso che mi ritiri a vita privata.

 
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Alzheimer

Post n°542 pubblicato il 09 Gennaio 2017 da meninasallospecchio

Devo essermi rincoglionita in modo piuttosto rapido negli ultimi tempi. E forse non scrivere il blog e andare a dormire tardi peggiora la situazione.

Ormai frequento la chat molto, molto sporadicamente. Devo proprio non avere niente da fare. Ogni tanto, tipo una volta ogni due mesi, mi collego con i miei profili di chat per vedere se ho dei messaggi di qualche ammiratore. Di solito trovo degli elogi per lo spirito brillante dei miei profili o per la sagacia dei miei nickname. E questo è successo anche oggi.

Solo che non mi ricordavo cosa avevo scritto nel profilo, e così sono andata a guardarmelo. Ci credete che ci ho messo un bel po' per capire una mia battuta??!? Effettivamente il profilo è bello, insomma, anche troppo. Poi ogni tanto mi chiedo come mai rimorchio soltanto dei nerd disumani. E te credo!

Comunque il problema non è quello, che tanto 'sto rimorchio da chat si è già dimostrato inefficace. Il problema è questo deterioramento della mia intelligenza, che non capisco manco le mie battute. Ditemelo, voi che mi leggete. Magari è il caso che mi ritiri a vita privata.

 
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Ultime volontà

Post n°541 pubblicato il 07 Gennaio 2017 da meninasallospecchio

Qualche anno fa, più o meno in questo periodo dell’anno, ho scritto un raccontino vagamente macabro. Evidentemente, per qualche ragione, nella mia mente esiste una sorta di collegamento fra le festività natalizie e la morte. Non vorrei che la prendeste male, non iniziate a toccarvi le parti basse. Chi mi legge (ormai siamo rimasti in pochi) conosce la mia abituale leggerezza, e per me parlare di morte non è diverso dal parlare di qualsiasi altro argomento. La morte è parte della vita, una cosa che ci riguarda tutti, che non ha senso ignorare o escludere dai nostri discorsi, dalle nostre riflessioni.

Per inciso lo humour nero è forse quello che più mi affascina. Difficilmente mi trattengo dal fare battute che qualche volta vengono anche considerate molto negativamente, ma tant’è. Non è che io non provi compassione, ma non amo le lagne, in nessuna circostanza.

Il tema è tornato in auge per un episodio verificatosi il giorno di Santo Stefano. Mentre mi trovavo a una grande festa di ballo folk, uno dei partecipanti, un signore di soli 61 anni, è andato giù lungo stecchito mentre stava ballando. Le persone che erano lì con me sono rimaste piuttosto sconvolte, mentre la mia prima reazione è stata serafica. Non lo conoscevo e, per la verità pensavo pure che fosse più anziano. Cosa si può desiderare di meglio che morire ballando, riflettevo.

Già. C’è soltanto un altro modo paragonabile. Ed effettivamente c’ho un po’ la paranoia, come nel raccontino di cui sopra: non di schiattare io, ma che ci scappi il morto. Insomma, a parte la circostanza delle manette, che mi ero inventata senza sapere che prima di me lo aveva già fatto Stephen King, l’idea che possa capitare una cosa del genere… un uomo che non dovrebbe essere lì, al quale viene un coccolone mentre sta con te. Che fare?

“Non posso credere che tu ci abbia pensato veramente”, ti dicono gli uomini se provi ad affrontare il discorso.

Ma secondo me un uomo di una certa età (forse anche una donna) che ha un’amante, dovrebbe fare tipo un testamento biologico, in cui indica le sue volontà in caso di morte improvvisa o impossibilità a decidere. Una cosa tipo: chiama il mio amico XY e insieme portatemi nel tal posto e dite che sono morto lì. Oppure: chiama l’ambulanza e dì che mi trovavo a casa tua per il motivo tal dei tali.

No, perché è vero che quando uno è morto non gliene frega più un cazzo di niente. Però resta lo stesso una faccenda imbarazzante. Una volta, tanti anni fa, capitò una cosa del genere nella mia piccola città, e ce lo ricordiamo ancora adesso. A moglie e figli non è che faccia tanto piacere, anche se si consolano pensando che il bastardo è crepato. Se poi uno non muore è ancora peggio, perché a quel punto si ritrova mezzo moribondo in balìa di una moglie che pensa a come fargliela pagare. No, secondo me bisognerebbe prepararsi per tempo.

E della povera amante ne vogliamo parlare? Che a quel punto si ritrova con la fama di una che fa schiattare i cristiani. “Mi fai morire”, si dice: ma mica solo per modo di dire. Oppure chissà, magari aggiungerebbe un fascino perverso, eros e thanatos. Certo sarebbe meglio evitare. Nel cassetto del comodino, insieme a vibratore e preservativi, tenere anche la Trinitrina e un defibrillatore, just in case.

 
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La padella

Post n°540 pubblicato il 31 Dicembre 2016 da meninasallospecchio

Scusate, ma ho solo aneddoti scolastici da raccontare per intrattenervi, e, visto che il mio blog alquanto trascurato riceve ancora visite, vi scrivo qualcosina tanto per non abbandonarvi del tutto.

Come sapete da un mio post precedente, quest’anno insegno in un istituto professionale in cui c’è anche la scuola alberghiera. C’è altresì la cosiddetta Osteria didattica, in cui gli aspiranti cuochi sfamano a modico prezzo studenti e insegnanti. Una cosa molto carina, in verità, allestita in una cappella sconsacrata: cibo buono, bell’ambiente, tavola apparecchiata alla perfezione; servizio non impeccabile, ma vabbé.

Lì io pranzo una volta alla settimana, in un tavolo di professori, stile Hogwarts. Qualche giorno fa, a questo tavolo si siede un insegnante di cucina siciliano, uno che non conoscevo. Si mette a capotavola e comincia ad arringarci con una di quelle filippiche sui giovani d’oggi, che nessuno gli insegna l’educazione, qua e là, su e giù, che si stava meglio quando si stava peggio e così via. Tutti lo lasciamo dire.

Ad un certo punto si mette a raccontare che quella mattina un suo studente, durante un’esercitazione pratica, ha fatto bruciare il cibo attaccato alla padella. Allora lui lo chiama e gli dice:

- Sai perché hai fatto bruciare questa padella?

Lo studente lo guarda con aria interrogativa, ammutolito.

- Perché sei un piciu!

Ecco, se non siete piemontesi, cercate piciu con google, ma penso che più o meno si capisca.

Ridiamo. Ma non tanto per il povero studente, che poi forse se lo sarà pure meritato. Ridiamo pensando a tutte le menate che ci sentiamo sempre dire. Penso al preside del liceo dove stavo lo scorso anno: dobbiamo stare dalla parte dei ragazzi, le famiglie ci giudicano, il recupero, l’insuccesso formativo, evitare l’abbandono scolastico, la psicologa della scuola…

Qui bon: sei un piciu, e ciao. Duecento anni di pedagogia bruciati attaccato alla padella.

 
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