Creato da ignazio69 il 15/09/2009

Tutti i miei sbagli.

...imparando anche a sanguinare.

 

Il Giardino dell’Amore

Post n°92 pubblicato il 26 Aprile 2011 da ignazio69
 
Tag: Blake

went to the Garden of Love,
And saw what I never had seen:
A Chapel was built in the midst,
Where I used to play on the green.

And the gates of this Chapel were shut,
And “Thou shalt not” writ over the door;
So I turn’d to the Garden of Love
That so many sweet flowers bore;

And I saw it was filled with graves,
And tomb-stones where flowers should be,
And Priests in black gowns were walking their round,
And binding with briars my joys & desires.

§

Sono andato al Giardino dell’Amore,

E ho visto ciò che non avevo mai visto:

Una Cappella era costruita nel centro,

Nel luogo in cui io ero solito giocare sull’erba.

E i cancelli di questa Cappella erano chiusi,

E “Tu non devi” era scritto sull’ingresso;

Così sono tornato al Giardino dell’Amore

Che è fecondo di così tanti e dolci fiori;

E ho visto che era pieno di tombe,

E pietre sepolcrali dove avrebbero dovuto esseci fiori,

E Preti in vesti nere vi giravano attorno,

E incatenavano con rovi le mie gioie e i miei desideri.

WILLIAM BLAKE

 


 
 
 

Io non sono io

Post n°91 pubblicato il 18 Aprile 2011 da ignazio69
 

Io non sono io

Sono colui

che cammina accanto a me senza che io lo veda;

che, a volte, sto per vedere,

e che, a volte, dimentico.

Colui che tace, sereno, quando parlo,

colui che perdona, dolce, quando odio,

colui che passeggia là dove non sono,

colui che resterà qui quando morirò.

JUAN RAMÒN JIMÈNEZ

 

Magritte

 
 
 

Da piccolo....

Post n°90 pubblicato il 17 Aprile 2011 da ignazio69
 

 

Tu
che sei una persona adulta
- e quindi -
sensata, matura, razionale,
con una grande esperienza
e che sai molte cose, dimmi:
cosa vuoi fare da piccolo?

Jairo Anibal Nino

 

Mani

 
 
 

Restituzione

Post n°89 pubblicato il 08 Aprile 2011 da ignazio69

Se della tua bocca non so che la tua voce

E dei tuoi seni solo il verde o l'arancione delle tue bluse, come posso avere la presunzione di

avere di te più della grazia di un'ombra che passa sull'acqua.

Nella memoria porto gesti, la moina che tanto felice mi faceva,

e questo modo di restartene in te stessa, con il curvo riposo

di un'immagine d’avorio.

Non è gran cosa questo tutto che mi resta.

In più opinioni, collere, teorie,

nomi di fratelli e sorelle,

l'indirizzo postale e il numero del telefono,

cinque fotografie, un profumo di capelli,

una pressione di mani piccole fra le quali nessuno direbbe

che mi si nasconde il mondo.

Questo tutto me lo porto senza sforzo, perdendolo poco a poco.

Non inventerò l'inutile menzogna della perpetuità,

meglio passare i ponti con le mani

piene di te,

tirando via a piccoli pezzi il mio ricordo.

Dandolo alle colombe, ai fedeli passeri,

che ti mangino fra canti, arruffio e svolazzi.

Julio Cortazar

 

Passeri


 
 
 

"Uno Scherzetto"

Post n°88 pubblicato il 27 Marzo 2011 da ignazio69

È un sereno meriggio d’inverno… Il gelo è rigido, la neve scricchiola e a
Nàden’ka, che mi ha preso per il braccio, si coprono di una brina argentea i
riccioli sulle tempie e la lanugine sul labbro superiore. Siamo sulla cima di
una montagnola. Dai nostri piedi fino al piano si stende una superficie levigata,
in cui il sole si mira come in uno specchio. Accanto a noi è una piccola slitta
foderata di panno vermiglio. «Andiamo giù, Nadezda Petrovna!» imploro
io. «Una sola volta! Vi assicuro, arriveremo sani e salvi».
Ma Nàden’ka ha paura. Lo spazio che corre dalle sue piccole calosce fino ai
piedi della montagnola di ghiaccio le sembra spaventoso, un abisso d’insondabile
profondità. Quando guarda in giù, si sente morire e le si mozza il respiro,
non appena le propongo di sedersi nella slitta: e che cosa accadrà quando
si arrischierà di volare in quell’abisso! Morirà, impazzirà.
«Vi supplico!» dico io. «Non dovete aver paura! Non capite che è debolezza,
viltà?»
Finalmente Nàden’ka cede, e dal suo volto vedo che cede con la paura di
rischiare la vita. L’aiuto, pallida, tremante a sedersi nella slitta; le cingo con il
braccio la vita, e con lei mi precipito nell’abisso.
La slitta vola come un proiettile. L’aria tagliata frusta i nostri visi, ulula,
fischia nelle orecchie, tira, punge dolorosamente di rabbia, sembra voglia
strappare la testa dalle spalle. La violenza del vento non dà forza di respirare.
Pare che il diavolo stesso ci abbia afferrati con le sue zampe e urlando ci trascini
all’inferno. Gli oggetti intorno si confondono in una unica striscia lunga
che corre vertiginosamente… Ecco, ecco, ancora un istante, e sarà, sembra,
la nostra rovina!
«Vi amo, Nadja!» dico sottovoce.
La slitta comincia a scivolare sempre più lentamente, e l’urlo del vento e il
ronzio dei pattini non sono più così spaventosi, il respiro non è più mozzato,
e finalmente, siamo arrivati in basso. Nàden’ka non è né viva né morta. È pallida,
respira appena… L’aiuto ad alzarsi.
«Per nulla al mondo ci tornerei un’altra volta» dice guardandomi con occhi
sbarrati, pieni di terrore. «Per nulla al mondo! Per poco non morivo». Poco
tempo dopo si è rimessa e già comincia a guardarmi negli occhi con una
espressione interrogativa, come volesse accertarsi, se ho detto quelle tre
parole veramente, o se le è sembrato soltanto di udirle nel frastuono del turbine.
Ed io me ne sto accanto a lei, fumo e osservo attentamente il mio guanto.
Mi prende sottobraccio, e a lungo passeggiamo accanto alla montagnola.
L’enigma, evidentemente, non le dà requie8. Sono state pronunciate quelle
parole, oppure no? Sì o no? Sì o no? È una questione d’amor proprio, d’onore,
di vita, di felicità, una questione molto importante, la più importante del
mondo. Nàden’ka mi guarda in viso impaziente, triste, con uno sguardo scrutatore,
non risponde a tono, aspetta che io mi metta a parlare. O come variano
le espressioni su quel volto caro, come variano! Vedo che essa lotta con se
stessa, che ha bisogno di dirmi qualcosa, di chiedermi qualcosa, ma non trova
le parole, si sente impacciata, atterrita, la gioia la turba…
«Sapete che cosa?» dice senza guardarmi in viso.
«Che cosa?» domando io.
«Facciamolo ancora una volta… scendiamo in slitta.»
Ci arrampichiamo per la scala sulla vetta del pendio. Di nuovo aiuto Nàden’ka
pallida, tremante ad accomodarsi nella slitta, di nuovo voliamo nel terribile
abisso, di nuovo urla il vento e ronzano i pattini, e di nuovo quando la slitta ha
raggiunto la sua massima velocità io dico sottovoce nel frastuono:
«Vi amo, Nàden’ka!».
Quando la slitta si ferma, Nàden’ka abbraccia con uno sguardo la montagnola
sul dorso della quale siamo or ora discesi, poi scruta a lungo il mio viso,
ascolta la mia voce indifferente e spassionata9, e tutta, tutta, perfino il suo
manicotto e il cappuccio, tutta la sua figurina esprime una estrema perplessità.
Sul suo viso sta scritto:
«Che succede? Chi ha pronunciato quelle parole? Lui, oppure mi è parso soltanto
sentirle?»
Questa incertezza la rende inquieta, la impazientisce. La povera fanciulla
non risponde alle domande, si fa scura in viso. È sul punto di scoppiare in
lacrime. «Dobbiamo forse tornare a casa?» domando io.
«Ma, a me… a me piace questo scendere in slitta» dice arrossendo. «Non
potremmo forse scendere un’altra volta?»
Le «piace» questo scendere, e tuttavia, mentre si siede nella slitta, è pallida
come le prime volte, respira appena dal terrore, trema.
Facciamo la discesa una terza volta, e mi accorgo, come mi guarda in viso,
fissa le mie labbra. Ma io accosto alle labbra un fazzoletto, tossisco e, quando
raggiungiamo la metà della discesa, faccio in tempo a sussurrare: «Vi amo,
Nadja!».
L’enigma rimane tale! Nàden’ka tace, pensa a qualcosa… La riaccompagno
a casa, essa cerca di camminare più adagio, rallenta i passi e aspetta sempre
che le dica di nuovo quelle parole. E vedo, quanto soffre la sua anima, come
sta facendo uno sforzo su se stessa, per non dire:
«Non può essere che le abbia dette il vento! E non voglio che le abbia dette il
vento!».
Il giorno dopo ricevo la mattina un biglietto: «Se oggi andate alla pista delle
slitte, passate a prendermi. N.». E da quel giorno comincio ad andare quotidianamente
con Nadja alla pista e, mentre voliamo giù sulla slitta, pronuncio
ogni volta sottovoce quelle stesse parole:
«Vi amo, Nadja!».
Ben presto Nàden’ka s’avvezza10 a questa frase, come ci si avvezza al vino o
alla morfina11. Non può più vivere senza di essa. È vero che le fa sempre molta
paura volar giù dalla cima della montagna, ma ormai il terrore e il pericolo
conferiscono un fascino speciale alle parole d’amore, alle parole che come
prima formano un enigma e fanno languire l’anima. Il sospetto cade sempre
sugli stessi due: su me e sul vento… Chi dei due le faccia la dichiarazione
d’amore, essa non sa, ma ormai evidentemente per lei è lo stesso; non importa
da quale recipiente si beva, basta che ci si inebrii.
Un pomeriggio mi recai da solo alla pista; mescolatomi con la folla, vedo
che Nàden’ka si avvicina alla montagnola, che mi cerca con gli occhi …Poi
timidamente si arrampica su per la scaletta… È terribile far la discesa da sola,
oh com’è terribile. È pallida come la neve, trema, cammina come se andasse
al patibolo, ma cammina, cammina senza guardare indietro, decisamente. Ha
deciso, si vede, di provare finalmente se sarà possibile udire quelle parole
dolci, stupefacenti, quando non ci sono io. Vedo come pallida, la bocca aperta
per lo spavento, si siede nella slitta, chiude gli occhi e, detto per sempre addio
alla terra, si mette in moto… «ssss»… ronzano i pattini. Ode Nàden’ka quelle
parole? Non lo so… Vedo soltanto come si alza debole, sfinita, dalla slitta. E
dal suo volto si capisce che essa stessa non sa se abbia o no udito qualcosa. Il
terrore, mentre scivolava, le ha tolto la facoltà di udire, di distinguere i suoni,
di capire…
Ma ecco che viene il mese primaverile di marzo… il sole si fa più carezzevole.
La nostra montagnola di ghiaccio diventa più scura, smette di luccicare e
finalmente si scioglie. Smettiamo di andare in slitta. Per la povera Nàden’ka
non c’è più possibilità di sentire quelle parole, eppoi chi le può ormai pronunciare?
Il vento non si ode più e io mi accingo a partire per Pietroburgo, per
lungo tempo, probabilmente per sempre.
Una volta, due o tre giorni prima della partenza, me ne sto seduto, al crepuscolo,
nel giardino, che uno steccato alto sormontato da chiodi separa dal
cortile, dove vive Nàden’ka… Fa ancora piuttosto freddo, sotto il concime c’è
ancora la neve, gli alberi sono morti, ma c’è già odor di primavera e, mentre si
preparano a dormire, le cornacchie gracchiano rumorosamente. Mi avvicino
allo steccato e guardo a lungo attraverso una fessura. Vedo Nadja che esce
sulla soglia e volge uno sguardo mesto, nostalgico al cielo… Il vento primaverile
le soffia diritto nel viso pallido, abbattuto… Le ricorda quell’altro vento,
che allora ci urlava in viso sulla montagna, quando udiva quelle parole, e il
suo volto si fa triste, triste, e lungo la guancia scende lenta una lacrima… E la
povera fanciulla protende tutte e due le braccia, come volesse pregare il vento
di recarle ancora una volta quelle parole. Ed io, dopo avere atteso che il vento
soffi di nuovo, dico sottovoce: «Vi amo, Nadja!».
Dio mio, che succede ora! Lancia un grido, sorride con tutto il viso e protende
incontro al vento le braccia, beata, felice, così bella.
E io torno a far le valigie…
Questo è accaduto molto tempo fa. Ora Nàden’ka è già maritata; l’hanno
data in sposa, o s’è data lei stessa, non importa, al segretario della Camera di
tutela nobiliare, e ormai ha già tre bambini. Ma il ricordo di quando andavamo
in slitta e il vento le recava le parole «vi amo, Nàden’ka», non si è spento; per
lei è il ricordo più felice, più commovente e splendido della sua vita…
Mentre io ora che mi sono fatto più vecchio, non riesco più a capire perché
dicessi quelle parole, a che scopo scherzassi…

Anton Pavlovic Cechov

 
 
 
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E’ L’AMORE CHE è ESSENZIALE

E’ l’amore che è essenziale.
Il sesso è solo un accidente.
Può essere uguale
o differente.
L’uomo non è un animale
è una carne intelligente,
anche se a volte malata.


Fernando Pessoa

 

E CIò CHE VOGLIO....

E ciò che voglio è l'amore,
l'amore spensierato e quello che rimette tutto in discussione,
quello che fa rinascere,
l'amore passionale, l'amore lontano, il fine amore,
quello che vi costringe a superarvi,
l'amore platonico, l'amore sessuale,
l'amore lieve, l'amore oscuro, l'amore luminoso,
l'amore tenero,
l'amore fedele, l'amore infedele,
l'amore geloso, l'amore generoso,
l'amore libero, l'amore sognato,
l'amore adorazione, l'amore mistico, l'amore istintivo,
l'amore che si fa, il prima, il durante e il dopo l'amore,
l'amore che brucia, l'amore pudico,
l'amore segreto, l'amore gridato,
l'amore che fa male al corpo,
l'amore che fa bene al corpo,
l'amore che paralizza e quello che dà le ali,
l'amore a morte, l'amore a vita,
il primo amore, l'amore perduto,
l'amore ferito, il prossimo amore,
perché non ci sono regole,
perché è necessario inventare i propri amori,
inventare la propria vita.


 

Alina Reyes

 

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